Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29974 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29974 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

Data Udienza: 06/05/2014

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli;
avverso l’ordinanza emessa il 20 novembre 2013 dal tribunale del riesame
di Napoli nei confronti di Sullo Francesco;
udita nella udienza in camera di consiglio del 6 maggio 2014 la relazione
fatta, dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore avv. Celestino Gentile;

Svolgimento del processo
1. I vigili urbani di Qualiano – recatisi il 15 luglio 2013 in via Pertini 7 per
dissequestrare un immobile a seguito della sentenza del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Marano, del 10 luglio 2008 che aveva dichiarato la prescrizione del reato — notavano che i lavori sull’immobile, già sottoposto a sequestro
il 29 dicembre 2003, erano proseguiti con violazione dei sigilli e con la realizzazione di due appartamenti, ormai ultimati in ogni loro parte e completamente
definiti, ed abitati uno da tale Vinacci Clara e l’altro dal proprietario Sullo
Francesco.
La PG effettuò il sequestro preventivo dell’immobile, che venne convalidato dal Gip con provvedimento del 22.7.2013, in riferimento ai reati di cui agli
artt. 44, lett. b), d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, e 349 cod. pen.
2. Con istanza del 4 ottobre 2013 il Sullo chiese la revoca del sequestro,

4).

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3. Il tribunale del riesame di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe, dispose il
dissequestro dell’immobile con sua restituzione all’avente diritto, osservando: che dalla documentazione esibita doveva ragionevolmente ritenersi che gli immobili erano abitati fin dalla fine del 2004, sicché entrambi i reati si erano prescritti; – che invero la violazione dei sigilli si era già consumata in quella data; che anche la violazione edilizia doveva farsi risalire a quell’epoca come era dimostrato altresì dall’istanza di condono depositata alla fine del 2004 e che faceva riferimento agli immobili nel loro stato attuale; – che in ogni caso gli immobili erano stati accatastati nel 2007.
4. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli propone ricorso per cassazione deducendo:
1) che l’uso effettivo dell’immobile accompagnato dalla attivazione delle
utenze e dalla presenza di persone non è sufficiente a far ritenere ultimato
l’immobile abusivo, in quanto l’ultimazione coincide con la conclusione dei lavori interni ed esterni, degli intonaci e degli infissi. Nella specie, sulla base della documentazione in possesso del tribunale del riesame, era giuridicamente
impossibile dedurre con certezza il momento consumativo, ossia l’ultimazione
delle opere con tutte le loro rifiniture.
2) che il sequestro preventivo era stato concesso anche per il reato di violazione dei sigilli, non prescritto ed attuale, perché da considerare commesso fino al giorno del sequestro.
5. Nell’imminenza dell’udienza in camera di consiglio l’indagato, a mezzo
dell’avv. Celestino Gentile, ha depositato memoria di replica al ricorso del PM.
Motivi della decisione
1. Il ricorso del PM è chiaramente infondato perché si basa su erronei presupposti di diritto.
Innanzitutto va ricordato che, in tema di misure cautelari reali, il ricorso
per cassazione è ammesso solo per violazione di legge o per totale mancanza di
motivazione, cui è equiparata la motivazione meramente apparente, e non per
altri vizi di motivazione.
Nella specie il tribunale del riesame ha fornito una motivazione più che
adeguata delle ragioni per le quali ha ritenuto che i lavori abusivi fossero stati
ultimati, e che quindi i reati si fossero consumati, al più tardi nel 2004, in considerazione del fatto: – che entrambi gli appartamenti risultavano abitati sin dalla fine del 2004, come comprovato dalle ricevute di pagamento delle bollette elettriche (il che presupponeva che la violazione dei sigilli si fosse già realizza-

perché i reati si erano da tempo prescritti.
Con ordinanza del 9 ottobre 2013 il Gip respinse l’istanza perché il condono non si era verificato e i reati non erano prescritti.
La difesa propose appello sostenendo, sulla base di apposita documentazione, che entrambe le unità erano abitate fin dal 2004.

