Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30050 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30050 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LANZILLI PAOLO N. IL 01/12/1968
avverso l’ordinanza n. 68/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
30/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
PRESTIPINO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 11/06/2014

4.Ricorre Lanzilli Paolo, per mezzo del proprio difensore, quale legale rappresentante della
società FOVI, per i seguenti motivi:
1.Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza e contraddittorietà della
motivazione con riferimento alla valutazione del fumus commissi delicti. La difesa, premesso
che tra i reati contestati agli imputati solo quello di truffa aggravata e non anche quello di
turbata libertà degli incanti consentirebbe il sequestro per equivalente, rileva in sostanza che il
Tribunale avrebbe confuso gli estremi del delitto di truffa con quello di turbata libertà degli
incanti. Richiama, inoltre, una sentenza del TAR che avrebbe censurato pesantemente le
determinazioni assunte dalla Regione Campania a seguito dell’avvio delle indagini.
2. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 322 ter cod. pen, mancanza e
contraddittorietà della motivazione rispetto alla questione di diritto concernente la
irretroattività della norma, come modificata dalla L. 190/2012, per la parte relativa alla
confiscabilità del profitto del reato. La difesa richiama, in proposito, Cass. sez un. 3869/2009.
3. Violazione di legge in relazione alla necessario presupposto della responsabilità
amministrativa della soc. FONDI ai sensi del D.Igs 231/2001, come condizione per la sua
assoggettabilità al sequestro per equivalente.
3. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 322 ter cod. pen. in ordine al profitto da
sottoporre a sequestro. Il Tribunale avrebbe trascurato al riguardo l’insegnamento della
giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini del sequestro preventivo finalizzato alla confisca
per equivalente di cui all’art. 322 ter, c.p., in presenza di un contratto di appalto ottenuto con
la corruzione di pubblici funzionar, la nozione del profitto confiscabile al corruttore non va
identificata con l’intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in
proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall’illecito penale dal corrispettivo
conseguito per l’effettiva e corretta erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa
amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione

il

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 30.1.2014, il Tribunale di Napoli ha confermato il decreto di sequestro
emesso dal gip dello stesso tribunale il 13.1.2014 nei confronti della società FOVI SCARL (oltre
che nei confronti dell’amministratore, Sanseverino Roberto) per l’ammontare di C
1.257.775,82, nell’ambito del procedimento penale avente ad oggetto due appalti pubblici,
l’uno indicato come appalto “Buone Prassi”, l’altro come appalto art. 26, relativi ad interventi
finanziati dalla Regione Campania, che figura come ente danneggiato dai reati.
2.Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici territoriali, nella vicenda “buone Prassi”,
relativa ad un intervento finalizzato alla realizzazione delle buone prassi e dei modelli
esemplari per la formazione, l’appalto era stato aggiudicato nel Giugno del 2006, a seguito
dell’espletamento di apposita procedura di gara, ad una RTI guidata dalla società Ernest &
Young Financial. Per l’intervento, deciso con delibera della Giunta nr. 457 del 19.4.2006, erano
stati stanziati, originariamente tre milioni di euro, destinati solo alla vincitrice della gara;
sennonché, con successivo provvedimento del dirigente amministrativo, era stato in sostanza
disposto un ampliamento del finanziamento, per un importo complessivo di C 8.775.638,40, in
modo che ne potessero beneficiare anche le imprese classificatesi 2 e 3, tra le quali la RTI di
cui faceva parte la soc. FOSVI.
2.1.La Vicenda “art. 26”, aveva preso origine dalla delibera di Giunta n. 180 del 28.1.2008, con
la quale erano stati ammessi a finanziamento 11 progetti; con successiva delibera n. 2305 del
23.12.2008, il finanziamento era stato esteso a 55 progetti, per un totale complessivo di C
148.684.723,00 . A pag. 4 il Tribunale si sofferma sulle numerose anomalie e irregolarità
amministrative della procedura di assegnazione dei finanziamenti, segnalando in particolare le
evidenti anomalie del sistema di protocollo utilizzato per registrare le domande, presentate
dagli interessati grazie a conoscenze “private” della procedura di gara, alla quale non era stata
data evidenza pubblica.
3. Quanto alla determinazione del profitto, il Tribunale si richiama all’indirizzo di legittimità
segnato da Cass. 20976/2012, che distingue tra “reato contratto e reato in contratto; nel
primo caso, si l’immedesimazione originaria del reato con il negozio giuridico, nel secondo, il
contratto è valido, e ai fini dell’identificazione dell’ingiusto profitto occorre fare riferimento non
all’intero prezzo dell’appalto, ma all’utile netto dell’attività di impresa. Secondo il Tribunale, nel
caso di specie ci si troverebbe di fronte a “reati contratti”, Con la conseguenza che l’importo
sequestrabile coinciderebbe con l’intero ammontare degli appalti.

