Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30016 del 25/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30016 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Andrea Guido, quale difensore di Seck
Cheick (n. il 15/01/1978), avverso la sentenza della Corte d’appello di
Genova, III sezione penale, in data 22/05/2013.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Gianluigi
Pratola, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
OSSERVA:

Data Udienza: 25/03/2014

Con sentenza del 24/10/2007, il Tribunale di Genova dichiarò Seck
Cheick responsabile dei reati di cui all’articolo 171 ter L. 633/1941 (capo A:
perché deteneva per la vendita n. 146 CD abusivamente riprodotti in quanto
privi del marchio SIAE), 648 c.p. (capo B: ricettazione dei CD privi del
marchio SIAE e pertanto provento del reato di abusiva riproduzione di
materiale protetto dal diritto di autore; fatti accertati il 24/09/2006) e art. 6 D.
L.vo 25.07.1998 n. 286 (capo C senza giustificato motivo ometteva di esibire

un documento di identità ai Carabinieri che gliene avevano fatto richiesta)
unificati sotto il vincolo della continuazione e — concessa l’attenuante di cui al
secondo comma dell’art. 648 e con la riduzione per il rito — lo condannò alla
pena di giorni 20 di reclusione ed € 100,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato e il P.G. proposero gravame. La
Corte d’appello di Genova, con sentenza del 22/05/2013, assolse l’appellante
dai reati di cui ai capi A) e C) perché il fatto non è più previsto dalla legge
come reato e ridusse la pena a giorni 13 di reclusione ed Euro 53,33 di
multa. Confermò nel resto l’impugnata sentenza.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo che il Seck
Cheick non poteva essere condannato per il reato di ricettazione. Invero la
Corte di appello lo aveva assolto dal reato di cui all’articolo 171 ter L.
633/1941 (capo A) in quanto l’illecita riproduzione dei CD era stata desunta
solo dalla mancanza sui supporti sequestrati del marchio SIAE; quindi manca
con evidenza il reato presupposto della ricettazione, che è stato confermato
dalla Corte di appello in modo apodittico e in contraddizione con la
motivazione dell’assoluzione di cui sopra. Evidenzia, in subordine, la
manifesta illogicità della motivazione per quanto riguarda il diniego del
beneficio della non menzione.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è fondato.
Invero si rileva che dal capo di imputazione l’illecita riproduzione la si
ricava unicamente dalla mancanza del timbro SIAE (“privi del marchio SIAE e
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pertanto provento del reato di abusiva riproduzione di materiale protetto dal
diritto di autore’). La Corte di appello afferma, poi, che “nel caso di esame,
l’unico elemento dell’abusiva duplicazione si deduce proprio dalla mancanza
del suddetto marchio”.

In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio —
condiviso dal Collegio — che la semplice mancanza del contrassegno SIAE

riproduzione dei supporti audiovisivi che ne sono sprovvisti (fattispecie
relativa — come nel caso di cui ci occupiamo oggi – di reato commesso prima
del 21 aprile 2009, data di entrata in vigore del D.P.C.M. 23 febbraio 2009, n.
31, che ha “ripenalizzato” la mancanza del contrassegno; Sez. 3, Sentenza
n. 44892 del 22/10/2009 Ud. – dep. 20/11/2009 – Rv. 245273). Inoltre, non
integra il reato di ricettazione, per difetto del reato presupposto, la ricezione
di supporti audiovisivi privi di contrassegno Siae (Fattispecie di condotta
posta in essere prima del 21 aprile 2009, data di entrata in vigore del
d.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31, che ha reso nuovamente opponibile ai
privati l’obbligo di apposizione del contrassegno; Sez. 3, Sentenza n. 634 del
29/11/2011 Ud. – dep. 12/01/2012- Rv. 252129).
La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata senza rinvio
perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste

Così deliberato in Roma, il 25/03/2014.

non ha, di per sé, valore probatorio né indiziario dell’illecita duplicazione o

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