ta); – che dall’istanza di condono presentata alla fine del 2004 faceva riferimento agli immobili nel loro stato attuale, il che dimostrava che a tale data gli immobili erano stati ultimati in ogni loro parte; – che era documentalmente provato che gli immobili erano stati accatastati già alla fine del 2007. Inoltre, la difesa aveva documentalmente provato: – che il secondo appartamento era stato dato in locazione a terzi fin dal 15.10.2004 e che da tale data era appunto abitato
dai locatari; – che la comunicazione della avvenuta cessione in locazione, accompagnata da copia del relativo contratto, era stata effettuata alla polizia il
16.10.2004; – che ciò risultava anche dal certificato di residenza storico della
locataria Vinacci Clara, oltre che dalla fatture dell’energia elettrica e del gas del
dicembre 2004 a costei intestate.
2. Il pubblico ministero ricorrente, in sostanza, deduce che tutte queste circostanze non sarebbero state idonee a dimostrare l’avvenuta ultimazione delle
opere abusive alla fine del 2004, sicché non vi sarebbe prova della data di ultimazione dei lavori fino alla data del successivo sequestro del 15 luglio 2013. In
particolare richiama una massima secondo cui l’uso effettivo dell’immobile, accompagnato dalla attivazione delle utenze e dalla presenza di persone nel suo
interno non sarebbe sufficiente a far ritenere ultimato l’immobile abusivamente
realizzato perché non dimostrerebbe l’ultimazione di tutti i lavori di rifinitura
interni ed esterni (Sez. III, 18.10.2011, n. 39733, Ventura, m. 251424).
Sennonché, si tratta di una massima che si riferisce ad una situazione di
fatto completamente diversa da quella esaminata nel caso in esame e che comunque, qualora dovesse essere intesa nel senso assoluto in cui l’intende il PM
ricorrente, non potrebbe essere qui condivisa e confermata.
Difatti, secondo la pacifica e costante giurisprudenza — dalla quale non si
vede, per la verità, alcuna ragione per cui ci si debba ora discostare — il reato di
reato di abuso edilizio, ossia di realizzazione di una opera edilizia senza il necessario titolo abilitativo, ha natura di reato permanente la cui consumazione ha
inizio con l’avvio dei lavori di costruzione e termina con la cessazione di tali
lavori, a qualsiasi causa tale cessazione sia dovuta (Sez. Un., 27.2.2002, n.
17178, Cavallaro, m. 221399, nonché Sez. Un., 14.7.1999, n. 18, Lauriola, m.
213932, con riferimento al reato di cui agli artt. 3 e 20 legge 2 febbraio 1974, n.
64, le quali hanno motivatamente e definitivamente escluso che nel nostro ordinamento positivo possa trovare accoglimento la concezione bifasica del reato
permanente).
Già in precedenza, del resto, si era esattamente precisato, in applicazione
del principio affermato dalla sentenza Lauriola, che «Il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia
illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di
lavori, sia essa volontaria o imposta “ex auctoritate”, o nella ultimazione dei
lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado
ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio»
(Sez. III, 25.9.2001, n. 38136, Triassi, m. 220351).
In seguito si è ancora precisato, in relazione alle diverse situazioni particolari, che «La cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va

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individuato nel momento della ultimazione dell’opera, ivi comprese le rifiniture
esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione, contenuta
nell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che anticipa tale momento a
quello della ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento
consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso di
costruire)» (Sez. III, 3.6.2003, n. 33013, Sorrentino, m. 225553); e che «Il momento consumativo del reato di costruzione abusiva si realizza con l’ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle rifiniture, anche per le parti che costituiscono annessi dell’abitazione» (Sez. III, 27.1.2010, n. 8172, Vitali, m. 246221).
Dunque, anche l’affermazione che il momento consumativo del reato va
individuato in quello della ultimazione dell’opera, comprese le strutture esterne
ed interne, è stata sempre fatta per escludere che a questo fine rilevi la diversa
nozione di ultimazione della struttura, utilizzata dalle norme sul condono edilizio, e lo stesso riferimento al completamento delle rifiniture esterne ed interne è
stato, a sua volta, sempre utilizzato per chiarire, in via generale, quando l’opera
possa ritenersi ultimata. Tutte queste massime, quindi sono esclusivamente finalizzate alla migliore definizione della nozione di ultimazione dell’opera abusiva
e non anche — e non poteva essere diversamente — alla modificazione o al superamento dei principi enunciati dalle citate sentenze delle Sezioni Unite in ordine
al momento consumativo del reato di costruzione abusiva.
Resta quindi fermo il princip,io enunciato dalle suddette sentenze delle Sezioni Unite, che la permanenza del reato termina — e il reato si consuma — nel
momento in cui cessano o vengono sospesi, per qualsiasi causa, volontaria o
imposta, i lavori abusivi, e che la cessazione dei lavori va di solito (ma non necessariamente) individuata nel completamento dell’opera (con le rifiniture interne ed esterne) o con la sentenza di primo grado. L’elemento decisivo per la
consumazione dei reato, quindi, è la cessazione dei lavori abusivi e non le rifiniture interne ed esterne che sono solo un sintomo — nella normalità dei casi del completamento dell’opera e quindi della cessazione dei lavori. E’ pertanto
possibile (anche se in casi marginali) che i lavori siano definitivamente cessati e
la permanenza sia terminata, anche senza l’ultimazione, nel senso anzidetto,
dell’opera.
3. Ora, nel caso in esame, il giudice del merito ha accertato che il lavori
edilizi erano sicuramente cessati definitivamente alla fine del 2004, tanto che da
quell’epoca un appartamento era stato dato in locazione ed entrambi gli appartamenti erano abitati. Esattamente, pertanto, ha ritenuto che il reato si fosse
consumato in quella data. Il pubblico ministero ricorrente, del resto, non ha indicato il benché minimo elemento concreto — erroneamente non preso in considerazione dal tribunale del riesame — da cui si dovrebbe desumere che i lavori
siano continuati in epoca successiva.
Inoltre, sempre facendo erroneamente riferimento alle rifiniture esterne ed
interne, il ricorrente sostiene che, poiché non vi sarebbe prova del loro completamento, non vi sarebbe certezza sulla data di consumazione del reato. Con ciò