Considerato in diritto
1.11 fumus commissi delicti non è particolarmente contestato in ricorso rispetto alla materialità
dei fatti e alla generica connotazione in termini di illiceità penale delle vicende processuali, ma
in ogni caso le anomalie nelle procedure delle due gare in contestazione sono efficacemente
focalizzate dai giudici territoriali, con valutazioni più che adeguate al ridotto livello indiziario
che deve giustificare misure di cautela reale, e allo standard argomentativo “minimo”
desumibile dalla limitazione dell’impugnazione di legittimità contro i provvedimenti di sequestro
al vizio di violazione di legge. In ricorso si fa piuttosto riferimento alla presunta interferenza,
con le valutazioni del caso, della sentenza pronunciata dal giudice amministrativo sulle stesse
vicende in contestazione, ed è censurata la presunta “confusione”, da parte del Tribunale, tra
gli elementi distintivi rispettivamente caratterizzanti i reati di cui agli artt. 353 e 640 cod. pen.,
Sotto il primo profilo, la difesa rileva in sostanza, che il Tribunale avrebbe finito per applicare il
sequestro per equivalente in relazione al reato di cui all’art. 353 cod. pen., che non è compreso
tra i titoli di reato che lo giustificano.
1.1. Peraltro, il riferimento alla sentenza del TAR è del tutto generico, non essendo dato
comprendere quali più o meno decisive considerazioni i giudici amministrativi avrebbero
espresso a confutazione delle ipotesi accusatorie. La difesa si limita a rilevare che il TAR
avrebbe “censurato pesantemente la decisione della Regione di annullare i progetti e
sospendere i pagamenti”, ma non si vede in qual modo il Tribunale avrebbe potuto (prima che
dovuto) interloquire su queste vaghe affermazioni, che parrebbero ispirate più che altro a
ragioni di mera opportunità.
1.2. Quanto al secondo aspetto, va premesso anzitutto che deve ammettersi la possibilità del
concorso formale fra il reato di turbata libertà degli incanti e quello di truffa, attesa la loro
diversa obiettività giuridica (essendo rivolto l’uno alla tutela del regolare svolgimento dei
pubblici incanti e delle licitazioni private, l’altro alla difesa della integrità patrimoniale del
soggetto passivo), e differenziandosi inoltre gli stessi sotto il profilo degli elementi strutturali
che li compongono (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46884 del 04/11/2004 Ud. Imputato:
Brambati ed altri). Nella specie, è indubbio, alla stregua della prospettazione accusatoria e dei
fatti accertati, il danno patrimoniale subito dall’amministrazione appaltante in entrambe le
vicende processuali. Nel caso della vicenda “Buone Prassi”, sarebbe stato illecitamente
deliberato un consistente aumento del finanziamento originario; nel caso della vicenda art. 26
l’amministrazione avrebbe erogato i finanziamenti previsti a soggetti non aventi diritto, in

