Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30049 del 11/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 30049 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1.

CAVALLI MARCO nato il 02/12/1977;

2.

DONINI IVANA nata il 02/04/1952;

avverso l’ordinanza del 21/10/2013 del Tribunale del Riesame di Torino;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Gialanella che
ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv.to Mario Zanchetti che ha concluso per
l’accoglimento
FATTO
1. Con ordinanza del 21/10/2013, il Tribunale del Riesame di
Torino confermava il decreto con il quale, in data 24/09/2013, il giudice
per le indagini preliminari del tribunale della medesima città aveva
ordinato il sequestro preventivo, ex art. 321/1 cod. proc. pen., di
denaro, titoli e polizze assicurative nella disponibilità della Motovarese
s.r.l. e North Trading Company s.r.I., in quanto oggetto di truffe per le

Data Udienza: 11/06/2014

quali erano indagati CAVALLI Marco (nella sua qualità di dipendente
Iveco s.p.a.) e DONINI Ivana (nella sua qualità di amministratore unico
e socio unico della North Trading Company s.r.I.).

mezzo del proprio difensore, hanno proposto un unico ricorso per
cassazione deducendo i seguenti motivi:
2.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 640 COD. PEN.: il Cavalli sostiene che: a)
l’insussistenza di artifici e raggiri in quanto egli non aveva mai
autorizzato la vendita dei veicoli essendo la verifica della congruità del
prezzo di vendita devoluta ad altri soggetti; b) il presunto danno
all’Iveco era stato individuato nella differenza tra il prezzo di vendita
praticato da Iveco spa e il prezzo di acquisto corrisposto dai reali
acquirenti finali, ma il tribunale non aveva considerato che la vendita
era effettuata al “meglio” in quanto non vi era un listino prezzi definito e
che, comunque la Iveco aveva venduto i beni a prezzi congrui, traendo
dalle compravendite delle utilità, stipulando contratti rispondenti a
proprie finalità commerciali.
La Donini, a sua volta, ha sostenuto di essere estranea ai fatti in
quanto lo stesso provvedimento impugnato non descrive alcuna azione
od omissione ad essa addebitabile.
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 321 COD. PROC. PEN.: i ricorrenti sostengono
che:
2.2.1. pur essendo vero che parte del denaro ricavato dalle
vendite dei veicoli (e che, secondo l’ipotesi accusatoria, costituirebbe il
profitto ingiusto) era stato impiegato per l’acquisto di titoli ed il
pagamento di una polizza assicurativa, tuttavia rappresentavano
ordinarie operazioni finanziarie che in alcun modo potrebbero aggravare
o protrarre le conseguenze del reato. Mancava, inoltre, l’attualità del
pericolo in quanto il Cavalli era stato licenziato dalla Iveco.
2.2.2. il tribunale non aveva considerato che il profitto ingiusto era
solo il profitto al netto (dedotti i costi posti in essere nel compiere
l’attività, sia essa o meno viziata in parte da un reato) meno il ricarico
medio applicabile a operazioni di mercato dello stesso tenore

2

2. Avverso la suddetta ordinanza, Cavalli Marco e Donini Ivana, a

corrispondente alla quota giusta di profitto. In altri termini, il tribunale
aveva violato il principio di diritto enunciato dalle SSUU con la sentenza
n° 26654/2008 riv 239923.