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però il ricorso incorre in un ulteriore errore di diritto, essendo pacifico che spetta all’accusa e non alla difesa provare che vi sia stata una condotta costituente
reato e, quindi, nella specie, spetterebbe all’accusa provare che anche dopo la
fine del 2004 l’indagato abbia tenuto una condotta positiva di effettuazione di
lavori edilizi abusivi.
E’ comunque erroneo l’assunto che, poiché non vi sarebbe certezza sulla
data di consumazione del reato, questo non potrebbe essere dichiarato prescritto. Esattamente la difesa, nella memoria di replica, osserva che al ricorrente
sfugge la natura cogente del principio del favor rei. In forza di tale pacifico
principio e della sua costante applicazione in tema di prescrizione del reato, infatti, la decorrenza del termine prescrizionale deve essere riconnessa al dato
temporale, tra quelli desumibili dalla vicenda storica, maggiormente risalente
tale da consentire il maturarsi della prescrizione.
4. Altrettanto infondato è il secondo motivo, con il quale il PM ricorrente
sostiene che il reato di violazione dei sigilli non si sarebbe prescritto, perché sarebbe ancora attuale e da considerarsi commesso fino al giorno del sequestro,
vale a dire fino al 15 luglio 2013. Il tribunale del riesame aveva invece — esattamente — osservato che i sigilli erano stati apposti il 29 dicembre 2003; che
l’immobile era abitato sin dalla fine del 2004, con pagamento delle bollette
dell’energia elettrica e del gas; che pertanto ciò dimostrava che la violazione dei
sigilli era a quell’epoca già realizzata essendosi presumibilmente verificata con
la ripresa dei lavori abusivi poco dopo l’apposizione dei sigilli medesimi.
Il ricorrente, invece, richiamando anche in questo caso una decisione di
questa Corte (Sez. III, 25.10.2012, n. 47137, Salzano, non massimata), sostiene
che il reato di violazione dei sigilli sarebbe stato attuale fino alla data del sequestro, non tanto perché si tratterebbe di un reato permanente, quanto piuttosto
perché si sarebbe verificata una pluralità di reati di violazione dei sigilli e precisamente un distinto ed autonomo reato per ogni giorno in cui l’immobile abusivo, pur dopo la sua ultimazione, è stato abitato ed utilizzato: pluralità di reati
che sarebbero comunque avvinti dal vincolo della continuazione.
Sennonché, come esattamente osserva la difesa nella memoria di replica,
tale decisione si riferisce anch’essa ad una situazione di fatto diversa
dall’attuale e comunque conferma il principio che il reato di violazione dei sigilli ha natura istantanea.
5. In ogni caso, il criterio adottato da tale decisione non è applicabile al caso in esame.
Ed invero, è innanzitutto indiscutibile che — come affermato dal giudice
del merito — il sequestro preventivo venne nella specie disposto il 29 dicembre
2003 per impedire la continuazione dei lavori abusivi e l’ultimazione
dell’opera, sicché sono inconferenti le considerazioni ed i richiami di giurisprudenza (Sez. Un., 26.11.2009, n. 5385 del 2010, D’Agostino, m. 245584) relativi alla possibilità di apporre i sigilli per impedire l’uso illegittimo della cosa.
Ciò posto, secondo la assolutamente univoca e costante giurisprudenza —
dalla quale anche in questo caso non v’è ragione per discostarsi — «La violazio-

