Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29976 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29976 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– ALAKHIR ABDELLAH, n. 17/06/1982 in MAROCCO

avverso la sentenza del GUP del tribunale di PRATO in data 23/05/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa E. Cesqui, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 15/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23/05/2013, depositata in pari data, il GUP del tribunale di
PRATO, applicava ex art. 444 c.p.p. al ricorrente ALAKHIR ABDELLAH la pena di
anni 2 e mesi 4 di reclusione ed € 6.000,00 di multa, ritenuta l’ipotesi del
comma 5 dell’art. 73 TU Stup. prevalente sulle aggravanti contestate e ritenuta

di applicazione della pena attengono, da un lato, al reato di cui all’art. 81 c.p. e
73, d.P.R. n. 309/90 contestato al capo a) dell’imputazione (detenzione a fini di
spaccio di stupefacente del tipo cocaina pari a gr. 11,50 lordi, divisi in 4 involucri
di plastica termosaldati custoditi all’interno di un borsello da uomo risposto nella
camera da letto dell’appartamento nella sua disponibilità e rinvenuti a seguito di
perquisizione; fatto avvenuto in Prato, il 14/04/2012), dall’altro, al reato di cui
all’art. 81 c.p., 73 d.P.R. n. 309/90 (cessione di stupefacente del tipo cocaina a
tredici assuntori, identificati nel capo d’imputazione sub a bis); fatti avvenuti in
Prato dall’ottobre 2011 all’aprile 2012 con condotta ancora in corso) e, infine, al
reato di cui all’art. 322, comma 2, c.p. (tentata istigazione alla corruzione, per
aver offerto al personale della squadra mobile che stava eseguendo la
perquisizione la somma di 88.000 euro, non accettata, rinvenuta come provento
dello spaccio di stupefacente, al fine di indurli a non compiere un atto del oro
ufficio e, segnatamente, non eseguire il sequestro della somma; fatto commesso
in Prato, il 14/04/2012).

2. Ha proposto tempestivo ricorso ALAKHIR ABDELLAH, a mezzo del difensore
fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta e deducendo tre
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale e la
mancanza di motivazione in ordine alla disposta confisca del denaro in
sequestro, quale corpo del reato di istigazione alla corruzione.
Si duole, in sintesi, il ricorrente per aver il giudice di merito disposto la confisca
della somma di denaro di 86.000,00 euro, in quanto costituente corpo del reato
di cui al capo b), ossia del delitto di istigazione alla corruzione “in quanto
strumento utilizzato per tentare la corruzione dei pubblici ufficiali”; il giudice non
avrebbe fatto buon governo del disposto dell’art. 322 ter c.p., il quale non
prevede la confisca né del prezzo né del profitto del reato di cui all’art. 322 c.p.,
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la continuazione tra i reati ascritti; le imputazioni per cui è intervenuta sentenza

donde il mancato richiamo del delitto contestato al ricorrente esclude la confisca
obbligatoria della somma di denaro; la confisca, deduce il ricorrente, sarebbe
possibile solo come “facoltativa” ex art. 240, comma 1, c.p., ciò che impone una
specifica motivazione al giudice, anche in sede di patteggiamento; quella fornita
dal giudice del merito, nel caso di specie, sarebbe idonea, in quanto fondata sulla
mera constatazione del fatto che il bene oggetto della confisca costituisca mezzo
di esecuzione del le reato; diversamente, il giudice avrebbe dovuto motivare

costituire un incentivo alla reiterazione della condotta criminosa, ma nulla di ciò
è rilevabile nella motivazione della sentenza impugnata.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, l’erronea applicazione della legge penale e
la mancanza di motivazione in ordine alla disposta confisca del denaro in
sequestro, quale provento dell’attività di spaccio nonché per l’assenza di
motivazione in ordine alla confisca facoltativa.
Si duole, poi, il ricorrente del fatto che il giudice di merito, quale seconda ragione
giustificativa della confisca del denaro in sequestro, ritiene che la somma
costituisca provento del reato di spaccio di stupefacente, atteso che il ricorrente
ha svolto continuativamente attività di spaccio e, che, pertanto, detta somma
costituisca provento di tale attività illecita, essendo il ricorrente privo di reddito
lecito; l’intervenuto riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73,
T.U. Stup., in particolare, esclude l’applicazione della confisca obbligatoria,
sicché detta somma sarebbe confiscabile solo ai sensi dell’art. 240, comma 1,
c.p. nelle forme della confisca facoltativa; difetterebbe, sul punto, la motivazione
(rectius, la motivazione sarebbe carente), non potendo certo considerarsi tale
l’affermazione per la quale il reo potrebbe nuovamente investire il denaro
nell’attività di spaccio o perché è inverosimile che la somma sia stata trasportata
in contanti dal Marocco da un amico padre del reo.

2.3. Deduce, infine, con un terzo motivo, il vizio di motivazione dell’impugnata
sentenza con particolare riguardo al profilo dell’applicazione, in sede di
patteggiamento, di un aumento eccessivo per la continuazione.
In sintesi, pur avendo il giudice ratificato l’accordo intervenuto tra le parti, il
ricorrente si duole per non aver espresso il giudice di merito alcuna
considerazione in ordine all’aumento della pena disposto per la continuazione
pari a mesi 6 di reclusione ed € 2.000,00 di multa.

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sulla circostanza che la libera disponibilità del denaro sequestrato potesse

3. Con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 20/12/2013,
il PG presso questa Suprema Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
per manifesta infondatezza, con condanna del ricorrente alla somma di 2.000,00
euro in favore della Cassa Ammende.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Ritiene, in particolare, il Collegio che – pur essendo accoglibile la doglianza
mossa con il primo motivo – la sentenza debba essere gpmulaque confermata per
aver comunque correttamente motivato il giudice di merito sulla ragioni della
applicata confisca al denaro in sequestro.

