Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30028 del 15/06/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 30028 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Buscemi Giovanni, nato a Palagonia il 20/05/1972
2. Marinella Fiammetta, nata a Catania il 27/06/1974

avverso il decreto del 15/12/2015 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pietro Gaeta, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati
inammissibili.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte di appello di Catania rigettava
i ricorsi proposti da Giovanni Buscemi e Fiammetta Marinella, quale terza
interessata, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di Catania che aveva
applicato la misura patrimoniale di prevenzione della confisca di vari beni agli
stessi intestati.

Data Udienza: 15/06/2016

La Corte adita rilevava che il Buscemi era stato condannato per associazione
mafiosa alla pena di anni 12 di reclusione e che emergeva dagli atti una palese
sperequazione tra la situazione reddituale del suo nucleo familiare e le numerose
acquisizioni patrimoniali effettuate nel periodo 1998-2010, in ordine alle quali
non era stata fornita adeguata giustificazione in ordine alla provenienza delle
somme impiegate per il loro acquisto.
La Corte territoriale riteneva infondate le deduzioni difensive mosse alla
perizia contabile acquisita agli atti: gli introiti derivanti dall’attività

un’azienda inquinata sin dalla sua costituzione dalla protezione mafiosa, nella
quale non era possibile distinguere capitale lecito da quello illecito; la contabilità
semplificata tenuta dal Buscemi non inficiava l’indagine peritale, in quanto
consentiva di ritenere effettivamente pagati tutti i costi di esercizio e riscossi
tutti i relativi ricavi, mentre i ricorrenti si erano limitati ad affermare il contrario
in modo apodittico, riservandosi produzioni documentali, di fatto mai effettuate;
la consulenza di parte non introduceva elementi di novità, limitandosi a
censurare soltanto il metodo seguito dal perito e chiedendo ulteriori accertamenti
su circostanze sulle quali le parti non avevano prodotto alcuna documentazione.
Quanto alla posizione della moglie del Buscemi, che aveva contestato
l’applicabilità per ragioni temporali della presunzione di fittizietà dell’intestazione
prevista dall’art. 26 d.lgs. n. 159 del 2011, la Corte di appello rilevava che la
prova dell’intestazione fittizia degli acquisti dalla stessa effettuati risultava dalla
circostanza che si trattava di beni di valore non irrisorio del tutto ingiustificati ai
suoi redditi.

2. Avverso il decreto suddetto, ricorrono per cassazione, a mezzo dei loro
difensori, Giovanni Buscemi e Fiammetta Marinella, con atti distinti.
Entrambi deducono un motivo comune di violazione di legge: il
provvedimento impugnato non avrebbe considerato sia le doglianze difensive sia
la consulenza di parte (ignorata senza motivazione) che dimostrava le entrate
percepite dai ricorrenti e quindi la legittima disponibilità di spesa al momento
degli acquisti oggetto di ablazione, sia l’indebitamento verso terzi (di cui si da
atto nella perizia d’ufficio), finendo pertanto per pervenire ad un giudizio astratto
di sproporzione, colpendo indiscriminatamente tutti i beni in loro possesso.
Il procuratore speciale di Marinella denuncia inoltre la violazione di legge,
non avendo la Corte territoriale motivato sulla riconducibilità al marito dei beni
alla stessa intestati, trattandosi di acquisti risalenti nel tempo e comunque oltre i
due anni antecedenti la proposta di prevenzione del dicembre 2011; avrebbe
inoltre illegittimamente applicato alla ricorrente, quale terza interessata, le

2

imprenditoriale del Buscemi non erano stati considerati, in quanto riferibili ad

stesse presunzioni e metodiche valutative riservate al destinatario della
proposta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.

2. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità,

106 del 2015), nel procedimento di prevenzione è esclusa dal novero dei vizi
deducibili con ricorso per cassazione – che è ammesso soltanto per violazione di
legge – l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare, poiché qualificabile come
violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice
d’appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (tra le
tante, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365; Sez. U, n. 33451
del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
E’, quindi, da escludere, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità
del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti
difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè sia priva dei requisiti minimi
di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile la rado decidendi.
Le Sezioni Unite, ora citate, hanno anche ribadito che non può essere
proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di
sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in
considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni
poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Orbene, benché nei motivi di ricorso i ricorrenti non abbiano fatto
riferimento al vizio di manifesta illogicità della motivazione di cui all’art. 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen., la maggior parte delle critiche mosse
contro il provvedimento impugnato attiene, in realtà, alla congruenza logica del
discorso giustificativo della decisione impugnata e all’adeguatezza logica del
ragionamento seguito dalla Corte d’appello che, contrariamente a quanto
prospettato, si presenta adeguato, dettagliato e immune da vizi giuridici.
Sotto tale profilo, le suddette censure si presentano, pertanto, non
consentite in sede di legittimità, in quanto non si confrontano con le ragioni
argomentate del provvedimento impugnato, finendo per sollecitare un diverso
apprezzamento delle risultanze processuali.

