Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30022 del 15/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30022 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORSETTI TONNO N. IL 13/11/1959
avverso la sentenza n. 507/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
19/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
2

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. V Ì2c-e

Data Udienza: 15/04/2014

CORSETTI Tonino, tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la
sentenza 19.3.2013 con la quale la Corte d’Appello di Trieste, lo ha
condannato alla pena di mesi tre di reclusione per il reato di cui all’art. 641
cp, per avere “dissimulando il proprio stato di insolvenza contratto
un’obbligazione con il proposito di non adempierla, in particolare per avere
consegnato a ROTIER Gianni, titolare dell ‘autofficina RG MOTORS con
sede in Tolmezzo, per il pagamento di prestazioni fornite dalla predetta
officina, un assegno bancario privo della relativa copertura monetaria (ab
nr0683382455-02 Banco di Roma del 4.8.2006)” Fatto commesso in
Tolmezzo il 7.8.2006.
La difesa dell’imputato chiede l’annullamento della decisione impugnata
deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione, perché
mancherebbe da un lato la prova del dolo, non essendo sufficiente la
circostanza della semplice disamina dell’estratto di conto corrente; la difesa
pone in evidenza che manca anche la prova di qualsiasi atto con il quale lo
imputato abbia “dissimulato” la propria condizione di insolvenza.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riferimento alla mancanza di prova sufficiente L’idonea a dimostrare
l’esistenza dell’elemento del dolo quale previsione e consapevolezza del
CORSETTI di non adempiere l’obbligazione di pagare l’autofficina ove
aveva portato il proprio veicolo va osservato che la Corte d’Appello ha
fondato il proprio diverso giudizio sulla circostanza, provata, che da più di
un mese il conto corrente dell’imputato non solo era privo di fondi, ma
presentava un saldo netto negativo. Nella specie la Corte d’Appello ha
fondato la propria valutazione su uno specifico elemento di fatto
esattamente individuato e descritto. La valutazione della Corte d’Appello
non appare manifestamente illogica e non si pone in contraddizione con
nessun altro elemento emergente dalla decisione. Conseguentemente si deve
rilevare che la doglianza mossa dalla difesa non attiene ad aspetti
censurabili in sede di legittimità, ma ad aspetti di merito quale la
valutazione di un elemento di prova, profilo quest’ultimo che non è
suscettibile di sindacato in questa sede se non negli stretti limiti dettati
dall’art. 606 I^ comma lett. e) cpp, dal cui ambito sfugge la censura mossa.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso inerente alla insussistenza
della dimostrazione di un qualsivoglia atto di dissimulazione da parte del
CORSETTI del proprio stato di insolenza, va osservato che la critica è
manifestamente infondata alla luce della costante giurisprudenza di questa
Corte di legittimità: la condotta dissimulativa della propria condizione di
insolvenza, ex art. 641 cp, è integrata da chi, scientemente, consapevole
della propria condizione economica, nulla riferisca alla persona con la quale
contrae un’obbligazione. Per cui anche il semplice “silenzio” può integrare
la condotta dissimulatoria, perché in pieno contrasto con i principi cardine
di correttezza e buona fede, cui deve essere improntato il comportamento

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € .1000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15.4.2014

del privato nella stipulazione di qualsiasi negozio giuridico. L’atto di tacere
in modo preordinato delle proprie condizioni economiche ai fini della
capacità di assolvimento di un’obbligazione, costituisce violazione del
principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la dissimulazione
(cioè il nascondimento) della propria condizione di insolvenza [Cass. sez. Il
22.5.2009 n. 3980 in Ced Cass. Rv 245237; Cass. sez. Il 11.7.2006 n. 34192
in Ced Cass. Rv 234774] quale elemento costitutivo del delitto di cui all’art.
641 cp. L’apprezzamento della “qualità” o della “finalità” del silenzio è
demandato al solo ed esclusivo giudizio di merito nel quale può tenersi
conto di qualsiasi elemento di fatto circostanziale volto a conferire
significato alla condotta silenziosa.
Per le suddette ragioni il ricorso è manifestamente infondato e deve essere
dichiarato inammissibile. Il Ricorrente va condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende,
così equitativamente determinata la sanzione amministrativa prevista dal’art.
616 cp, da comminarsi alla luce del comportamento processuale del
ricorrente che versa in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità.

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