Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30019 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30019 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRAIDICH YURCO N. IL 29/07/1984
avverso la sentenza n. 2750/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
21/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t1, 42-u.cenc#0 Sci-ef (~
che ha concluso per in
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Data Udienza: 27/03/2014

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Ancona ha
confermato la sentenza emessa in data 13 maggio 2009 dal Tribunale di
Pesaro in composizione monocratica, che all’esito del giudizio abbreviato
aveva dichiarato YURCO BRAIDICH colpevole di truffa aggravata ex art. 61 n.
7 c.p. in danno del parroco della Chiesa di S. Paolo Apostolo (fatto commesso
in Pesaro il 31 gennaio 2007, con la recidiva specifica infraquinquennale),
condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, oltre alle statuizioni accessorie,

anche in favore della parte civile.
Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un difensore iscritto
nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione di legge (lamentando la nullità del decreto di citazione a
giudizio di appello per omesso rispetto dei termini liberi per comparire:
notifica effettuata in data 7 febbraio 2013 per l’ud. 21 febbraio 2013);
H – violazione di legge (lamentando nullità della sentenza di primo grado
per violazione dell’ad 530, comma 1, c.p.p. laddove non ha disposto
l’assoluzione perché il fatto non sussiste);
III – violazione di legge (lamentando nullità della sentenza di primo grado
e per relationem di quella di secondo grado per violazione degli artt. 61 n. 7
c.p. e 425 c.p.p. nella parte in cui non è stata pronunciata sentenza di non
luogo a procedere per tardività della querela);
IV – nullità della sentenza di primo grado e di appello per violazione
dell’art. 530 c.p.p. in quanto non sarebbe stata raggiunta la piena prova della
colpevolezza dell’imputato e per essere contraddittorie ed insufficienti le prove
assunte;
V – violazione di legge e nullità delle sentenze di primo e di secondo grado
per mancanza di procura speciale in calce all’atto di costituzione di parte
civile.
Ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.

All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo
in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è integralmente inammissibile per genericità e/o manifesta

infondatezza.
1. Deve premettersi che è inammissibile, per difetto di specificità (Sez. IV,
sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), il
ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di
appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni,
meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza
impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni
in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione
di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano
il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta).
Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e
quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando
“attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per
giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente»

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(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).
Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo
meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di
specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di

potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa
motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli
nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice
d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica
del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per
almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per
l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera
“apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti);
denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di argomentare la
decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».
Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del
motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune
circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso
e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con ‘a mera sostituzione dei parametri della prima
sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso
per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di
impugnazione» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio
2013, CED Cass. n. 254584).

1.1. Il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni
svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per
implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente

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redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)

incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI,
sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n.
223061).

1.2. D’altro canto, in presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le
censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi

appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si
regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo
grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n.
1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III,
sentenza n. 13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n.
252615).

2. Alla luce dei principi che precedono va esaminato l’odierno ricorso.

ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di

3. Il primo motivo non è consentito per tardività.
Il vizio dedotto, in ipotesi verificatosi in fase preliminare, non nel corso del
giudizio, non è stato, infatti, tempestivamente eccepito dinanzi alla Corte di
appello. Questa Corte Suprema (Sez. V, sentenza n. 2954 del 10 novembre
2009, dep. 22 gennaio 2010, CED Cass. n. 245844) ha, infatti, già chiarito che,
in tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire di venti
giorni stabilita dall’art. 601, comma 3, c.p.p., non risolvendosi in una omessa
citazione dell’imputato, costituisce una nullità a regime intermedio che risulta ………cli
sanata nel caso in cui non sia eccepita entro i termini previsti dall’art. 180,
richiamato dall’art. 182 c.p.p.

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4.

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati

congiuntamente, e sono tutti generici, e comunque manifestamente infondati.

Trattasi di doglianze generiche, e comunque manifestamente infondate: a
prescindere dal rilievo che il ricorrente incomprensibilmente fa riferimento
all’art. 425 c.p.p. pur se l’udienza preliminare non si è celebrata, la Corte di
appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili

specificità, limitandosi a reiterare pedissequamente censure già costituenti
oggetto di appello accompagnate da clausole di stile (lo si desume all’evidenza
dalle censure insistentemente mosse all’indirizzo della sentenza di primo grado
– cfr. ad esempio, ed inequivocabilmente, II motivo – non di quella d’appello),
e già motivatamente ritenute infondate, ha compiutamente ricostruito le
vicende de quibus ed indicato gli elementi posti a fondamento dell’affermazione
di responsabilità, valorizzando, in particolare, in accordo con la sentenza di
primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme
affermazione di responsabilità (f. 6 ss.), le dichiarazioni della p.o.
(dettagliatamente riportate e motivatamente ritenute attendibili), nonché, a
fondamento della ritenuta sussistenza della contestata aggravante di cui all’art.
61 n. 7 c.p., che rende il reato procedibile di ufficio, l’elevata somma
truffaldinamente carpita dall’imputato alla p.o., pari a circa 35.000 euro (f. 8).

A tali rilievi, il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze, fondate su una personale e congetturale
rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare eventuali travisamenti nei
modi di rito, tentando di “atomizzare” gli elementi probatori raccolti nel corso
delle indagini preliminari e valorizzati dalla Corte di appello, i quali, al contrario,
consentono di ritenere accertata la commissione da parte dell’imputato del
reato contestato.

5. Il quinto motivo non è consentito per tardività, è generico, e comunque
manifestamente infondato.
La Corte di appello ha, infatti, osservato (f. 9) che la questione «è
preclusa se non proposta subito dopo che sia stato compiuto per la prima volta
l’accertamento della costituzione delle parti», mentre nel caso di specie era
stata dedotta soltanto nell’udienza di discussione del giudizio abbreviato), e che
comunque i vizi dedotti erano insussistenti, poiché l’art. 78, comma 1, lett. E),
c.p.p. richiede la sottoscrizione del solo difensore, e ritualmente il legale della ….

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in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta con la necessaria

parte civile «ha notificato l’atto di costituzione all’imputato ed al P.M., con
deposito all’udienza 19.02.2009 unitamente alla “separata” procura speciale,
sottoscritta dall’interessato e dal legale per autentica della firma».
Anche in questo caso, il ricorrente si è limitato a reiterare pedissequamente
censure già costituenti oggetto di appello accompagnate da clausole di stile, e
già motivatamente ritenute infondate.

6. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi

processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli ha
proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte
cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta colpa
– della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 27 marzo 2014

Il Consigli re estensofe
Sergi

Il P
Anto

nte
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dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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