1. In punto di fatto, dall’ordinanza impugnata risulta quanto
segue: «il giudice per le indagini preliminari ravvisava il fumus delicti
sulla base del contenuto della denuncia, sulla documentazione prodotta
nonché sull’attività di indagine svolte dalla p.g. delegata, tra cui le
sommarie informazioni rese da Salvi Henry Andrea, direttore
commerciale di “Viva Brescia Diesel S.p.a.”, concessionario Iveco e da
Ghetti Piero, amministratore della concessionaria Iveco Toscana che
risultava avere acquistato un numero rilevante di veicoli oggetto di
“vendita al meglio” (ossia di veicoli industriali già utilizzati in precedenza
per esposizioni, test, verifiche, talvolta non immatricolabili, non aventi
un listino prezzi definito e da vendersi alle migliori condizioni), fatturati
da Motovarese S.r.l. e North Trading Company S.r.l.
Si trattava, in particolare, di una serie di truffe aggravate in
concorso, consistenti prima nell’interposizione fittizia di Viva Brescia
Diesel, nel proporre all’azienda prezzi di gran lunga inferiori a quelli già
concordati con il reale acquirente finale, quindi nell’effettuare la vendita
a condizioni di favore a società riferibili alla madre del Cavalli
(circostanza ovviamente ignota a Iveco), ovvero a complici nell’illecito
(gli amministratori di Motovarese S.r.l.), con conseguente induzione in
errore dei dirigenti Iveco che accedevano alla proposta del Cavalli e
perfezionavano la vendita alle condizioni da questi prospettate,
ignorandone gli accordi con gli acquirenti finali che contemplavano un
prezzo ben superiore a quello indicato nella fattura di vendita emessa da
Iveco S.p.a..
Il periculum in mora, era ravvisato nel pericolo che la perdurante
disponibilità del denaro, e di quanto con esso acquistato, incassato da
North Trading Company S.r.l. e da Motovarese S.r.l., costituente il
profitto della truffa – essendo la differenza tra il prezzo pagato a Iveco e

3

DIRITTO

quanto conseguito dalla vendita agli acquirenti finali dei mezzi, o
all’interposta Viva Brescia Diesel, per l’acquisto dei mezzi, a condizioni
ben più vantaggiose – protraesse e aggravasse le conseguenze del
reato, potendo essere agevolmente distratto e reso non più

reati commessi. Il sequestro veniva richiesto fino alla concorrenza del
profitto complessivamente incamerato da Motovarese S.r.l. (capo A) e
da North Trading Company S.r.l. (capi B e C).
In sede di esecuzione di sequestro, venivano sottoposti a vincolo,
nei confronti della North Trading Company S.r.l., una somma pari a C
45.590 e titoli pari a C 814.516 depositati sul conto corrente 7198
acceso il 6.10.2011 presso la Banca Popolare di Milano, filiale di
Vanzago (di cui fa parte la Banca di Legnano) e due polizze assicurative
per un importo totale di C 41.000 stipulate con la Bipiemme Vita spa.,
nonché, sul conto corrente n. 1000/4334 acceso in data 1.12.2011
presso la Intesa San Paolo spa., filiale di Pregnana Milanese, una
somma pari a C 131.695 e titoli pari a C 844.034. Ancora, una somma
pari a C 137 sul conto corrente della Motovarese in liquidazione presso
l’Unicredit di Roma e circa tremila euro complessivi (tra saldo attivo e
bonifico in accredito) presso un ulteriore conto corrente acceso presso la
filiale di Varese della Banca Popolare di Bergamo».

2. Tanto premesso in punto di fatto, si può, ora passare all’esame
delle questioni di diritto dedotte dai ricorrenti.

3. Fumus delicti: il motivo dedotto, sul punto, dai ricorrenti è
assolutamente generico laddove si consideri che, secondo quanto
ampiamente illustrato dal Tribunale (da pag. 3 a pag. 6 dell’ordinanza
impugnata), la NCT s.r.l. costituiva lo snodo principale ed essenziale
dell’ipotizzato reato di truffa.
Il tribunale ha indicato gli indizi (dichiarazioni di Salvi e Ghetti
nonchè documentazione acquisita) a sostegno dell’ipotesi accusatoria
che, pertanto, anche alla stregua della consolidata giurisprudenza di

4

individuabile; quanto sequestrato rappresentava, comunque, il corpo dei

questa Corte

(ex plurimis

Cass. 35786/2012 Rv. 254394), deve

ritenersi, in questa fase, ampiamente sussistente.
In particolare, la tesi difensiva della ricorrente secondo la quale
ella nulla sapeva, allo stato, deve ritenersi generica tenuto conto sia

unico) sia della circostanza che è la madre del Cavalli, ossia di colui che,
secondo l’ipotesi accusatoria (avallata dal tribunale alla stregua di
puntuali elementi fattuali indicati a pag. 3 ss dell’ordinanza impugnata),
è l’artefice primo della truffa.

