Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29971 del 21/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29971 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
SCARANGELLA ANDREA N. IL 06/10/1970
avverso l’ordinanza n. 4330/2011 GIUD. SORVEGLIANZA di LECCE,
del 14/12/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
lette/seatite le conclusioni del PG Dott.

N4f\c)

Uditi difensor Avv.; .2

Data Udienza: 21/05/2013

RITENUTO IN FATTO

Il Magistrato di sorveglianza di Lecce, in parziale accoglimento del reclamo di Andrea
Scarangella, ha condannato il Ministero della giustizia al risarcimento del danno del
complessivo importo di C 2600,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, per la lesione dei
diritti soggettivi di detenuto in conseguenza dell’essere stato recluso all’interno di una cella di
mq. 11,50 circa, con unica finestra e con annesso servizio igienico sprovvisto di acqua calda,
munita di letti a castello il più alto dei quali posto a cinquanta cm dal soffitto e dotata di
impianto di riscaldamento funzionante, nel periodo invernale, esclusivamente dalle ore 20,00
permanere per diciotto ore al giorno.
Il Magistrato di sorveglianza ha affermato che la mancanza di uno spazio minimo vitale
in stato di detenzione costituisce una violazione del diritto fondamentale del detenuto previsto
dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali. Ha quindi dichiarato la responsabilità dell’Amministrazione penitenziaria in
termini, lato sensu, contrattuali, con conseguente obbligo risarcitorio.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di
Lecce, il Ministero della giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria
deducendo:
difetto di motivazione. In una parte della motivazione si è affermato che
l’Amministrazione penitenziaria ha rivolto attenzione nei confronti del detenuto e in
altra parte, con evidente contraddizione, si è detto che quello stesso detenuto è
stato trattato come mero oggetto di esecuzione penale.
Violazione di legge. L’ordinanza è errata nella parte in cui si è detto che il detenuto
non ha partecipato ad alcuni progetti predisposti dall’Amministrazione, perché
sarebbe stato necessario dimostrare che questi avesse chiesto di parteciparvi e
avesse ricevuto un rifiuto dall’Amministrazione. Inoltre, l’obbligo
dell’Amministrazione penitenziaria di predisporre strumenti trattamentali costituisce
obbligazione di mezzi e non di risultato, sicché non è sufficiente, per affermare una
responsabilità per danni dell’Amministrazione, dedurre che il trattamento non si sia
rivelato efficace. Sono poi errate le affermazioni dell’ordinanza, secondo cui gli
incontri e i colloqui con i familiari non possono considerarsi parte integrante del
trattamento, e la cura nella scelta dei detenuti non può essere presa in
considerazione nella valutazione del trattamento. È del pari errata l’affermazione per
la quale dal sovraffollamento carcerario discende per necessità l’inefficacia del
trattamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
Come – anche di recente – affermato da questa Corte, i provvedimenti
dell’Amministrazione penitenziaria che afferiscono alla materia dei diritti soggettivi del
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alle ore 21,00, camera da condividere con altri due detenuti e all’interno della quale doveva

detenuto (in quel caso, ai colloqui visivi e telefonici) sono sindacabili in sede giurisdizionale
mediante reclamo al magistrato di sorveglianza, che decide con ordinanza avverso la quale può
essere proposto ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione della stessa Sez. 1, n. 39314 del 20/10/2010 (dep. 5/11/2010), P.M. in proc. Farinella, Rv. 248844 -. Nella
pronuncia che ha affermato tale principio di diritto si è ricordato che, secondo quanto statuito
da Sez. U, n. 25079 del 26/02/2003 – dep. 10/06/2003, Gianni, Rv. 224603, in tema di
reclami contro i provvedimenti dell’amministrazione incidenti su posizioni soggettive tutelabili
si applica – per esigenze di garanzia e di speditezza e semplificazione – la procedura prevista
dagli artt. 14-ter, 69 e 71 ter ord. pen., e il termine per proporre ricorso è perciò di dieci
giorni.
In quell’occasione le Sezioni unite ebbero cura di precisare che la proponibilità del
ricorso per cassazione nei confronti dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza sui
reclami di detenuti e internati e nelle materie indicate nell’art. 69 ord. pen., secondo il disposto
dell’art. 71 ter dello stesso testo legislativo, non era venuta meno in forza dell’art. 236 norme

coord. cod. proc. pen., comma 2, «giacché, in base al letterale tenore di detto articolo,
l’abrogazione delle disposizioni contenute nel capo 71 bis del titolo 2 0 dell’ordinamento

penitenziario (tra le quali è compreso l’art. 71 ter) opera limitatamente a quelle, fra le dette

