Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30001 del 01/06/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30001 Anno 2016
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– MESSINA FRANCESCO, n. 9/03/1965 a Marsala

avverso la sentenza della Corte d’appello di PALERMO in data 26/02/2016;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 01/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 26/02/2016, depositata in pari data, la Corte
d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di
Trapani in data 6/11/2013 appellata dal Messina, assolveva il predetto dai reati
ascritti limitatamente alle condotte relative al periodo da gennaio a luglio 2008

ne di copia degli atti all’INPS territorialmente competente, per l’effetto rideterminando la pena in C 6460,00 di multa, di cui C 6080,00 in sostituzione della
corrispondente pena detentiva di mesi 5 e gg. 10 di reclusione, relativamente alle rimanenti condotte concernenti il periodo da aprile a dicembre 2007, e confermando nel resto l’impugnata sentenza che lo aveva riconosciuto responsabile
del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ex
art. 2, legge n. 638 del 1983 per i periodi sopra indicati, prosciogliendolo invece
per il medesimo reato relativamente alle condotte commesse dal gennaio 2006
al marzo 2007 perché estinto per intervenuta prescrizione.

2. Ha proposto ricorso MESSINA FRANCESCO, a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex
art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 157 cod. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, il giudice di appello avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione per prescrizione
anche per le mensilità di aprile e maggio 2007, in quanto per ciascuna di esse il
termine massimo di prescrizione risultava interamente decorso ancor prima delle
sospensioni dichiarate nel corso del giudizio di appello, ossia in data 10/12/2014.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione all’art. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983, sotto il profilo della mancanza e contraddittorietà della motivazione per non aver riconosciuto la mancanza della predetta condizione di procedibilità.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la sentenza sarebbe affetta da motivazione apparente ed illogica in quanto
nell’affermare che, con l’avvertenza contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini, l’imputato sarebbe stato pienamente reso edotto delle inadempienze con2

per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissio-

testate, delle facoltà riconosciute dalla legge e dell’effetto estintivo del reato ad
esse connesso, non avrebbe tenuto conto di tali precetti; risulterebbe agli atti
che la diffida da parte dell’Inps non è stata regolarmente notificata e che pertanto l’imputato sarebbe venuto a conoscenza di quell’atto attraverso la notifica

ex

articolo 415 bis codice procedura penale; tuttavia, si sostiene, l’avvertenza ivi
contenuta così come formulata non poteva considerarsi atto equipollente

portava indicazioni idonee a consentire al datore di lavoro di versare le ritenute
omesse; nel riportare alle pagine 2 e 3 del ricorso il contenuto dell’avviso di conclusione indagini, sostiene il ricorrente come lo stesso non potesse obiettivamente considerarsi equipollente all’avviso di accertamento inviato dall’Inps, tenuto
conto che solo un operatore del diritto avrebbe avuto la capacità di comprendere
appieno il significato di quella avvertenza, erroneamente ritenuta dai giudici di
merito come idonea a rendere edotto l’imputato della possibilità di usufruire della
causa di non punibilità; censurabile sarebbe infine la sentenza laddove ritiene del
tutto irrilevante la circostanza della mancata notifica dell’elenco contenente gli
importi dei periodi dell’omesso versamento e ciò sulla base di un erroneo presupposto e cioè che vi sarebbe la prova dell’avvenuta notifica al Messina del prospetto delle inadempienze; ciò non sarebbe avvenuto poiché la relata di notifica
redatta dall’ufficiale di polizia giudiziaria del carcere sarebbe apposta nella parte
retrostante il secondo foglio dell’avviso e dunque non vi sarebbe prova della presenza quale allegato all’avviso di conclusione indagini di elementi propri
dell’avviso di accertamento redatto dall’Inps.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e), cod.
proc. pen., in relazione agli artt.. 62 bis e 133 cod. pen. e correlato vizio di motivazione illogica.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, agli atti erano presenti elementi in base ai quali sarebbe stato possibile
formulare un giudizio di minima gravità del reato e di ridotta capacità a delinquere del ricorrente, ciò che avrebbe consentito sia l’applicazione di una pena inferiore che il riconoscimento delle attenuanti generiche; in particolare non sarebbe
stato considerato che la società di cui l’imputato era legale rappresentante era
stata dichiarata fallita e che pertanto l’omissione contributiva era legata al momento di grave difficoltà economica in cui si trovava la ditta; pertanto l’imputato
non si trovava nelle condizioni economiche di effettuare il pagamento neanche
dopo la notifica dell’avviso di conclusione indagini, tenuto conto del fatto che era

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all’avviso di accertamento della violazione da parte dell’Inps, in quanto non ri-

stato detenuto per alcuni anni; la motivazione del diniego sarebbe sul punto insufficiente soprattutto considerando che è stata irrogata una pena molto elevata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Deve preliminarmente osservarsi che la Corte d’appello ha confermato la condanna pronunciata in primo grado per i periodi da aprile 2007 a dicembre 2007;
l’importo complessivo di cui è stato omesso il versamento risulta pari ad C
12.931,00, importo dunque eccedente la soglia di punibilità oggi prevista in relazione al reato per cui si procede a seguito delle modifiche normative operate dal
decreto legislativo n. 8 del 2016, chi ha fissato in C 10.000 annui la soglia di punibilità richiesta ai fini della perseguíbilità penale del fatto contestato.

5. Tanto premesso, quanto al primo motivo, con cui si eccepisce la prescrizione
in relazione alle mensilità relative ai periodi di aprile e maggio 2007, sostenendosi che il termine massimo di prescrizione risulterebbe già maturato alla data
del 10/12/2014, la doglianza difensiva non ha pregio.
Ed invero, tanto per la mensilità di aprile quanto per la mensilità di maggio
2007, deve tenersi conto della sospensione ex lege di mesi tre prevista dal
comma 1-quater dell’art. 2 del d.l. n. 463 del 1983 (“Durante il termine di cui al
comma 1 bis il corso della prescrizione rimane sospeso”), nonché delle sospen-

sioni verificatesi nel corso del dibattimento; alla luce di quanto sopra, mentre per
la prima mensilità la prescrizione risulta maturata alla data del 3/5/2016, per la
mensilità di maggio 2007, la stessa maturerà solo alla data del 2/06/2016.
Essendo peraltro il ricorso manifestamente infondato, in applicazione di un’ormai
consolidata giurisprudenza di questa Corte, non può rilevarsi l’intervenuta prescrizione del reato relativamente alla mensilità di aprile 2007 essendo intervenuta la sentenza d’appello in data antecedente, ossia il 26/02/2016. Ed infatti, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen. (per tutte: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep.
21/12/2000, D. L., Rv. 217266).

6. Quanto alla questione dedotta nel secondo motivo, riguardante il tema della
equipollenza tra la contestazione inviata dall’Istituto previdenziale e la notifica
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3. Il ricorso è manifestamente infondato e dev’essere dichiarato inammissibile.

dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, la Corte d’appello spiega le
ragioni per le quali non era accoglibile l’eccezione difensiva, attesa la intervenuta
allegazione del prospetto delle inadempienze in denuncia elaborato dall’Inps
all’avviso previsto dall’articolo 415-bis codice procedura penale, il quale conteneva gli avvertimenti previsti dall’avviso di accertamento dell’Istituto previdenziale,
dando altresì atto della corretta notificazione di tale prospetto all’imputato

dell’avvenuta notifica al detenuto, ed esistente agli atti del fascicolo del dibattimento di primo grado, copia conforme a quella notificata al difensore.
Trattasi di motivazione ineccepibile, anche la luce della più recente giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di omesso versamento delle ritenute
previdenziali e assistenziali, il termine di tre mesi per corrispondere l’importo dovuto ai fini della integrazione della causa di non punibilità del reato decorre dal
momento in cui l’indagato o imputato, oltre ad essere informato del periodo di
omesso versamento, dell’importo dovuto e del luogo ove effettuare il pagamento, risulti anche posto compiutamente a conoscenza della possibilità di ottenere
l’esecuzione della pena, ma la consapevolezza di tale facoltà può essere acquisita
in qualunque forma, non presupponendo la comunicazione di un avviso formale
in ordine ai benefici conseguibili per effetto del pagamento nel trimestre (Sez. 3,
n. 46169 del 18/07/2014 – dep. 10/11/2014, Gabrielli, Rv. 260912, relativa a
fattispecie in cui è stata affermata la consapevolezza dell’imputato di poter fruire
della causa di non punibilità alla luce del contenuto dei motivi di appello proposti
dal medesimo avverso la sentenza di primo grado).

7. Infine, quanto alla residua doglianza prospettata nell’ultimo motivo di ricorso
ed avente ad oggetto, da un lato, il trattamento sanzionatorio e, dall’altro, le circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello motiva il mancato riconoscimento delle predette attenuanti non solo richiamando la intrinseca gravità delle
condotte ascritte, ma anche valorizzando in chiave negativa il grave precedente
penale per estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 7 del d.l. n. 152 del 1991,
ciò che rendeva superfluo l’esame degli altri fattori attenuanti dedotti dalla ricorrente. Ed invero, la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art.
62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice
con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione,
non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente
motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno
dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n.
42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).
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all’epoca detenuto, come evincibile dalla copia restituita, con la prova

Quanto, invece, al trattamento sanzionatorio, la Corte di appello motiva adeguatamente spiegando le ragioni per le quali la pena è stata ritenuta congrua ed adeguata, tenuto conto della sistematicità del comportamento serbato nel corso
degli anni e della mancata dimostrazione che le difficoltà economiche che avrebbero determinato il fallimento dell’impresa individuale di cui era titolare il ricorrente, si fossero già manifestate nell’anno 2007. In ogni caso, osserva la Corte,

ro 300 di multa, pena sicuramente inferiore al medio edittale, di talché ben poteva reputarsi sufficiente a soddisfare l’onere motivazionale normativamente richiesto, il predetto giudizio di congruità. Deve infatti essere ricordato che la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in
relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la
pena sia dì gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere
(Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 – dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al
versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 1.500,00 in favore della
Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 1° giugno 2016

la pena base è stata determinata dal giudice in quattro mesi di reclusione ed eu-

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