Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29977 del 12/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29977 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

ANDOLINO DAVIDE nato a Torino il 12.11.1974
ROCCADORO GIOVANNI nato in Svizzera il 2/12/1986

avverso la sentenza del 29/6/2012 della Corte di appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott. Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
relativamente al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto.

Data Udienza: 12/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 29.6.2012, la Corte di appello di Genova, decidendo
sull’appello proposto dal PG e dagli imputati avverso la sentenza del Giudice della
udienza preliminare del Tribunale di Savona del 10.7.2008 che aveva dichiarato
gli odierni ricorrenti, Andolino Davide e Roccadoro Giovanni, responsabili dei
reati di cui agli all’art 73 d.P.R. 309/1990 loro ascritti (per detenzione al fine di

reato di detenzione e porto illegale di arma, e li aveva condannati,
rispettivamente, l’Andolino, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla
pena di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 14.000,00 di multa e

il

Roccadoro, ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena di anni sei e mesi otto
di reclusione ed euro 34.000,00 di multa, dichiarava inammissibile
l’impugnazione di Roccadoro Giovanni e confermava la sentenza nei confronti di
Andolino Davide.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
Roccadoro Giovanni, per il tramite del difensore di fiducia, e Andolino Davide,
personalmente, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att.
cod. proc. pen:
Roccadoro Giovanni deduce con un unico motivo violazione di legge e vizio
di motivazione per la mancata verifica di eventuale sussistenza di motivi rilevabili
d’ufficio si sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Andolino Davide articola due motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce vizio motivazionale in ordine alle argomentazioni
offerte per affermare la responsabilità per il reato contestofondate solo sul
tenore delle conversazioni telefoniche intercettate con tale Pappalardo Luigi e
sulla circostanza dell’invio al predetto di due vaglia postali per una somma
complessiva dì euro 700,00.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 73
comma 5 d.P.R. n. 309/1990, in quanto il Giudice definiva imprecisato il
quantitativo di sostanza stupefacente ceduta ma non applicava l’ipotesi di lieve
entità.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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spaccio sostanza stupefacente di tipo hashish) e il solo Roccadoro anche del

1. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
2. Il motivo articolato da Roccadoro Giovanni è generico.
Il ricorrente lamenta la mancata verifica in ordine alla sussistenza di cause
di non punibilità, senza che la censura sia accompagnata dalla indicazione
specifica delle ragioni che avrebbero dovuto imporre al giudice l’assoluzione o il
proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorrente propone, pertanto, doglianza priva del necessario contenuto di
critica specifica al provvedimento impugnato.

violazione dell’art. 581 c.p.p., lett. c), che nel dettare, in generale, quindi anche
per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre
l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati,
tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’art.
591 c.p.p., comma 1, lett. c), determina, per l’appunto, l’inammissibilità
dell’impugnazione stessa (Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, rv. 242129; Sez. 6,
21.12.2000, n. 8596, rv. 219087).
3.11 primo motivo articolato da Andolino Davide è inammissibile.
Va, infatti, rilevata la aspecificità del motivo ai sensi degli artt. 591 e 581
cod. proc. pen.
Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice
di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe valutato il
compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua responsabilità, e
senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.
Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio,
senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla
capacità dimostrativa delle prove raccolte.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve
invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità
manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione
argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli
argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle
componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla
rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi
specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di
competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario.
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Il motivo, quindi, caratterizzandosi per assoluta genericità, integra la

Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere
rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere
idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
Il secondo motivo articolato da Andolino Davide è manifestamente
infondato.
Questa Corte ha precisato che la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990,
art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nell’ipotesi di minima offensività
penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dekgli

circostanze dell’azione); con la conseguenza che, ove uno di detti indici risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul
giudizio (ex plurimis, sez. un., 24 giugno 2010, n 35737; Sez.4, n.6732 del
22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015,
Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015,Rv.264490).
Facendo buon governo di tali principi, pertanto, la Corte territoriale, con
motivazione adeguata e priva di vizi logici, ha ritenuto che il giudice di prime
cure avesse correttamente escluso, con riguardo al caso in esame, l’ipotesi di cui
al comma 5 dell’art. 73 DPR n. 309/1990, in quanto dagli atti emergevano la
pluralità e la reiterazione delle condotte, sintomatiche di un traffico illecito,
nonchè quantità e prezzi piuttosto elevati delle contrattazioni illecite.
4. Nonostante i motivi di ricorso siano manifestamente infondati, la
statuizione dovrebbe essere, per altra e prevalente ragione, annullata, sulla base
di questione rilevabile anche d’ufficio.
In sede di legittimità ed anche in presenza di ricorso manifestamente
infondato, sono rilevabili di ufficio gli effetti delle modifiche normative
sopravvenute con riguardo alla più mite disciplina prevista in materia di
stupefacenti per le fattispecie di lieve entità, anche quando la pena irrogata
rientri nella cornice edittale della previgente disciplina come ripristinata per
effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 (principio
affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 46653/2015, Della Fazia,
depositata il 25.11.2015).
4.1. Va, infatti, considerato che la disciplina penale sulle sostanze
stupefacenti ha subìto, a causa di interventi sia normativi che della Corte
costituzionale, diversi rimaneggiamenti. Per quanto qui interessa, rileva solo
l’intervento demolitorio della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 32 del
2014, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4- vicies ter,
del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la
sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la
funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero
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altri parametri espressamente richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità,

di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49”.
A tale proposito, la Corte ha anche chiarito che, dichiarata l’illegittimità
costituzionale delle disposizioni impugnate, riprende applicazione l’art. 73 del
d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo anteriore alla declaratoria di incostituzionalità.

dichiarate incostituzionali, riguardando situazioni anteriori alla decisione della
Consulta, opera ex tunc sulla base di una sorta di retroattività degli effetti della
pronuncia d’incostituzionalità, come se le norme annullate non fossero mai
venute alla luce e dunque ripristinando, in tale ambito, la previgente disciplina,
con la relativa reintroduzione di differenti titoli di reato quanto alle fattispecie
riguardanti le droghe pesanti, da un lato, e quelle leggere, dall’altro, con
conseguente diversificazione del trattamento sanzionatorio, in precedenza
omologo, e producendosi tale effetto, a norma degli artt. 136 Cost. e 30,
6comma terzo, I. 11 marzo 1953, n. 87, “dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione”, nella specie avvenuta il 5 marzo 2014 (Gazzetta
Ufficiale n. 11, la Serie Speciale).
Da ciò è derivato, quindi, un regime sanzionatorio meno gravoso per le
cosiddette “droghe leggere” (la previsione sanzionatoria, reintrodotta per effetto
della sentenza della Corte costituzionale, stabilisce per le sostanze stupefacenti
di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14 la pena della reclusione da due a sei anni,
oltre la multa da 5.146 a 77.468 euro a differenza del regime oggetto
dell’intervento demolitorio della Corte costituzionale che prevedeva la pena
detentiva da sei a vent’anni, oltre la pena pecuniaria da 26.000 a 260.000 euro,
parificando il trattamento sanzionatorio per le droghe leggere a quello per le
droghe pesanti).
4.2. Nel caso di specie, con riferimento ai reati in materia di sostanze
stupefacenti ritenuti in sentenza, la pena è stata determinata in anni sei e mesi
otto di reclusione ed euro 34.000,00 di multa (applicato l’aumento per la
continuazione) per Roccadorì Giovanni ed in anni due e mesi otto di reclusione
ed euro 14.000,00 di multa per Andolino Davide (applicata la diminuzione per la
concessione delle circostanze attenuanti generiche e per la diminuente di rito).
Le pene applicate, sulla base delle suesposte considerazioni, devono
ritenersi illegali.
Questa Corte ha affermato che, anche quando il trattamento del caso
specifico rientri nella forbice edittale di cui alla restaurata disposizione (che,