3

confortato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 321 del 2004 e n.

Invero, la Corte di appello ha preso in considerazione la consulenza di parte,
evidenziando che la stessa non apportava nessun elemento di novità, limitandosi
soltanto a censurare il metodo seguito dal perito d’ufficio e chiedendo
accertamenti, il cui espletamento era risultato inibito dalla mancata messa a
disposizione da parte dello stesso Buscemi della necessaria documentazione
(come lo stesso c.t. di parte aveva convenuto).
Così come la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta alle critiche
difensive riguardanti gli acquisti di mezzi aziendali e l’esposizione debitoria verso

dall’azienda del Buscenni, ragion per cui era onere del proposto dimostrare
divergenze dal dato reale: i ricorrenti si erano invece limitati ad affermazioni
meramente assertive non fornendo alcuna prova in merito.
Le diverse deduzioni versate nel ricorso, in ordine all’espletamento da parte
del proposto all’onere probatorio, si presentano del tutto generiche, in quanto
contestano, in modo assertivo, le affermazioni dei Giudici di merito.

3. Quanto ai vizi giuridici, le critiche proposte dai ricorrenti sono
manifestamente infondate.
Ai fini dell’applicabilità della misura della confisca di beni patrimoniali nella
disponibilità di persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, è
sufficiente che sussistano indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i
beni dei quali si chiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di
attività illecite e che il proposto non sia riuscito a dimostrare la legittima
provenienza del danaro utilizzato per l’acquisto di tali beni (tra le tante, Sez. 1,
n. 479 del 28/01/1998, De Fazio, Rv. 210012; Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014,
dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606).
Nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente desunto tale
presupposto dalla sproporzione tra le disponibilità del Buscemi e i redditi
denunciati dal proposto.
In ordine alla censura di aver confiscato tutto il patrimonio aziendale, va
rammentato il condivisibile principio di diritto, secondo cui è legittima la confisca
di prevenzione di un intero complesso aziendale – e non della sola quota ideale
riconducibile all’utilizzo di risorse illecite – in quanto non può distinguersi, in
ragione del carattere unitario del bene, l’apporto di componenti lecite riferibili
alla capacità e alla iniziativa imprenditoriale da quello imputabile ai mezzi illeciti,
specie quando il consolidamento e l’espansione dell’attività economica siano stati
sin dall’inizio agevolati dall’organizzazione criminale (tra tante, Sez. 5, n. 16311
del 23/01/2014, Di Vincenzo, Rv. 259871; Sez. 5, n. 17988 del 30/01/2 09,
Baratta, Rv. 244802).

4

terzi, rilevando che il perito si era basato sulla contabilità semplificata tenuta

Quanto, infine alla posizione del coniuge Marinella, va ribadito che il
rapporto esistente tra il proposto e il coniuge costituisce, pur al di fuori dei casi
delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011,
circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione di beni dei quali
il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare
convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva
capacità economica (tra tante, Sez. 1, n. 17743 del 07/03/2014, Rienzi, Rv.
259608).

di presunzione della fittizia intestazione – se da un lato incombe sull’accusa
l’onere di dimostrare rigorosamente, sulla base di elementi fattuali, connotati dai
requisiti della gravita, precisione e concordanza, l’esistenza di situazioni che
avallino concretamente l’ipotesi del carattere puramente formale di detta
intestazione, e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni
nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, dall’altro tali
elementi possono essere i più diversi, ivi compresa l’accertata incapacità
economica del terzo che, unitamente al rapporto di coniugio o filiazione, ben può
essere ritenuta fortemente sintomatica della intestazione soltanto formale del
bene in capo alle persone di maggior fiducia del proposto.

4. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati
inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende di una somma
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di
euro 1.500.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.500 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso il 15/06/2016.

Nel caso di confisca di prevenzione di beni intestati a terzi – salve le ipotesi

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA