Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30025 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30025 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
FIORAVANTI FIORENZO N. il 10/06/1953
avverso la SENTENZA n. 145472009 della CORTE di APPELLO di SALERNO
del 14/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere
PRESTIPINO ANTONIO
Sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Antonio Gialanella, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso; sentito il difensore, avv. Giovannino Guaglianone, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 11/06/2014

-

4. La Corte di merito entra quindi nel dettaglio delle varie imputazioni:
1. in ordine al reato associativo (capo A), i giudici territoriali richiamano il contenuto di alcune
registrazioni ambientali (quella delle h. 20,20 del 20.3.2000; quella del 28.2.2000), dalle
quali si desumerebbe una triangolazione di rapporti corruttivi tra il Fioravanti, l’Abitante e il
Nocera (un commercialista implicato nei fatti che viene indicato dagli altri interlocutori con
l’appellativo di “professore”) ; e dalle quali si desumerebbe, ancora, che il giro di denaro
evocato dai colloquianti proviene dalle pressioni esercitate dal Fioravanti nei confronti di
alcuni imprenditori. Sarebbe anzi rilevabile anche il criterio di suddivisione, tra gli
interlocutori, degli utili delle condotte di induzione, attribuiti in misura maggiore al Fioravanti,

A

Ritenuto in fatto
1.Con sentenza del 28 settembre 2004 il Tribunale di Lagonegro condannava Fiorenzo
Fioravanti, comandante della tenenza della Guardia di Finanza di Lauria, alla pena di 12 anni e
10 mesi di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale per la
durata della pena intlitta, nonche incapacita di contrarre con la pubblica amministrazione
per la durata di tre anni, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
1.1. L’imputato era accusato di associazione per delinquere, assieme a Francesco Antonio
Abitante, Giuseppe Nocera, Luca Lanzillotta e Antonio Bulfaro – per i quali si procedeva
separatamente -, associazione costituita per la realizzazione di delitti di concussione,
corruzione e abuso d’ufficio, relativi ad una serie di episodi oggetto della contestazione, ai
danni di imprenditori che venivano individuati, sulla base delle indicazioni fornite dal
commercialista Giuseppe Nocera, fra quelli con possibili problemi di natura fiscale, per poi
essere intimoriti dal Fioravanti li quale, abusando della sua qualifica, minacciava rigorosi
controlli di natura fiscale in grado di provocare danni economici alle aziende oggetto della
verifica e, successivamente, convinti da Abitante e dagli altri sodali a corrispondere somme
di denaro per evitare i suddetti controlli.
2.La Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 12.1.2006, confermava sostanzialmente il
giudizio di condanna, riducendo soltanto la pena ad anni 9 e mesi 10 di reclusione.
Proponeva ricorso per cassazione il Fioravanti, deducendo, tra ‘altro, con il secondo
motivo, la violazione degli artt. 526 comma I bis, 5 I 3 comma 2 e 512 c.p.p. e
conseguente vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata respinto l’eccezione di
nullità dell’ordinanza del 23 aprile 2004 con cui il giudice di primo grado aveva disposto
l’acquisizione delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da Francesco
Antonio Abitante, per sopravvenuta irreperibilità del teste.
Con sentenza nr. 580 del 24.3.2009, la sesta sezione di questa Corte annullava la sentenza
di appello in accoglimento del predetto motivo, assorbite le residue censure sul trattamento
sanzionatorio.
3.Con sentenza del 14.3.2013, la Corte di Appello di Salerno, decidendo come giudice del
rinvio, in riforma della sentenza del tribunale di Lagonegro, riqualificava i fatti di cui ai capi B)
C),D) E), F) G), H), I), M), N), O), P), Q) S) e T) ai sensi dell’art. 319 quater cod. pen. e
determinava la pena in anni nove e mesi dieci di reclusione, confermando nel resto; revocava
infine il decreto di sequestro conservativo emesso nel corso del giudizio di rinvio e disponeva
l’immediata restituzione dei beni agli aventi diritto.
3.1. La Corte di merito, in ordine alla questione investita dalla sentenza di annullamento,
rileva l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Abitante Francesco Antonio, desumendo dal suo
allontanamento dalla sede del Tribunale poco prima di essere chiamato a deporre, la sua
libera volontà di sottrarsi all’esame e al contraddittorio delle parti. Ritiene però di giungere
alla positiva verifica della prova di resistenza del residuo materiale probatorio alla sottrazione
del contributo narrativo dell’Abitante, richiamando anzitutto l’ampia analisi delle risultanze
istruttorie contenuta nella sentenza di primo grado.
3.2.Prima di procedere alla valutazione più approfondita delle singole imputazioni, i giudici
di appello, rifacendosi all’indirizzo di legittimità segnato da Cass. Sez VI n. 7945 del
15.2.2103, rilevano che le condotte oggetto di mutata qualificazione giuridica, esprimevano
la semplice rappresentazione al privato delle conseguenze sfavorevoli derivanti
dall’applicazione della legge, non un atteggiamento prevaricatorio comportante la minaccia
diretta di un male ingiusto, rientrando così nella sfera di applicazione dell’art. 319 quater cod.
pen

