Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30040 del 01/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30040 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PJETRI GJOVALIN N. IL 02/08/1984
GJINI ARTUR N. IL 27/07/1984
avverso l’ordinanza n. 3489/2013 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
05/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

e- c • e- – e- e

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 01/04/2014

PJETRI GJOVALIN e GJINI ARTUR, ricorrono per Cassazione avverso
l’ordinanza 9.12.2013 con la quale il Tribunale del riesame di Roma ha
confermato la misura della custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice
delle indagini della medesima città, per la violazione degli artt. 624, 625,
648 Cp.
Entrambi i ricorrenti chiedono l’annullamento del procedimento impugnato
denunciando, entrambi
§1.) la violazione degli artt. 268 – 271 cpp ex art. 606 lett. c) perché sarebbe
erronea l’affermazione del Tribunale che in atti sono presenti tutti i decreti
autorizzativi delle intercettazioni. La difesa sostiene che mancano: a) il decreto autorizzativo dell’intercettazione dell’utenza 3892111802; b) i processi verbali di inizio e detta conclusioni delle operazioni di intercettazione per
ciascuna utenza; c) parte dei provvedimenti con i quali sono state disposte
le proroghe delle operazioni di intercettazione. La difesa conclude che deve
essere dichiarata l’ inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche.
§2.) il tribunale ha omesso di prendere in considerazione i dati obbiettivi e
documentati comprovanti la personalità e le condizioni di vita degli indagati, con conseguente mera apparenza della motivazione in relazione a quanto
previsto dall’art. 275 cpp.
PJETRI GIOVALIN lamenta inoltre: a) con riferimento all’accusa di partecipazione al furto commesso il 2.6.2013, che il tribunale ha fondato il suo
giudizio sulla base di semplici congetture, siccome illogica e non provata la
ricostruzione del fatto; b) con riferimento all’episodio del 3.6.2013 che la
propria autovettua’reíboccato la autostrada in direzione di Roma ben prima
della commissione del furto contestato, sì che deve essere esclusa la partecipazione alla commissione dell’illecito. La difesa rileva infine che è priva di
concludenza la circostanza dello spegnimento (in ora notturna) dell’ utenza
telefonica utilizzata dall’indagato.
GJINI ARTUR, a sua volta denuncia la mancanza di indizi sufficienti di
reità segnalando: a) relativamente al furto del 2.6.2013 che la prova si fonda
su una telefonata riferibile a tale “TURI” che non può identificarsi nel ricorrente medesimo; relativapente al furto del 3.6.2013 che l’ indizio è rappresentato esclusivamedecesattivazione della sua utenza telefonica nel corso
della commissione del delitto.
RITENUTO IN DIRITTO
Il primo motivo (mancanza in atti del decreto con il quale è stata autorizzata
l’intercettazione dell’utenza telefonica 389 2111802 intestata a PJETRI
GJOVALIN e mancanza in atti dei verbali di inizio e conclusione delle operazioni di intercettazione) comune ad entrambi i ricorrenti è manifestamente
infondato. Si tratta della reiterazione di censure già formulate in sede di riesame, sulle quali il Tribunale ha risposto adeguatamente rigettando la richiesta di dichiarazione di inutilizzabilità delle intercettazioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In particolare il Tribunale ha dato atto [pag. 4 dell’ordinanza] che “tutte le
richieste di intercettazione da parte del ptsbblico ministero, di successiva
autorizzazione da parte del GIP, di richiesta di proroga da parte del PM, di
successiva autorizzazione di proroga da patite del GIP e tutti i decreti di urgenza del PM, nonché le successive convalide da parte del GIP ed infine gli
atti di acquisizione dei tabulati telefonie con riferimento alle attività investigative effettuate nei confronti degli odierni indagati: sono tutti atti risultati presenti”. Trattasi di risposta esaustiva con la quale si dimostra che il
Tribunale abbia compiuto un accertamento approfondito – sugli atti prodotti
ex art. 309 cpp. A fronte di siffatta spiegazione la doglianza formulata dalla
difesa si pone in termini del tutto generici ed è inidonea a confutare quanto
affermato dal Tribunale. Va inoltre osservato in diritto cheove alla richiesta
per l’applicazione di misure cautelali non isiano stati allegati da parte del
P.M. i decreti autorizzativi delle intercettazioni e che, a seguito di impugnazione della misura, gli atti sian trasmessi privl irali decreti al Tribunale del
riesame, ciò non determina coniunque nè l’inefficacia della misura nè l’inutilizzabilità delle intercettazioni, ma obbliga il Tribunale ad acquisire d’ufficio
i suddetti provvedimento ove la parte ne faccia richiesta [Cass. n.
42371/2007 e più recentemente Cass. 7521/2013]. Nel caso in esame la difesa non ha dimostrato di avere richiesto in modo specifico e tempestivo gli
atti di cui denuncia la mancanza.
In riferimento alla denunciata mancanza dei verbali di inizio e conclusione
delle operazioni di intercettazione la decisione del Tribunale è corretta in
diritto; infatti l’inosservanza delle disposizioni previste dall’ari 89 disp. att.
cpp in tema di verbali e nastri registrati delle intercettazioni non determina
l’inutilizzabilità degli esiti dell’attività captativa legittimamente disposta ed
eseguita [Cass. 8836/2009], perché la sanzione d’inutilizzabilità degli esiti di
intercettazioni telefoniche, stante il principio di tassatività, non può essere
dilatata sino a comprendervi l’inosservanza delle disposizioni di cui al citato
art. 89 disp. att. cpp, in quanto non espressamente richiamato dall’art. 271
cod. proc. pen. [Cass. n. 49306/2004] .
Con riferimento alla valutazione degli elementi di prova analizzati dal Tribunale, alla valutazione delle risultanze emergenti dalle intercettazioni telefoniche, all’apprezzamento del contenuto delle stesse si deve osservare che
le censure formulate dalla difesa, per entrambi gli indagati sono manifestamente infondate, perché inducenti ad apprezzamenti di merito della prova,
che esula dai compiti del giudice della legittimità. Va infatti osservato che la
valutazione delle doglianze difensive soggiace ai noti limiti del giudizio di
legittimità. Infatti in materia di provvedimenti “de libertate”, la Corte di
Cassazione non ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e
fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di
rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure; infatti, sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito. Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento [Cass. SU 22.3.2011

