Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29990 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29990 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: GAI EMANUELA

DEPOSITATA IN CANCELLERIA
SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Tesè Bernardo, nato a Trapani il 17/03/1979
2. Acabo Giuseppe, nato a Erice il 27/08/1973
3. Incarbona Francesca, nata a Erice il 19/12/1979
4. Papa Vincenzo, nato a Erice il 18/05/1982

avverso la sentenza del 23/04/2015 della Corte d’appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Pietro Gaeta
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi per gli imputati l’avv. Agatino Scaringi, per Giuseppe Acabo, e in sost. Avv.
Longo per Tesè, Incarbona e Papa, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento
dei ricorsi.

Data Udienza: 19/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 31 marzo 2014, il Giudice dell’Udienza preliminare del
Tribunale di Trapani, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato – tra gli altri Incarbona Francesca, in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 comma 2
cod.pen. e 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riguardanti diversi episodi di
acquisito, detenzione e cessione di continuata di sostanze stupefacenti tipo cocaina
e hashish, commessi in Trapani dal dicembre 2011 al luglio 2012, ritenuta la

e giorni venti di reclusione e C 40.000 di multa (capo A); Acabo Giuseppe, in
relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 comma 2 cod.pen. e 73 comma 1 d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309, riguardanti diversi episodi di acquisito, detenzione e
cessione di continuata di sostanze stupefacenti tipo cocaina e hashish, commessi in
Trapani dal dicembre 2011 al luglio 2012, concesse le circostanze attenuanti
generiche equivalenti alla contestata recidiva e con la diminuente per il rito, alla
pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione e C 24.000 di multa (capo E); Papa
Vincenzo in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 comma 2 cod.pen. e 73
comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riguardanti diversi episodi di acquisito,
detenzione e cessione di continuata di sostanze stupefacenti tipo cocaina e hashish,
commessi in Trapani dal gennaio al luglio 2012, e concesse le circostanze
attenuanti generiche e ritenuta la continuazione con i reati già giudicato con
sentenza G.U.P. di Trapani, irrevocabile il 26/02/2014 e con la diminuente per il
rito, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e C 24.000 di multa; Tesè
Bernardo, in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 81 comma 2 cod.pen. e 73
comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, riguardanti diversi episodi di acquisito,
detenzione e cessione di continuata di sostanze stupefacenti tipo cocaina e hashish,
commessi in Trapani dal dicembre 2011 al luglio 2012, e concesse le circostanze
attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e con la diminuente per il rito, alla
pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione e C 20.000 di multa.
1.1. La Corte d’appello di Palermo, investita dell’impugnazione di tutti gli imputati,
con sentenza in data 23 aprile 2015, ha confermato la sentenza di primo grado nei
confronti di Acabo Giuseppe, Papa Vincenzo, Tesè Bernardo, e, in parziale
accoglimento dell’appello, ha ridotto la pena inflitta a Incarbona Franscesca ad anni
cinque mesi quattro di reclusione e C 24.000 di multa.
1.2. In particolare il giudice dell’impugnazione ha evidenziato che il giudizio di
penale responsabilità espresso dal primo giudice a carico dei ricorrenti trovava un
solido ancoraggio sulle risultanze delle intercettazione telefoniche, disposte sulle
utenze di Acabo Giuseppe e Tesè Bernardo, e di quelle ambientali all’interno

contestata recidiva e con la diminuente per il rito, alla pena di anni otto, mesi dieci

dell’autovettura in uso a Incabona Francesca, oltre che dalle registrazioni di un
servizio di videosorveglianza disposto nei pressi dell’abitazione di quest’ultima. Gli
esiti delle intercettazioni erano accompagnati da interventi dei Carabinieri di
Trapani che avevano portato al sequestro di sostanze stupefacenti tipo hashish (il
sequestro di stupefacente era avvenuto in particolare il 30 gennaio 2012, il 2 e 5
febbraio 2012 quando era stato sequestrato agli acquirenti lo stupefacente appena
acquistato presso l’abitazione della Incarbona). In sentenza il giudice del merito ha,

Contrada Marausa, di un kg. 1,5 di hashish all’interno dell’autovettura del Tesè,
sequestro da cui erano partite le investigazioni; ha enucleato le conversazioni più
significative in relazione a ciascuna posizione degli imputati, e così ha risposto alle
censure mosse nei motivi, concludendo che gli elementi di prova acquisiti nel corso
delle indagini, a cui andavano aggiunte le dichiarazioni auto ed etero confessione di
Acabo Giuseppe, fornivano prova certa della continuata attività di spaccio realizzata
dalla coppia Acabo-Incarbona con l’ausilio, di volta in volta, degli altri imputati
ricorrenti. Infine, la Corte ha dato atto che era già stata applicata dal Tribunale di
Trapani la pena più favorevole di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309 (Fini-Giovanardi) rispetto a quella prevista dalla legge antevigente a seguito
della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.