5. Ha nuovamente proposto ricorso per cassazione il Fioravanti per mezzo del proprio
difensore, eccependo:
1. il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata in ordine alla mancata
dichiarazione della prescrizione dei reati. La censura è ancorata al rilievo della illegittimità
costituzionale dell’art. 10 co 3 L. 251/2005, nella parte in cui stabilisce limitazioni
transitorie all’operatività della nuova disciplina della prescrizione, in contrasto, secondo la
difesa, con il principio della retroattività della legge penale più favorevole. Secondo la
difesa, che si impegna in ampie dissertazioni dogmatiche, la disposizione transitoria
contestata sarebbe in contrasto con l’art. 7 della Convezione europea dei diritti dell’uomo,
e ogni dubbio interpretativo sull’applicabilità del principio della retroattività della legge
penale più favorevole, sarebbe superato dalla sentenza CEDU nel caso Scoppola contro lo
Stato Italiano.
2. Il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata in punto di determinazione della
pena. In realtà, la Corte di merito, pur riqualificando il fatto ai sensi della sopravvenuta
disposizione dell’art. 319 quater cod pen., avrebbe fissato la pena in misura eccessiva
rispetto al range sanzionatorio della norma, di fatto svuotando largamente, senza alcuna
adeguata giustificazione, gli effetti dello ius superveniens favorevoli al ricorrente.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato
1.Tutte le questioni relative ai dubbi di costituzionalità sulla disposizione transitoria dell’art.
10 co 3 L. 251/2005 sono state ormai risolte dal giudice delle leggi, sia con riferimento alla
verifica di compatibilità con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che con riguardo
ai vincoli sovranazionali imposti al legislatore italiano in materia di normazione penale (vedi, a
quest’ultimo riguardo, Corte Cost. nr. 236 del 19.7.2011, depositata il 22.7.2011, che ha
dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 co 3 L. 5.12.2005
n. 251 sollevate da due Corti di merito, e infondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata da questa Corte con ordinanza dell’11.6.2010 in riferimento all’art. 117 Cost.). L’
1.1. L’unica situazione discriminante ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile nel
passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, soppressa a seguito del vaglio di
costituzionalità della norma transitoria, è quindi quella relativa all’applicabilità della disciplina
abrogata ai procedimenti penali pendenti in primo grado per i quali, alla data di entrata in
vigore della nuova normativa, fosse stato soltanto aperto il dibattimento, la disposizione
essendo stata censurata dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 393 del 23.10.2006; è
rimasto quindi definitivamente fermo, ai fini dell’individuazione del regime prescrizionale

z

che avrebbe assunto un ruolo decisionale nella distribuzione ai complici delle quote residue,
secondo un meccanismo che prescindeva dalla partecipazione concreta di ciascuno alle
singole operazioni ( vedi pag. 8 e 9 della sentenza, dove il richiamo delle più ampie
argomentazioni svolte alle pag. 157 e ss. della sentenza di primo grado.
2. Quanto ai vari delitti scopo, la sentenza si occupa anzitutto di quelli non riguardanti
l’Abitante, rievocando i contributi testimoniali della varie persone offese (Dandrea, Bulkfaro,
Lofiego, Balena, Fonte, Irianni, Capuano, Florio, Gioia, Filardi, Mancusi, Ciani, Cirigliano),
ritenuti tutti precisi, circostanziati e attendibili. A pag. 13 la Corte di merito accenna
esplicitamente alla “prova di resistenza”, traendo dai vari apporti testimoniali la conclusione
che l’impianto accusatorio nei confronti dell’imputato fosse rimasto immutato.
2.1. Non diversamente opinano i giudici di appello per i fatti di induzione di cui sarebbe
rimasto vittima lo stesso Abitante, nonostante la ritenuta inutilizzabilità delle dichiarazioni di
quest’ultimo. In questo caso, la Corte di merito richiama le ammissioni formulate dal
Fioravanti davanti al PM nell’interrogatorio dell’11.12.2000, recuperate al dibattimento in
conseguenza del rifiuto dell’imputato di sottoporsi all’esame; ammissioni riscontrate, secondo
la Corte, dagli accertamenti bancari (vedi, amplius, pag. 14 della sentenza di rinvio).
3. In punto di trattamento sanzionatorio (profilo assorbito nelle ragioni della sentenza di
annullamento) i giudici di appello ritengono di giungere al ridimensionamento della pena
esclusivamente in ragione della diversa qualificazione giuridica dei vari fatti di induzione,
rilevando, per il reato, la gravità dei fatti e la loro reiterazione nel tempo, con conseguente,
grave vulnus del prestigio dell’istituzione statuale.