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dell’illiceità della causa remota (Sez. 6, n. 17897 del 26/03/2009, dep. 29/04/2009, Rv.
243319; Sez. 6, n. 37556 del 27/09/2007, dep. 11/10/2007, Rv. 238033).
3.1. Ne consegue, secondo la difesa, che il profitto che la parte privata ha conseguito
dall’appalto illecitamente ottenuto, non può globalmente omologarsi all’intero valore del
rapporto sínallagmatico in tal modo instaurato con l’amministrazione. L’instaurarsi di un
rapporto a prestazioni corrispettive, infatti, impone di scindere il profitto confiscabile – quale
direttamente derivato dall’illecito penale – dal profitto determinato dal corrispettivo di una
effettiva e corretta erogazione di prestazioni comunque svolte in favore della stessa pubblica
amministrazione, prestazioni che non possono considerarsi, di per sé stesse e per immediato
automatismo traslativo, colorate di illiceità per derivazione dalla causa remota, non potendosi
includere, nella nozione di profitto, qualunque ricavo conseguito per effetto della stipula di un
contratto di appalto illecitamente ottenuto nell’ambito di una relazione corruttiva (Sez. Un., n.
26654 del 27/03/2008, dep. 02/07/2008, Rv. 239924; Sez. 6, n. 42300 del 26/06/2008, dep.
13/11/2008, Rv. 241332).Cass. pen sez VI nr. Cass 42530/2012 del 5.10.2012 e nr.
4177/2012).
3.2. Nel caso di specie la pubblica accusa avrebbe invece determinato l’importo da sequestrare
sulla base di una mera “operazione algebrica” (somma delle percezioni ricevute per le due
vicende oggetto di contestazione), senza tener conto oltretutto di voci economiche
sicuramente non corrispondenti a profitti, come l’importo dell’IVA per l’appalto “BUONE
PRASSI”, e le spese sostenute dall’impresa appaltatrice, pari ad C 53,500,00; come anche,
relativamente “all’art. 26”, degli importi versati dalla FOSVI alle altre due società facenti parte
dell’ATI , e dei costi sostenuti. Non sarebbe stato inoltre considerato che parte delle somme
sequestrate sarebbero attinenti a conti “dedicati”, cioè pertinenti ad altri appalti in essere, la
cui esecuzione sarebbe stata in tal modo illegittimamente ostacolata.

2. I problemi interpretativi posti dal collegamento tra l’art. 640 quater e l’art. 322 ter cod.
pen. erano stati già risolti dalla più condivisibile giurisprudenza di questa Corte nel senso che
nella parte relativa alla disciplina alla confisca per equivalente la prima norma richiamasse
l’intero art. 322 ter cod. pen., e che, di conseguenza, la confisca per equivalente per i reati di
cui agli artt. 640 bis e 640 ter cod. pen. non soffrisse la previsione restrittiva dell’ultimo inciso
del primo comma dell’art. 322 ter cod. pen., che la limitava (peraltro con formulazione
alquanto infelice) al prezzo del reato (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 41936 del 25/10/2005
Imputato: Muci). L’indirizzo era stato successivamente ripreso da Cass. Sez. 2, Sentenza n.
26792 del 03/03/2011, Marabotto e altri con la precisazione, anzi, che la “o” che separa, nel
primo comma dell’art. 323 ter cod. pen, i termini di profitto e prezzo, debba intendersi come
congiunzione, essendo entrambi i predetti valori acquisiti in ragione dell’illecito commesso. In
questo senso, non sarebbe nemmeno decisivo il riferimento dell’art. 640 quater all’intera
disposizione dell’art. 322 ter, perché la soluzione interpretativa dell’ammissibilità del sequestro
per equivalente del profitto dei reati considerati dall’art. 640 quater sarebbe stata compatibile
anche con il primo comma dell’art. 322 ter. Si può aggiungere che nella chiusura del comma
uno di quest’ultima disposizione la chiarezza e l’esclusività del riferimento al prezzo come
oggetto della confisca per equivalente, erano non di poco intorbidate, non solo sotto il profilo
grammaticale, ma anche sotto il profilo logico, dall’espressione “tale” immediatamente
precedente. Rispetto al coordinamento tra le due disposizioni dell’art. 322 ter e dell’art. 640
quater cod. pen.la L. 190/2012 non ha quindi carattere innovativo, e non si pongono i problemi
di diritto inter temporale segnalati dalla difesa.
3.Anche i motivi sul quantum sono infondati.
3.1. Quanto alla questione dei conti “dedicati”, va anzitutto ribadita la valutazione della
genericità delle deduzioni difensive già espressa dal Tribunale; in ricorso non sono contenuti
ulteriori chiarimenti al riguardo, né specifici riferimenti processuali, talché, allo stato, l’ipotesi
dell’esistenza di conti “dedicati”, cioè riferibili ad altri appalti, è rassegnata, appunto, nei
termini di una semplice ipotesi, corrispondente quasi ad una presunta (ma inesistente )
“necessità logica”.
3.2. Per il resto, i giudici territoriali hanno fatto retta applicazione, al fine della valutazione
della corrispondenza del profitto del reato alla globalità dei valori economici in gioco, alla
distinzione tra “reato-contratto” e “reato in contratto” (vedi, oltre alla giurisprudenza citata dal
Tribunale, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17451 del 04/04/2012 Imputato: Mele e altri, secondo cui
il profitto del reato previsto dall’art. 640-bis cod. pen., ai fini dell’applicazione della confisca
per equivalente, coincide con l’intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto
contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le
caratteristiche falsamente attestate dal percettore, mentre corrisponde alla maggiore quota dei
fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati
in fatture o relazioni ideologicamente false). Non c’è dubbio poi, avuto riguardo alla peculiarità
delle due vicende processuali, l’originaria e assoluta inesistenza di qualunque diritto della FOVI
a percepire le somme relative ai progetti finanziati con i fondi della Regione Campania. In
questo ordine di considerazioni, poi, non trova spaizo alcuno la considerazione di oneri
economici e spese varie affrontate dalla società FOVI per la realizzazione degli interventi
3.3. Per il resto, i giudici territoriali sottolineano efficacemente che nemmeno può parlarsi,
nella specie, di sequestro per equivalente, dal momento che la misura cautelare ha colpito
somme di denaro, e che somme di denaro costituiscono il profitto “diretto del reato”. Al
riguardo, si è già affermato, nella giurisprudenza di questa Corte (Cfr. Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 1261 del 25/09/2012; sez. 2, 29.4.2014, RIVA FIRE), che qualora il profitto tratto
da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro,