disposizioni, che riguardano il tribunale di sorveglianza e le materie di competenza del
medesimo e non si estende a quelle che riguardano il magistrato di sorveglianza …».
Osservarono quindi che il soddisfacimento delle esigenze di garanzia e di celerità è
affidato al modello procedimentale degli artt. 14-ter, 69 e 71 e segg. ord. pen., che prevede:
«il termine di cinque giorni per l’avviso al pubblico ministero, all’interessato e al difensore, la
partecipazione non necessaria del difensore e del pubblico ministero; la facoltà dell’interessato
di presentare memorie; il termine di dieci giorni per proporre reclamo; la possibilità di proporre
ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento».
Il ricorso ora in esame è, per le ragioni dette, tardivo, siccome proposto il 28 febbraio
2012 e quindi ben oltre i dieci giorni a far data dal 13 febbraio 2012, giorno in cui il
provvedimento impugnato fu comunicato al ricorrente.
Né a conclusioni diverse può giungersi affermando, come ha fatto il procuratore
generale nella requisitoria, che il provvedimento è inesistente e che, pertanto, la rilevazione
della grave patologia che lo connota non è condizionata al rispetto dei termini perentori di
impugnazione.
Questa Corte ha già affrontato il tema della risarcibilità, per provvedimento del
magistrato di sorveglianza, dei danni da lesione dei diritti soggettivi del detenuto, affermando
il condiviso principio di diritto, per il quale «è inammissibile il reclamo

ex art. 35

dell’ordinamento penitenziario avanzato al magistrato di sorveglianza per ottenere il
risarcimento dei danni patiti per effetto della detenzione subita in spazi angusti in relazione alla
violazione di diritti fondamentali, trattandosi di pretesa azionabile unicamente in sede civile» Sez. 1, n. 4772 del 15/1/2013 (dep. 30/1/2013), Vizzari, Rv. 254271 Ma da questa
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premessa non può discendere la conseguenza dell’inesistenza dell’eventuale provvedimento
adottato in violazione delle regole di riparto interno della competenza nell’ambito della
giurisdizione ordinaria, avendo le Sezioni unite – di recente – affermato, in linea con
l’orientamento delle Sezioni unite civili, che «la distribuzione degli affari all’interno di un
ufficio giudiziario appartenente alla Magistratura ordinaria non crea questioni di giurisdizione”
(così, testualmente, Sez. U civ., n. 10959 del 22/05/2005), e ciò perché è di giurisdizione “solo
la questione che attiene all’individuazione delle sfere di attribuzione rispettive del giudice

amministrazione e ai giudici stranieri, ma non quella relativa alla ripartizione degli affari tra
giudici, civili o penali, appartenenti alla stessa giurisdizione ordinaria”» – Sez. U, n. 491 del
29/9/2011 (dep. 12/1/2012), Pislor, Rv. 251265 -. è stato quindi superato il precedente
approdo interpretativo, per il quale era «giuridicamente inesistente il provvedimento
giurisdizionale che, quantunque materialmente esistente e ascrivibile a un giudice, sia tuttavia
privo del requisito minimo della provenienza da un organo giudiziario investito del potere di
decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti
esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale, dai limiti interni
e oggettivi che, alla stregua dell’ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello
penale nella distribuzione della “jurisdictio”» – Sez. U, n. 25 del 24/11/1999 (dep. 6/12/1999),
Confl. giurisdizione in proc. Di Dona, Rv. 214694
E anche a voler qualificare il provvedimento ora in esame in termini di atto abnorme,
per difetto di potere del magistrato di sorveglianza in tema di risarcimento del danno al
detenuto, deve comunque rilevarsi che anche gli atti abnormi soggiacciono al regime delle
impugnazioni, ivi compresa la disciplina sui termini di impugnazione: a tal proposito le Sezioni
unite hanno statuto che «il termine per proporre ricorso per cassazione avverso provvedimento
abnorme decorre dal momento in cui l’interessato ne abbia avuto effettiva conoscenza e che,
in difetto di prova contraria, va identificato in quello indicato dal ricorrente» – Sez. U, n. 34536
del 11/07/2001 – dep. 24/09/2001, P.G. in proc. Chirico, Rv. 219597 -. L’unica particolarità è
data allora dall’evenienza che, proprio in ragione dei profili di abnormità, il termine iniziale di
impugnazione possa essere individuato nel momento di effettiva conoscenza da parte del
soggetto interessato all’impugnazione, ma nel caso di specie l’effettiva conoscenza si è avuta
con la comunicazione rituale del provvedimento all’interessato.
Alla rilevata intempestività del ricorso segue la dichiarazione di inammissibilità dello
stesso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
IIVIPOSITATA
osì deciso, il 21 maggio 2013.

WCANCELLERUA

ordinario e dei giudici speciali e alla delimitazione di tali attribuzioni rispetto alla pubblica

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