applicabile, l’effetto discriminante della pendenza del procedimento in appello.
1.2. Quanto alla questione residua dell’individuazione del momento in cui debba appunto
ritenersi la pendenza del procedimento in appello, deve rilevarsi che sul punto si registra un
indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nel senso che la vecchia
disciplina continui ad applicarsi quando sia stata già pronunciata la sentenza di primo grado,
indipendentemente dalla data eventualmente successiva del deposito della motivazione, e a
maggior ragione a prescindere dalla citazione dell’imputato per il giudizio di appello. ( ex
plurimis, Corte di Cassazione nr 02076 del 05/12/2008 Serafini e altri; Nr. 03709
21/01/2009, Bassetti e altro, dove l’esplicita affermazione che ai fini dell’applicazione delle
norme transitorie previste dall’art. 10, comma terzo, L. n. 251 del 2005, la pendenza del
grado d’appello interviene all’atto della lettura del dispositivo della sentenza di primo grado).
1.3. Sui profili di compatibilità della disposizione transitoria con il principio della necessaria
retroattività della legge penale più favorevole per il reo, stabilito dall’art. 7 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo, si sono ormai consolidati anche specifici arresti giurisprudenziali
della CEDU, sfavorevoli al ricorrente, condivisibilmente ancorati alla considerazione della
particolare natura dell’istituto della prescrizione. In particolare, con provvedimento del
12/02/2013, emesso sul ricorso proposto da PREVITI CESARE contro lo Stato Italiano, la
Seconda Sezione della CEDU, pur rilevando, in diritto, che l’ Articolo 7 della Convenzione
sottopone le disposizioni che definiscono reati e pene al principio di retroattività della legge
più favorevole, precisa però, che la Corte nel caso Scoppola c. Italia, aveva già ritenuto
ragionevole l’applicazione, da parte delle giurisdizioni interne, del principio tempus regit
actum con riguardo alle norme di procedura; e che nella sentenza Ciiseme e altri c. Belgio,
aveva appunto qualificato le regole in materia di prescrizione penale come norme di
procedura. Le regole sulla prescrizione, infatti, rileva la Corte, “non definiscono i reati e le
pene, e possono essere interpretate come recanti una semplice condizione preliminare per
l’esame del caso. Di conseguenza, considerato che la modifica legislativa denunciata dal
ricorrente concerne una legge di procedura, salvo verifica della sua arbitrarietà, per la
Convenzione nulla vieta al legislatore italiano di regolare la sua applicazione ai processi in
corso al momento della sua entrata in vigore. La limitazione prevista dal regime transitorio è
stata circoscritta ai soli processi pendenti in appello o in cassazione. Questo regime transitorio
non appare irragionevole né arbitrario. In questo contesto pertanto non risulta alcuna
violazione dell’art. 7 della Convenzione”. La Corte giunge quindi alla
Conclusione della irricevibilità del ricorso del Previti per manifesta infondatezza.
Il richiamo difensivo alla sentenza “Scoppola” è del tutto inconferente, perché in quel caso
non fu affatto affermata l’equiparazione delle norme sulla prescrizione dei reati alle norme
penali sostanziali, tanto che la pronuncia Previti ha potuto riferirsi anche alla sentenza
Scoppola a sostegno delle proprie valutazioni.
1.4. Nel caso di specie, piuttosto, la Corte di merito ha fatto retta applicazione dei principi in
materia di retroattività della legge penale più favorevole applicando ai reati scopo l’art. 319
quater cod. pen. inserito dall’art. 1, comma 75, L. 06.11.2012, n. 190 con decorrenza dal
28.11.2012, cioè successivamente ai fatti per cui è processo.
1.5. Per il resto, non può che prendersi atto della datazione della sentenza di primo grado,
intervenuta nel 2004, cioè prima della legge Cirielli, con la conseguente applicabilità dei più
lungVtermini di prescrizione previgenti, alla stregua dei quali la prescrizione di tutti i reati,
tutti puniti con pena detentiva non inferiore ai cinque anni di reclusione, non può maturare
prima dell’anno 2015.
2.1 motivi sul trattamento sanzionatorio esprimono poco più che il personale apprezzamento
della difesa sulla presunta eccessività della pena. La Corte di merito sottolinea efficacemente
la gravità dei fatti e la loro reiterazione nel tempo, e peraltro la pena base fissata ex art. 319
quater cod. pen non corrisponde neanche al limite massimo edittale, al netto degli aumenti
determinati per i numerosissimi fatti in continuazione. D’altra parte, la Corte di merito era sul
punto libera nelle proprie valutazioni, salvo esclusivamente il limite insuperabile della pena
fissata dalla sentenza di appello annullata, che però è stato rispettato. Il divieto della
reformatio in peius non è stato quindi in nessun modo violato, non potendosi ravvisare alcun
obbligo di riduzione della pena rispetto a quella già fissata dalla precedente sentenza della
Corte di merito con riferimento alla diversa qualificazione giuridica del fatto.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile,
con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese

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processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata
all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di
inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamen delle spese processuali
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