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ne di sigilli punita dall’art. 349 cod. pen. è reato istantaneo, che si perfeziona
con il solo fatto della rimozione, rottura, apertura, distruzione dei sigilli, ovvero con la realizzazione di un qualsiasi comportamento idoneo a rendere frustranea l’assicurazione della cosa mediante i sigilli, pur lasciando intatti i medesimi. Ogni evento ulteriore, in particolare la manomissione della cosa posta
sotto sigillo, è irrilevante, potendo solo dar luogo ad altro reato, ovvero costituire effetto valutabile per la determinazione della gravità del reato» (Sez. VI,
21.12.1992, n. 4601 del 1993, Grasso, m. 192960; conf. Sez. III, 2.2.2005, n.
13147, Savarese, m. 231218; Sez. III, 7.7.2004, n. 37398, Priolo, m. 230043;
Sez. III, 17.4.2002, n. 21405, Massa, m. 221977; Sez. III, 11.4.1995, n. 6351,
Merra, m. 202377; queste ultime massime ribadiscono che ogni successiva, eventuale infrazione costituisce un nuovo, autonomo reato, eventualmente unificabile per continuazione con le violazioni precedenti).
Pertanto, nel caso in esame, quand’anche fossero ravvisabili diverse autonome condotte di violazione dei sigilli (circostanza che nella specie sarebbe irrilevante) la continuazione sarebbe comunque cessata con l’ultimazione
dell’opera, fissata dal giudice del merito alla fine del 2004, non essendo contestate, né prospettate, né ravvisabili ulteriori condotte da parte dell’indagato dirette a rendere frustraneo il vincolo sulla cosa continuando l’abusiva attività edificatoria, attività che l’apposizione dei sigilli era diretta ad impedire.
6. In realtà nella specie non appaiono ravvisabili, da quanto risulta
dall’ordinanza impugnata, una pluralità di violazioni del vincolo reale, consistenti nella rimozione, anche simbolicamente intesa, dei sigilli. Difatti, l’unica
violazione dell’art. 349 cod. pen. appare presumibilmente commessa in
un’epoca immediatamente successiva alla sottoposizione dell’immobile al primo sequestro preventivo intervenuto il 29 dicembre 2003, la cui sottrazione al
vincolo di indisponibilità era finalizzata, evidentemente, all’ultimazione dei lavori. Non risultano ulteriori condotte che, al di là di quella originaria, possano
integrare diverse ed ulteriori ipotesi penalmente sanzionabili.
D’altra parte, se dovesse davvero condividersi la tesi prospettata dal pubblico ministero ricorrente, si finirebbe per snaturare il delitto di violazione dei
sigilli trasformandolo in un reato permanente, in contrasto con il pacifico costante orientamento di dottrina e giurisprudenza, secondo la quale, come si è
dianzi riportato, «ogni evento ulteriore, in particolare la manomissione della cosa posta sotto sigillo, è irrilevante, potendo solo dar luogo ad altro reato, ovvero
costituire effetto valutabile per la determinazione della gravità del reato».
7. Per completezza può ricordarsi che recentemente, in relazione ad altro
ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli
avverso una ordinanza del tribunale del riesame di Napoli che in un caso analogo aveva annullato un sequestro preventivo per essere il reato edilizio estinto
per prescrizione, questa sezione ha affermato che «se è vero che qualsiasi prosieguo della attività edilizia abusiva comporta una riattualizzazione dell’illecito
urbanistico, è altrettanto vero che la insussistenza di elementi valevoli a datare
la condotta illecita, in uno al riscontrato completamento dell’immobile ed al suo

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accertato utilizzo da parte del committente, rappresentano fattori che non consentono di escludere la ricorrenza della causa estintiva della prescrizione» (Sez.
III, 7.3.2013, n. 16503, D’Auria, non massimata).
Il ricorso del pubblico ministero va pertanto rigettato.
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Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 6
maggio 2014.

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