5.1. Ed invero, quanto alla doglianza di violazione di legge per la confiscabilità
del denaro in relazione all’art. 322 c.p., è pacifico che si tratti di confisca
facoltativa.
Questa Corte ha già affermato, infatti, che in caso di istigazione alla corruzione,
il denaro offerto o promesso al pubblico ufficiale non costituisce il prezzo o il
profitto, ma un semplice mezzo di esecuzione del reato da parte dell’autore
dell’istigazione e, come tale, può essere oggetto di confisca facoltativa in sede di
applicazione della pena su richiesta delle parti, a seguito della modifica apportata
all’art. 445 cod. proc. pen. dalla L. 12 giugno 2003, n. 134 (Sez. 6, n. 14178 del
27/02/2009 – dep. 31/03/2009, Sampietro, Rv. 243579).
Sul punto, la motivazione addotta dal giudice nell’impugnata sentenza (denaro
quale “strumento utilizzato per tentare la corruzione dei pubblici ufficiali”) è
tautologica e non soddisfa il requisito di congruità logica e concretezza
argomentativa richiesto dalla legge per l’assoggettabilità della res alla misura
ablatoria facoltativa; ed invero, sarebbe stato necessario motivare
adeguatamente sulla strumentalità dell’asservimento tra il denaro ed il reato de
quo, attesa l’evidente occasionalità in cui la condotta delittuosa di offerta ebbe a
manifestarsi.
Pacifico, infatti, è nella giurisprudenza di questa Corte che 02a confisca facoltativa
prevista dall’art. 240, comma primo, cod. pen. è legittima quando sia dimostrata
la relazione di asservimento tra cosa e reato, dovendo la prima essere collegata
al secondo non da un rapporto di mera occasionalità ma da uno stretto nesso
strumentale, rivelatore dell’effettiva probabilità del ripetersi di un’attività punibile
(Sez. 6, n. 13049 del 05/03/2013 – dep. 21/03/2013, Spinelli, Rv. 254881).
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4. Il ricorso dev’essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.

5.2.

L’impugnata sentenza deve, tuttavia, essere confermata quanto alla

statuizione della disposta confisca attesa la congruità delle argomentazioni
esposte quanto alla confiscabilità del denaro con riferimento al residuo reato per
cui il ricorrente è stato giudicato.
Ed infatti, quanto al secondo motivo con cui il ricorrente si duole della confisca
della somma di denaro, disposta dal giudice anche per il reato di cui all’art. 73,
T.U. Stup., riguardante una ipotesi di detenzione illecita dello stupefacente per

(come del resto puntualmente chiarito dal giudice nella motivazione
dell’impugnata sentenza, in cui si chiarisce che l’imputato risulta svolgere
continuativamente l’attività di spaccio ed è privo di altre fonti di reddito, ditalchè
la somma in questione potrebbe essere nuovamente investita nell’illecita attività
di spaccio), sicchè il reo non potrebbe mai rientrare in possesso della somma
costituente la controprestazione della cessione.
Sul punto, questa Corte ha già avuto modo in più occasioni di affermare, anche a
Sezioni Unite, che il negozio di cessione a fine di consumo di sostanza
stupefacente è un atto contrario a norme imperative, ma non anche al buon
costume, in quanto, mentre la contrarietà di un atto al buon costume, deve
essere necessariamente bilaterale, nel negozio in questione è penalmente illecita
solo la condotta di chi vende, non anche quella di chi acquista per uso personale.
Ne consegue che ad esso non può applicarsi il principio “in pari causa melior est
condicio possidentis” che è proprio dei negozi contrari al buon costume, onde lo
spacciatore non ha diritto di ritenzione delle somme ottenute dalla cessione (Sez.
U, n. 10372 del 27/09/1995 – dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202267).
A ciò si è aggiunto che, nella sentenza resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
la confisca può essere disposta solo per le cose che costituiscono il prezzo del
reato ovvero la cui fabbricazione, porto, uso, detenzione o alienazione
costituiscono reato, ovvero ancora per le ipotesi speciali espressamente previste
anche per i casi di applicazione di pena su richiesta delle parti, e con esclusione,
quindi, per le cose che rappresentano il prodotto o il profitto del reato (Sez. U, n.
9149 del 03/07/1996 – dep. 17/10/1996, Chabni Samir, Rv. 205708).
L’infondatezza del secondo motivo di ricorso, dunque, consente di ritenere
corretto il percorso logico – argomentativo con cui il giudice di merito ha
provveduto all’ablazione della somma sequestrata al ricorrente, rendendo privo
di rilevanza quanto argomentato dal ricorrente in relazione al primo motivo.

5.3. Quanto, infine, al terzo ed ultimo motivo di ricorso, lo stesso si palesa,
all’evidenza, inammissibile, posto che, in tema di patteggiamento, una volta che
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finalità di spaccio, è pacifico che, nel caso in esame, si tratti di profitto del reato

l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di
applicazione della pena, non è consentito censurare il provvedimento con
riguardo alla disciplina della continuazione tra i reati, neppure sotto il profilo
an nza di motivazione, poiché
della manca

giudice è tenuto in propositoaverificare

più grave,
en
soltanto la corretta
quantificazione della pena per il reato ritenuto
rr
tenuto conto di eventuali circostanze, ed il contenimento entro il triplo
dell’aumento applicato per i reati satellite (Sez. 6, n. 32004 del 10/04/2003 –

6. Il ricorso dev’essere, conclusivamente, rigettato. Segue, a norma dell’articolo
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2014

Il Presidente

dep. 29/07/2003, P.G. in proc. Valetta, Rv. 228404).

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