4. PERICULUM IN MORA: la censura è infondata per le ragioni di
seguito indicate.
In punto di fatto, va premesso che il sequestro in esame è stato
disposto a norma dell’art. 321/1 cod. proc. pen. avendo, prima il giudice
per le indagini preliminari e, poi, il Tribunale del Riesame, ritenuto che

«che la perdurante disponibilità del denaro, e di quanto con esso
acquistato, incassato da North Trading Company S.r.l. e da Motovarese
S.r.I., costituente il profitto della truffa – essendo la differenza tra il
prezzo pagato a Iveco e quanto conseguito dalla vendita agli acquirenti
finali dei mezzi, o all’interposta Viva Brescia Diesel, per l’acquisto dei
mezzi, a condizioni ben più vantaggiose -, protraesse e aggravasse le
conseguenze del reato, potendo essere agevolmente distratto e reso
non più individuabile, e trattandosi del corpo dei reati commessi» (pag.
2 e 6 ordinanza impugnata).
In punto di diritto, in ordine al sequestro di cui all’art. 321/1 cod.
proc. pen. i principi di diritto che sono stati enunciati da questa Corte di
legittimità, possono essere così riassunti:
«l’espressione “cose pertinenti al reato”, cui fa riferimento l’art.
321 cod. proc. pen., è più ampia di quella di corpo di reato, così
come definita dall’art. 253 cod. proc. pen., e comprende non solo
qualunque cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu
commesso o che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto,
ma anche quelle legate anche indirettamente alla fattispecie
criminosa»: Cass. 34986/2013 Rv. 256100;

5

della veste che ella rivestiva nella società (socio unico e amministratore

- «nel caso di sequestro c.d. impeditivo, previsto dal 1 comma
dell’art. 321 c.p.p., presupposto della misura cautelare è il
pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato
possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero
agevolare la commissione di altri reati. Si tratta, quindi, di uno

pericolosità che possono crearsi con il possesso della “cosa”, per
scopi di prevenzione speciale nei confronti della protrazione o
della reiterazione della condotta illecita, ovvero della causazione
di ulteriori pregiudizi»: SSUU 29951/2004 (in motivazione §
4.1.);
– «il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito
anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il
pericolo della libera disponibilità della cosa stessa – che va
accertato dal giudice con adeguata motivazione – presenti i
requisiti della concretezza e dell’attualità e le conseguenze del
reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano
connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario
aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto che sia in
rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente
illecita e possano essere definitivamente rimosse con
l’accertamento irrevocabile del reato»: SSUU 12878/2003 Rv.
223721;
«è legittimo il sequestro preventivo dell’intero compendio di
deposito in conto corrente, cointestato anche a persone diverse
dall’imputato ed estranee al reato, in quanto la libera
disponibilità del bene, sia pure da parte di un terzo di buona
fede, può determinare la protrazione del fatto criminoso nel
tempo o l’aggravamento delle sue conseguenze, né, per
converso, l’imposizione del vincolo sottrae all’interessato
strumenti idonei al recupero di ciò di cui sia stato privato»: SSUU
25993/2008 Rv. 239700: la suddetta sentenza fu pronunciata in
una fattispecie di sequestro di somma di denaro e/o dei titoli
azionari depositati su appositi conti aperti presso una banca da

6

strumento finalizzato ad interrompere quelle situazioni di

due soggetti indagati per truffa aggravata. Le SSUU, ritennero
corretta la qualificazione giuridica del sequestro a norma dell’art.
321/1 cod. proc. pen. in quanto il provvedimento cautelare era
stato più che della finalità di confisca dalla necessità di

c.p.p., e rilevarono che «Il tribunale ha correttamente osservato
invero che il sequestro investe un bene pertinente al reato, la cui
libera disponibilità, anche da parte di un terzo eventualmente in
buona fede, può determinare la protrazione del fatto criminoso
nel tempo o l’aggravamento delle sue conseguenze. Ciò, secondo
il giudice di merito, che si è allineato alla giurisprudenza
assolutamente dominante di questa Corte (da ultimo: Cass. 3^,
6.12.2007, Sartori), giustifica l’imposizione del vincolo, tanto più
che la legge offre all’interessato strumenti idonei al recupero di
ciò di cui sia stato privato (in termini: Cass. 2^, 15.5.1992, n.
2296)»;
– il sequestro di somme di denaro

