Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29973 del 30/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29973 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– DONG XUEYUN, n. 19/94/1975 in CINA

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di GENOVA in data 25/11/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. A. Policastro, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 30/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25/11/2013, depositata in data 28/11/2013, il tribunale del
riesame di GENOVA confermava il decreto di convalida del sequestro probatorio
disposto dal P.M., avente ad oggetto 8.486 articoli in pelle e relative confezioni,
in quanto asseritamente corpo del reato di cui agli artt. 4, comma 49, legge n.

2. Ha proposto tempestivo ricorso il DONG, a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta, chiedendone l’annullamento e
deducendo un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., per
erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b),
c.p.p. con riferimento all’art. 240 c.p.
In sintesi, si duole il ricorrente per aver il tribunale respinto l’istanza di limitare il
sequestro probatorio ad un solo campione dei prodotti, erroneamente
richiamando una sentenza di questa Corte che preclude la possibilità di disporre
il dissequestro di cose che soggiacciono a confisca obbligatoria; diversamente,
sostiene la difesa del ricorrente, la normativa applicabile al caso in esame
(segnatamente, l’art. 4, comma 49, legge n. 350/2003) prevede la possibilità di
regolarizzare la merce (così escludendo implicitamente l’applicazione dell’art.
240 c.p.), attraverso la semplice apposizione di un’etichetta; l’insuscettibilità
dell’adozione della misura ablatoria non trattandosi di merce confiscabile
“obbligatoriamente” renderebbe illegittimo il provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Ed invero, dall’esame del provvedimento impugnato e del provvedimento
genetico che ha dato origine all’istanza di riesame, emerge che il 9 agosto 2013,
personale della Guardia di Finanza procedeva al controllo di un camion con
relativo container rinvenendo all’interno 86 colli contenenti portafogli in pelle,
merce destinata alla ditta “Borse Silvio” di Dong Xueyun & co. S.a.s.; da una
verifica della merce, emergeva che la stessa presentava fallaci indicazioni circa la
provenienza della stessa, indicazioni che inducevano a ritenere che si trattasse di
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350/2003 e 517 c.p.

merce di provenienza italiana, anziché cinese, come dichiarato; a seguito di un
primo annullamento del decreto di sequestro probatorio per carenza di
motivazione in ordine alla esigenze probatorie, veniva riemesso un nuovo
decreto di sequestro probatorio, impugnato nuovamente davanti al giudice del
riesame; quest’ultimo, in particolare, riteneva sussistere – oltre che le concrete
esigenze probatorie, stavolta puntualmente specificate nel nuovo decreto di

provenienza effettiva dei beni risulta apposta su una linguetta di stoffa inserita
all’interno dei singoli portafogli, linguetta facilmente amovibile e peraltro no
immediatamente visibile al potenziale acquirente; b) l’astuccio di cartone
costituente la confezione del prodotto raffigura i principali monumenti italiani ed
appare in grado di indurre in errore il consumatore sulla provenienza della
merce, soprattutto se abbinata alla dicitura “vera pelle” apposta sul portafogli, a
prescindere dalla caratteristiche complete del marchio registrato.
Il tribunale del riesame, poi, nel rigettare la richiesta di limitazione del sequestro
ad un solo campione dei prodotti sequestrati, richiamava una decisione di questa
Corte secondo cui le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono
essere restituite in nessun caso all’interessato, anche quando siano state
sequestrate dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa e per finalità
esclusivamente probatorie, poichè l’art. 324 cod.proc.pen., nel disciplinare il
procedimento di riesame delle misure cautelari reali, stabilisce al comma settimo
che la revoca del provvedimento di sequestro non può essere disposta nei casi
indicati dall’art. 240, secondo comma, cod. pen., e tale norma è espressamente
richiamata dall’art. 355, comma terzo, cod.proc.pen., in materia di sequestro
probatorio (Sez. 4, n. 6383 del 18/01/2007 – dep. 15/02/2007, Barbareschi, Rv.
236106 ed altre conformi); aggiungeva, peraltro, che la regolarizzazione dei
beni, ove possibile, non rientrava nei poteri del collegio della cautela.

5. Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato.
Per meglio comprende l’approdo decisionale di questa Corte è utile soffermarsi
brevemente sulla norma richiamata.
L’art. 4, comma 49, della L. 24 dicembre 2003 n. 350 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – c.d. legge finanziaria
2004), prevede come reato la “importazione e l’esportazione a fini di
commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti
diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o
fallaci indicazioni di provenienza o di origine”, richiamando,

quoad poenam, il

trattamento sanzionatorio di cui all’art. 517 del codice penale. La norma
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sequestro – il fumus dei reati ipotizzati, atteso che: a) l’indicazione della

chiarisce che costituisce – per quanto qui di interesse – “fallace indicazione”,
anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle
merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere
che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante
di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali
ingannevoli, con salvezza di “quanto previsto dal comma 49-bis”.

sanata sul piano amministrativo con l’asportazione a cura ed a spese del
contravventore dei segni o delle figure o di quant’altro induca a ritenere che si
tratti di un prodotto di origine italiana.
Il successivo comma 49-bis, precisa ulteriormente che “costituisce fallace
indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con
modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di
origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi
siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza
estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del
consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere
accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del
marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di
commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto”.
Infine, il comma 49-ter, prevede che sia “sempre” disposta la confisca
amministrativa del prodotto o della merce di cui al comma 49-bis, salvo che le
indicazioni ivi previste siano apposte, a cura e spese del titolare o del
licenziatario responsabile dell’illecito, sul prodotto o sulla confezione o sui
documenti di corredo per il consumatore.

5.1. Tanto premesso in diritto, la censura mossa dal ricorrente investe
l’impugnato provvedimento per aver i giudici ritenuto inaccoglibile la richiesta di
limitare il sequestro ad un t olo campione del prodotto sequestrato, per aver la
Corte valorizzato una decisione di questa Corte che, in caso di confisca
obbligatoria di una res, ne vieta la restituzione al sequestratario.
Orbene, se può convenirsi con la difesa del ricorrente circa l’erroneità del
richiamo alla pronuncia di legittimità sopra indicata, attesa la qualificazione di
confisca “amministrativa” operata dall’art. 4, comma 49 bis, legge n. 350/2003,
deve tuttavia precisarsi che la regolarizzazione amministrativa dei prodotti che,
in quanto commercializzati con false o fallaci indicazioni di provenienza, siano
oggetto di sequestro probatorio, non impone la revoca del sequestro, dovendo
comunque il giudice accertare che non permangano ancora quelle specifiche
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La norma prosegue precisando che la “fallace indicazione” delle merci può essere

esigenze probatorie che avevano giustificato l’apposizione ed il mantenimento
del vincolo cautelare (Sez. 3, n. 19746 del 09/02/2010 – dep. 25/05/2010, P.M.
in proc. Follieri, Rv. 247484).
Nel caso in esame, il tribunale (v. pag. 2 dell’impugnata ordinanza) ha
precisato che sussistevano le esigenze probatorie, enunciate dal P.M., che
giustificavano il mantenimento del vincolo cautelare, atteso che erano in corso –

beni, sicchè si è ritenuto giustificato il mantenimento del sequestro, atteso che la
sottoposizione ad ulteriori verifiche ed accertamenti era rilevante per valutare la
sussistenza del reato ipotizzato.
Ne consegue, quindi, l’infondatezza del motivo di ricorso.

6. Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2014

Il Co sigliere est.

Il Presidente

alla data della pronuncia impugnata – accertamenti sulla natura merceologica dei

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