2. Avverso alla sentenza hanno proposto ricorso gli imputati Acabo Giuseppe,
Incarbona Francesca, Papa Vincenzo, Tesè Bernardo, a mezzo dei difensori, e ne
hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod.
proc. pen.:
2.1. Il ricorso nell’interesse di Giuseppe Acabo deduce, con il primo motivo, il
vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione al travisamento
della prova con riferimento all’affermazione della responsabilità del capo 2D; la
Corte territoriale avrebbe travisato il contento delle conversazioni telefoniche,
utilizzate per fondare il giudizio di colpevolezza, laddove ha ritenuto che la parola
“maglietta” fosse sinonimo di droga; con il secondo motivo deduce la violazione
della legge penale e illogicità della motivazione in relazione all’esclusione
dell’applicazione del fatto di lieve entità di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, come risultante dalla modifica di cui alla legge 10 del 2014; con il
terzo motivo censura la sentenza sotto il profilo della legalità della pena per aver
applicato i giudici del merito la pena prevista dall’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309 nella formulazione dichiarata incostituzionale, ritenuta norma più

poi, dato atto, anche, del sequestro, avvenuto in data 12 dicembre 2011, in

favorevole, laddove, invece, in presenza di droghe leggere (hashish), la norma più
favorevole era quella dell’art. 73 comma 4 cit antevigente.
2.2. Il ricorso, nell’interesse di Francesca Incarbona, deduce, con un unico
motivo, la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione
all’affermazione della responsabilità penale fondata su elementi (intercettazioni
telefoniche) non sufficienti a provare, al di là del ragionevole dubbio, la
colpevolezza della stessa tenuto conto l’assenza di sequestri di stupefacenti nei suoi

2.3. Il ricorso nell’interesse di Vincenzo Papa deduce la violazione della legge
penale e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità
penale fondata su intercettazioni telefoniche di terzi, nel contesto delle quali si
farebbe riferimento a tale “Enzo”, non risultando elementi certi per affermare che
costui si identifichi nel ricorrente Papa Vincenzo, e ciò, anche, in considerazione che
il Papa non è mai stato trovato in possesso di stupefacente. Gli elementi di prova
enucleati nella sentenza sarebbero suscettibili di “spiegazioni alternative”; con il
secondo motivo, lamenta l’eccessività della pena inflitta ed invoca una mitigazione
in ragione della circostanza che il ricorrente decise di scegliere di essere giudicato
con il rito abbreviato e dunque un rito deflattivo, così da non impegnare il giudice
del dibattimento ad un lungo processo, sicchè la pena sarebbe non congrua, e
dell’episodicità dei fatti di cessione; infine censura la sentenza per violazione
dell’art. 133 cod.pen. per omessa valutazione delle circostanze di natura oggettiva
e soggettiva che avrebbero condotto ad una pena inferiore.
2.4. Il ricorso nell’interesse di Tesè Bernardo deduce, con un unico motivo, il
vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo. La
corte distrettuale non avrebbe considerato la condotta del ricorrente che decise di
scegliere di essere giudicato con il rito abbreviato, e dunque un rito deflattivo così
da non impegnare il giudice del dibattimento ad un lungo processo, al fine di un più
mite trattamento sanzionatorio, e non avrebbe considerato che la condotta ascritta
al Tesè era sicuramente episodica, infine, non avrebbe dato adeguata spiegazione
alla richiesta difensiva di esclusione della recidiva contestata al ricorrente. In
conclusione lamenta un trattamento sanzionatorio eccessivo e l’omessa valutazione
dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. che avrebbero condotto alla determinazione di
una pena più mite.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati
inammissibili.

confronti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi proposti nell’interesse di Incarbona Francesca, Papa Vincenzo, Tesè
Bernardo e Giuseppe Acabo, attesa la loro genericità e manifesta infondatezza,
collegata ai rispettivi motivi di ricorso, non superano il vaglio di ammissibilità di
questa Corte.
4.1. In via preliminare si osserva che nella giurisprudenza di legittimità si è avuto
modo ripetutamente di chiarire che il requisito della specificità dei motivi di cui agli

impugnazioni, implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte
intenda muovere con riferimento ad uno o più punti determinati della decisione, ma
anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base
delle censure medesime, e ciò al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di
individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez.
6, n. 31462 del 03/04/2013, Mazzucchetti, Rv. 256303; Sez. 6, n. 39247 del
12/07/2013, Tartaglione, Rv. 257434; Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907; Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
4.2. Ciò posto, procedendo all’esame dei singoli ricorsi, quello di Francesca
Incarbona è inammissibile per genericità. La ricorrente Incabona si è limitata ad
enunciare in modo apodittico e assertivo che le intercettazioni telefoniche e
ambientali non costituirebbero prova, al di là del ragionevole dubbio, e ciò tenuto
conto dell’assenza di sequestri di stupefacente nei suoi confronti. E’ palese
l’assenza di un contenuto specifico di critica alla sentenza impugnata; sentenza che,
al contrario, ha considerato un compendio probatorio di spessore e completezza
rispetto al quale la ricorrente nulla dice, limitandosi ad esprimere il dissenso
rispetto alle valutazioni compiute dalla Corte di appello, cercando di indurre il
giudice di legittimità ad una non consentita rivalutazione delle emergenze fattuali.
Con riguardo al tema dell’assenza di sequestri di droga in capo alla ricorrente, è
sufficiente rilevare che i sequestri di droga erano avvenuti dopo gli acquisiti
effettuati presso la sua abitazione, sequestri che confermavano un compendio
probatorio già esaustivo e chiaro in ordine alla sua partecipazione al reato di
cessione continuata di sostanza stupefacente documentato, “in presa diretta”, dalle
registrazioni delle telecamere installate presso la sua abitazione e dalle dichiarazioni
confessorie del di lei compagno Giuseppe Acabo.
L’aspecificità del motivo conduce, a norma degli artt. 581 comma 3 e 591 comma 3
cod.proc.pen., alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

581, lett. c), e 591, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., previsto per tutte le

4.4. Anche il ricorso di Vincenzo Papa è inammissibile, limitandosi il ricorrente a
dissentire dalla ricostruzione dei fatti e dall’affermazione di colpevolezza
prospettando possibili ricostruzioni alternative. Ed, infatti, non sarebbe certa,
secondo il ricorrente, l’identificazione dell’interlocutore “Enzo”, nelle intercettazioni
telefoniche di terzi, nell’odierno ricorrente, e gli elementi posti a fondamento della
condanna sarebbero suscettibili di “spiegazioni alternative”. Non solo il ricorrente
non specifica gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione, ma

a pag. 43, aveva risposto alla medesima censura sull’identificazione di “Enzo” nel
ricorrete Papa già devoluta in appello. In sostanza il ricorso è diretto a richiede
un’inammissibile sindacato da parte del giudice di legittimità sulla scorta di una generica – prospettazione alternativa della ricostruzione dei fatti. Per contro la
sentenza impugnata, con motivazione completa ed immune da vizi di logicità, ha
enucleato gli elementi probatori (pag.42) ricavati dagli esiti delle intercettazioni
telefoniche e, quanto al tema dell’identificazione dell’Enzo, ha evidenziato che oltre
ad essere stato riconosciuto dall’acquirente Castore, era stato video ripreso dalle
telecamere installate presso l’abitazione della coppia Incarbona-Acabo, centro del
traffico illecito.
Anche il secondo motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio è generico.
Palesemente inconsistente è la censura secondo cui la scelta del giudizio abbreviato
avrebbe dovuto comportare una riduzione maggiore (in considerazione del
“risparmio di tempo”). Il giudice dell’abbreviato ha gli stessi poteri di
determinazione della pena dovendo egli attenersi, al pari del giudice del
dibattimento, al rispetto dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen.; egli è tenuto, poi, ad
applicare la diminuente per il rito, all’esito del percorso di determinazione della
pena. Dunque la censura è mal posta e la determinazione della pena è corretta e
sorretta da adeguata motivazione ed è dunque incensurabile in questa sede. La
censura sull’eccessività della pena è generica e manifestamente infondata.

4.5. Alla stessa sorte non si sottrae neppure il ricorso di Tesè Bernardo che svolge
unicamente una censura sul trattamento sanzionatorio. Anche per la posizione del
Tesè in merito all’eccessività della pena conseguente al giudizio abbreviato valgono
le considerazioni svolte con riferimento ad analoga censura del Papa (vedi
par.4.4.); quanto al resto la Corte d’appello (pag. 47) ha congruamente
argomentato la ragione del riconoscimento della recidiva, fondata su un grave
precedente penale, ed ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto corretta la pena
in concreto irrogata dal primo giudice con motivazione ampia a fronte della quale il

omette di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza impugnata che,

ricorrente oppone una semplice censura di eccessività della stessa. Il ricorso va,
pertanto, dichiarato inammissibile.

4.6. Infine, il ricorso di Giuseppe Acabo è manifestamente infondato. Con il primo
motivo di ricorso il ricorrente propone una censura in fatto, in relazione
all’affermazione della responsabilità penale in ordine all’episodio di cui al capo sub
2D (il ricorrente è confesso sulle restanti imputazioni), contestando

l’interpretazione del termine “magliette” quale termine usato per indicare lo
stupefacente, censura che, in presenza di adeguata motivazione, non è sindacabile
in questa sede ( Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439). Sul punto la
sentenza impugnata si diffonde nell’illustrare il quadro probatorio emerso, sin
dall’inizio delle indagini (ricordando che apparteneva all’Acabo l’autovettura sulla
quale era stato rinvenuto Kg 1,5 di hashish in contrada Marausa), a carico
dell’Acabo che, unitamente alla compagna Incarbona, dirigeva una fiorente attività
di spaccio presso la loro abitazione (pag.21-22), dando atto della piena ammissione
dei fatti e, quanto alla censura, esponendo con precisione gli elementi probatori che
confermavano non solo l’utilizzo del termine criptico “magliette” per indicare la
droga, ma anche nell’individuare, sulla scorte di precise conversazioni telefoniche
(pag 21), gli elementi di prova dell’episodio sub 2D, nel quale – ipotizza la Corte la non ammissione dell’Acabo era diretta ad allontanare i sospetti sul fratello e sul
suo fornitore. Motivazione adeguata, congrua e sorretta e come tale incensurabile
in questa sede.
Anche il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato. Nella
giurisprudenza di questa Corte si è più volte enunciato il principio secondo il quale,
ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve
entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il giudice è tenuto a
valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia
quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), che quelli
che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente negare
il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (così, ex
plurimis, Sez. 4, n. 6732/12 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942;
Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, Sentenza n.
38879 del 29/09/2005, Frank, Rv. 232428). La Corte d’appello di Palermo ha fatto
corretta applicazione di tale criterio ermeneutico chiarendo, con motivazione

l’interpretazione del contenuto delle conversazioni telefoniche e segnatamente

congrua, nella quale non sono ravvisabili carenze o vizi di manifesta illogicità, come
la condotta dell’Acabo, per il suo ruolo di comprimario, per l’abitualità della
condotta, non potesse essere qualificata come di ridotta offensività ovvero di scarso
allarme sociale (pag.22-23).
Infine, il terzo ed ultimo motivo del ricorso è, parimenti, manifestamente infondato.
Il ricorrente, attraverso la prospettata illegalità della pena per avere la Corte
d’appello applicato l’art. 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 nella

sentenza n. 32 del 2014, in luogo della diversa previsione di cui all’art. 73 comma 4
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per le droghe leggere, propone una censura
motivazionale sulla affermazione della responsabilità in ordine al capo 2D rispetto al
quale è stata pronunciata condanna anche per la detenzione e cessione di cocaina.
Richiede, in altri termini, che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una
rinnovata valutazione del percorso argomentativo mediante il quale i Giudici del
merito hanno fondato l’affermazione di responsabilità che trova, al contrario
congrua motivazione sulla circostanza che in relazione a tale fatto era intervenuto il
sequestro di cocaina a carico del coimputato Cherchi Giuseppe in data 3/3/2012. Ne
consegue la manifesta infondatezza del motivo.

5. I ricorsi devono essere dichiarato inammissibili e i ricorrenti devono essere
condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno
2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati
presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in
via equitativa, di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e al versamento di C 1.500,00ciascuno in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 19/04/2016

formulazione previgente alla dichiarazioni di incostituzionalità ad opera della

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