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Ne consegue che, la “disapplicazione”, nei processi in corso delle norme

appunto, stabilisce per le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle II e IV dell’art.
14 la pena della reclusione da due a sei anni, oltre la multa da 5.146 a 77.468
euro), tuttavia la declaratoria di incostituzionalità ha determinato un
abbassamento, per le droghe leggere, della pena edittale sia minima che
massima, sia detentiva che pecuniaria, e ciò comporta l’assoluta necessità di una
rimodulazione del trattamento sanzionatorio complessivo nella considerazione
che il giudice nel determinare la pena, normalmente valuta, con riferimento alla
congruità in concreto della sanzione irrogata, sia il limite minimo che quello

stabilita, con la conseguenza che, mutato il parametro di riferimento, il giudice
del merito deve inderogabilmente esercitare il potere discrezionale conferitogli
dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
Il diritto dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., di
essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel
tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la “lex
mitior” anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella
nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa della pena ed il
rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la
misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri
edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità (Sez.U,n.46653 del
26/06/2015, Rv.265110).
5. Nondimeno prevale su tale rilievo d’ufficio, che rende i ricorsi non
manifestamente infondati, l’intervenuta estinzione dei reati per prescrizione.
Infatti, ad entrambi i ricorrenti è stato contestato il delitto di cui all’art. 73
comma 1 dpr 309/1990 avente ad oggetto sostanza stupefacente del tipo
hashish; i fatti sono stati commessi nel 2007 e, conseguentemente, per detto
reato, la cornice edittale, per l’effetto della sentenza n. 32/2014 della Corte
Costituzionale, prevede una pena detentiva che, nel massimo, è stabilita in anni
sei di reclusione; va dato atto che non risulta contestata la recidiva a Andolino
Davide e che, sebbene contestata a Roccadoro Giovanni, la recidiva non è stata
ritenuta rilevante ai fini della determinazione della pena.
Ne discende che il termine di prescrizione ordinario ex art. 157 cod pen. è di
anni sei aumentato di un quarto per effetto degli atti interruttivi intervenuti nel
corso del processo e, quindi, il termine complessivo della prescrizione va
determinato in anni sette e mesi sei, a decorrere dal 27.4.2007 e fino al
30.6.2007 per Andolino Davide e dal 4.4.2007 per Roccadoro Giovanni.
La fattispecie estintiva si è completata – non risultando cause di sospensione
del corso della prescrizione – tra il 27.10.2014 e il 30.12.2014 per Andolino
Davide e il 4.10.2014 per Roccadoro Giovanni.
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massimo, avendo come riferimento, per la commisurazione, la pena in astratto

A quest’ultimo, inoltre, sono contestati al capo O) i delitti di detenzione
illegale e porto in luogo pubblico di una pistola Smith&Wesson calibro 357
Magnum completa di sette cartucce, arma comune da sparo, delitti pure questi
accertati il 4.4.2007.
Orbene, per il delitto di detenzione illegale, punito con pena detentiva
massima di anni cinque e mesi quattro di reclusione, il termine ordinario di
prescrizione ex art. 157 cod. pen. è di anni sei aumentato di un quarto per
effetto degli atti interruttivi intervenuti nel corso del processo; il termine

decorrere dal 4.4.2007; la fattispecie estintiva, pertanto, per questo reato, si è
completata in data 4.10.2014.
Invece, per il delitto di porto in luogo pubblico dell’arma, punito con pena
detentiva massima di anni sei e mesi otto di reclusione, il termine ordinario di
prescrizione ex art. 157 cod.pen. è corrispondente a detta pena detentiva
massima; esso va aumentato di un quarto per effetto degli atti interruttivi
intervenuti nel corso del processo; il termine complessivo di prescrizione, quindi,
va determinato in anni otto e mesi quattro a decorrere dal 4.4.2007; la
fattispecie estintiva, quindi, per questo reato, si è completata in data 4.8.2015.
6. Consegue, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere i reati estinti
per prescrizione.
Così deciso il 12/4/2016

complessivo di prescrizione, quindi, è determinato in anni sette e mesi sei a

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