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quanto fraudolentemente inseriti nei posti utili della graduatoria. Il profilo del danno
patrimoniale subito dalla stazione appaltante si aggiunge quindi, in entrambi i casi, alle frodi
poste in essere per alterare i risultati delle gare o falsificare le graduatorie, talché quello che la
difesa lamenta in termini di “confusione tra l’una e l’altra ipotesi di reato, non è che
l’applicazione coerente della figura del concorso formale di cui all’art. 81 primo comma cod.
pen. Verificata la configurabilità anche del reato di cui all’art. 640 bis cod. pen, nessun
problema si pone rispetto alla corretta applicazione dell’art. 640 quater.

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l’adozione del sequestro preventivo di somme di denaro corrispondenti non è subordinata alla
verifica che esse provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità
dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che
corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso
pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare; la sentenza si spinge oltre quanto affermato
da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7081 del 24/01/2012, Imputato: Cerato, che in relazione al
profitto “nummario” si limita ad escludere che ai fini del sequestro preventivo funzionale alla
confisca per equivalente di cui all’art. 322 ter cod. pen., occorra la prova rigorosa del nesso di
pertinenzialità del denaro rispetto al reato, essendo quest’ultima richiesta solo nel caso
previsto dall’art. 240, comma primo, cod. pen.).
3.4. Quest’ultimo indirizzo appare maggiormente condivisibile. Il denaro esprime di per sé non
un valore proprio, ma un valore di scambio, privo, conseguentemente, di apprezzabile identità
“fisica” (se non si voglia alquanto incongruamente considerare l’identità fisica del supporto
cartaceo o metallico della moneta circolante), e in questo senso può sempre affermarsi che
esso rappresenti un termine di “equivalenza” rispetto al valore di beni reali. Non solo, ma sul
piano pratico non è mai ravvisabile l'”impossibilità” di eseguire la confisca su somme di denaro,
sotto questo profilo essendo illuminante la distinta considerazione delle somme di denaro
rispetto a beni di altra natura che caratterizza le disposizioni sul sequestro per equivalente
(vedi ad es., oltre all’art. 322 ter, l’art. 19 Digs 231/2001), che con non poche forzature
logiche potrebbero essere lette nel senso che quando non sia possibile la confisca di somme di
denaro essa possa avere ad oggetto somme di denaro “equivalenti”. Ed è infine appena il caso
di rilevare che la già diafana fisicità del denaro scompare del tutto nelle tecniche spesso solo
“virtuali” con cui esso viene movimentato nelle moderne transazioni bancarie, talché nella
maggior parte dei casi impossibile sarebbe proprio intercettare il denaro direttamente e
immediatamente proveniente dal reato, non il denaro “equivalente”, ad ulteriore conferma
della fondatezza anche sul punto delle valutazioni del Tribunale. Perfettamente coerente con
questi principi è la conseguente valutazione del Tribunale secondo cui nel caso di specie è
stato appunto sottoposto a sequestro il profitto del reato, il che esclude la necessità della
considerazione dei presupposti della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Igs
231/2001.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato con la conda a del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il icorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così decfs in Floma, nella camera di consiglio, 11’11.6.2014.
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