«deve ritenersi sicuramente

ammissibile sia allorquando la somma si identifichi proprio in
quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa sia ogni
qual volta sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza
illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli,
trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è
cercato di occultare (vedi Cass., Sez. 6^, 25 marzo 2003, n.
23773, Madaffari). È evidente, a tal proposito, che la fungibilità
del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone
che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime
specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma
corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata
rinvenuta, purché sia attribuibile all’indagato (vedi Cass., Sez.
6^, 1 febbraio 1995, n. 4289, Carullo). Deve pur sempre
sussistere, comunque, il rapporto pertinenziale, quale relazione
diretta, attuale e strumentale, tra il danaro sequestrato ed il
reato del quale costituisce il profitto illecito (utilità creata,
trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della

7

allontanare il pericolo ipotizzato dal primo comma dell’art. 321

condotta criminosa)»:

SSUU 29951/2004 Rv. 228166 (in

motivazione).
Il Tribunale si è correttamente adeguato alla suddetta
giurisprudenza in quanto:
ha spiegato le ragioni per cui, in punto di fatto, i beni

sequestrati alla NTC s.r.I., facente capo alla ricorrente Donini, fossero
riconducibili alle transazioni aventi ad oggetto i veicoli venduti al meglio
(sul punto va osservato che sono gli stessi ricorrenti ad ammettere che
il denaro ricavato dalle vendite dei veicoli erano stati reinvestiti nei beni
oggetto di sequestro: cfr

supra §

2.2.1.): pertanto, in punto di

pertinenzialità fra sequestro e reato, ogni doglianza va disattesa alla
stregua del principio di diritto di cui all’art. 325 cod. proc. pen. a norma
v..0(31Z,e40/4

del quale sono deducibili solo %Liz’ di legge;
b)

ha spiegato il motivo per cui il provvedimento cautelare

dev’essere mantenuto in quanto, altrimenti, il profitto della truffa
(rectius: la cosa pertinente al reato) potrebbe essere

«agevolmente

distratto e reso non più individuabile»: con il che il Tribunale ha anche
individuato quali siano, nella fattispecie in esame i requisiti della
concretezza e dell’attualità. Sul punto, quindi, la censura della ricorrente
deve disattendersi alla stregua del seguente principio di diritto:

«nel

reato di truffa, legittimamente viene ordinato il sequestro preventivo, ex
art. 321/1 cod. proc. pen., di somme, titoli o altri prodotti finanziari in
possesso dell’indagato e che costituiscano provento (le somme di
denaro) o acquisiti (titoli o altri prodotti finanziari) effettuati con il ricavo
del reato di truffa, in quanto, trattandosi di beni facilmente occultabili o
alienabili, possono determinare la protrazione del fatto criminoso nel
tempo o l’aggravamento delle sue conseguenze».

5.

PROFITTO SEQUESTRABILE:

i ricorrenti, invocando il principio di

diritto enunciato dalle SSUU con la sentenza n° 26654/2008 riv 239923,
sostengono che avrebbe potuto essere sottoposto a sequestro il solo
profitto al netto (dedotti i costi posti in essere nel compiere l’attività, sia
essa o meno viziata in parte da un reato) meno il ricarico medio

8

a)

applicabile a operazioni di mercato dello stesso tenore corrispondente
alla quota giusta di profitto.
La doglianza è fuorviante per la semplice ed assorbente ragione
che la problematica sollevata dai ricorrenti si pone nell’ambito dei

di misure caute/ari reali, spetta al giudice che, in sede di riesame,
proceda alla conferma del sequestro preventivo funzionale alla confisca
di valore del profitto del reato, il compito di valutare la corretta
determinazione di quest’ultimo»: ex plurimis

Cass. 24277/2013 Rv.

255441) e non certo nell’ambito del sequestro cd. impeditivo di cui
all’art. 321/1 cod. proc. pen. che ha finalità rispetto alle quali la
problematica del profitto rimane del tutto estranea.
In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma 11/06/2014

sequestri finalizzati alla confisca ex art. 321/2 cod. proc. pen. («in tema

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA