Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29988 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29988 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

IOSSA ANTONIO, nato a Marigliano il 29/6/1969

avverso la sentenza in data 29/4/2015 della Corte di Appello di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro
Angelillis , che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 14/04/2016

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 29/4/2015, ha confermato
la decisione del Tribunale di Noia in data 10/4/2014 che aveva riconosciuto
IOSSA ANTONIO colpevole del reato ascrittogli al capo n. 4) della rubrica e, con
le attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena – sospesa – di mesi otto di
reclusione.
All’imputato viene contestato il reato di cui all’ art. 6 bis comma 2 L. n. 401 del

durante lo svolgimento dell’incontro di calcio con la squadra “Polisportiva
Comizianese”, invadeva il campo di gioco costringendo l’arbitro a interrompere
l’incontro.
Avverso la sentenza lo IOSSA propone, personalmente, ricorso per cassazione
affidato ad un unico ed articolato motivo concludendo per l’annullamento
della impugnata sentenza, con ogni conseguente statuizione.
Il ricorrente deduce, ai sensi

dell’art. 606, c.1, lett. c), c.p.p.,

in relazione

agli artt. 500, comma 2, 192, 530, comma 2, c.p.p., violazione di processuale
per avere la Corte di Appello, travisando la prova testimoniale, basato
l’affermazione di responsabilità dell’imputato sulle dichiarazioni rese dall’arbitro
D’ORSI GENNARO, senza verificarne l’attendibilità attraverso la ricerca di
elementi di riscontro e nonostante le contraddizioni emerse a seguito delle
contestazioni formulate dalla difesa nel corso del dibattimento. Ad avviso dello
IOSSA non sarebbe emerso al di là del ragionevole dubbio se effettivamente la
sospensione dell’incontro di calcio fu determinata dall’intervento, ritenuto
aggressivo, del dirigente della squadra “Aurora Comiziano”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito riportate.
Lo IOSSA si duole delle convergenti decisioni dei Giudici di merito che hanno
riconosciuto la responsabilità dell’imputato per la sospensione della competizione
sportiva disputata il 18/212007 tra la squadra di calcio “Aurora Comiziano”, di
cui era dirigente, e la squadra antagonista “Polisportiva Comizianese”, avendo
invaso, secondo l’ accusa contenuta nel capo d’imputazione, il campo di gioco
costringendo l’arbitro ad interrompere l’incontro.
Ciò che mette conto di rilevare e che la Corte d’ Appello in sentenza ha svolto
una unitaria valutazione delle dichiarazioni testimoniali raccolte, non solo di
quella dell’arbitro D’ORSI GENNARO, sulla quale si incentrano le censure del
ricorrente, e dopo un’attenta ricostruzione diacronica dei fatti salienti della
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1989, perché, in qualità di dirigente della squadra di calcio “Aurora Comiziano”,

vicenda per cui è processo è giunta ad affermare che “mentre l’arbitro alzava il
cartellino rosso per espellere il giocatore dell’Aurora” che aveva commesso un
fallo ai danni di un giocatore della squadra avversaria, “un dirigente di tale
squadra, l’odierno imputato IOSSA ANTONIO, si alzava repentinamente dalla
panchina e prima insultava … il dirigente dell’altrek squadra, SANTORELLI
SALVATORE, e poi gli si avventava contro e lo schiaffeggiava invadendo così il
rettangolo di gioco per poi dirigersi contro l’arbitro ma veniva bloccato dal
commissario di gara, LEO GIUSEPPE, e dunque la partita veniva sospesa”.

quelle di altri numerosi testi (LEO GIUSEPPE, SORRENTINO MARIO) escussi nel
corso del dibattimento di primo grado, non si comprende in cosa consisterebbe il
denunciato travisamento della prova che postula l’esistenza di una palese e non
controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione
della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto.
Vero è che le censure del ricorrente si risolvono in una mera sollecitazione alla
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sulla base di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza
individuazione di evidenti vizi di logicità tale da ragionevoli dubbi, ricostruzione
e valutazione che, in quanto tali, sono precluse in sede di giudizio di cassazione
(Sez. 1, n. 16/11/2006, DE VITA, Rv. 23369, Sez. 6, n. 36546 del 371072006,
Bruzzese, Rv. 235510).
Appare evidente come, seppure nel loro articolato sviluppo, le doglianze
difensive ripercorrono, in difetto di apprezzabili elementi di novità, le censure già
espresse nei motivi di appello, senza nemmeno tener conto delle puntuali
argomentazioni espresse dalla Corte territoriale per ritenerle destituite di
fondamento e che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli
apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia
pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione
esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non
possono essere investiti dalla censura di difetto, manifesta illogicità o
contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del
ricorrente.
Ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi
dell’art. 606 e. p. p., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove,
specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti
versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle
risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della
motivazione, nel caso di specie agevolmente superato (Sez. 4, n. 87 del
27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961).
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Ed allora, se le dichiarazioni rese dal D’ORSI coincordano nella sostanza con

Ma v’è di più, perché la manifesta infondatezza delle censure del ricorrente
IOSSA discende anche dal fatto che, come questa Corte ha avuto modo di
precisare, la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha
rilevanza, in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità
o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c)
c. p. p., sicché non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 c. p. p., con riferimento all’attendibilità dei testimoni
dell’accusa, la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata, atteso che il vizio

errore che concerna l’analisi di determinati e specifici elementi probatori (Sez. 3,
n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).
Va, in conclusione, rammentato l’orientamento, affermatosi nella giurisprudenza
di legittimità, secondo il quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione per
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non
punibilità di cui all’art. 129 c. p. p., ivi compresa la prescrizione intervenuta come nel caso di specie – nelle more del procedimento di legittimità (ex multis,
Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rg. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e non ravvisandosi, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.
sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della parte ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016.

di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione o

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