n. 11; Cass. Sez. Il 7.12.2011 n. 56; Cass. Sez VI 12.11.1998 n. 3529; Cass.
Sez. I ordinanza 20.3.1998 n. 1700; Cass. Sez. I 113.1998 n. 1496; Cass.
Sez. I 20.2.1998 n. 1083]. Da quanto sopra discende che: -.;) ‘in’ materia di
misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i
compiti istituzionali del giudice di merito sfuggendo entrambe a censure in
sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico
giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale, se
correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi
indizi di colpevolezza o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo
se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni
di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della
motivazione provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di
diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono
alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito. [v. in
tal senso Cass sez. III 21.10.2010 n. 40873]. Infatti Il sindacato del giudice
di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere
volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”,
ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da
inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti
logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini
specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso)
in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo
logico [Cass. Sez. 119.10.2011 n. 41738; e nello stesso senso Cass. Sez. IV
3.5.2007 n. 22500; Cass. Sez. VI 15.3.2006 n. 10951].
Le censure formulate dai ricorrenti non rispondono ai criteri indicati e come
tali devono essere considerate inammissibili.
Parimenti, è manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso comune
ad entrambi gli indagati. Si tratta di doglianza in fatto, generica, non idonea
a confutare la precisa motivazione resa dal Tribunale in punto esigenze cautelari e scelta della misura disposta. Il Tribunale ha indicato gli elementi di
fatto comprovanti 1′ esistenza della pericolosità sociale degli indagati: a) capacità di dare esecuzione a molteplici reati di furto; b) organizzazione; c)
esecuzione di reati in tempi ravvicinati; d) elevato numero di persone; e)
*dotazione di automezzi. La valutazione dei suddetti elementi in chiave di
sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 lett. c) appare adeguata e non manifestamente illogica ed è espresso in termini altrettanto ragionevoli la valutazione del pericolo di reiterazione delle condotte criminose. Il Tribunale ha inoltre messo in evidenza il concreto pericolo di fuga.
La motivazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa è adeguata
rispetto a quanto richiesto dall’art. 274 lett. c) e 275 cpp
Per le suddette ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i
ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e ciascuno

al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende, così
equitativamente stabilita la sanzione amministrativa prevista dall’art. 616
cpp, ricorrendone gli estremi.
Si manda il sign. Cancelliere per le comunicazioni di legge ex art. 94 disp
att. cpp.
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 1.4.2014

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di € 1.000 alla cassa delle ammende. si provveda ai sensi dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cpp.

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