Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29967 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29967 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA
IL

9 LUG 2014

sul ricorso proposto da
Bertuccini Gianni, nato a Milano il 18/11/1958

j

Lu

LIERE

11

nei confronti del
Ministero dell’economia e delle finanza
avverso la ordinanza del 08/05/2013 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per l’imputato

Data Udienza: 02/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con ordinanza emessa in data 8 maggio
2013, giudicando in sede di rinvio, ha respinto nuovamente la richiesta di
riparazione per ingiusta detenzione proposta da Gianni Bertuccini.
Per quanto qui interessa, la Corte del merito ha premesso che, in data 9
giugno 2008, il Gip di Milano aveva emesso nei confronti dell’istante
un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, con la quale gli si contestavano –

Bertuccini, nei rispettivi episodi contestati, impossessato, in concorso con
numerose altre persone, alcune delle quali non identificate, al fine di procurarsi
un ingiusto profitto, di somme di denaro mediante violenza nonché mediante
minacce di morte ed i fatti commettendo nel campo nomadi “Villaggio Lambro
Meridionale” il 28 luglio ed il 30 novembre 2007.
Dopo aver precisato che, con sentenza del Gip di Milano del 10 aprile 2009,
divenuta irrevocabile il 17 ottobre 2009, il Bertuccini fu assolto da tutte le
accuse, confluite nella riformulazione di un nuovo capo d’imputazione
contrassegnato dal n. 36), per non aver commesso il fatto, venendo
contestualmente scarcerato, la Corte territoriale ha evidenziato come una
precedente istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione fosse stata già
rigettata e l’ordinanza (della quale venivano riportati i contenuti motivazionali)
era stata annullata, con rinvio, dalla Corte di cassazione che aveva osservato
come il giudice della riparazione fosse certamente tenuto a valutare i rapporti di
frequentazione della persona nel contesto nel quale erano stati perpetrati i delitti
oggetto di indagine, e poteva quindi ritenerli “manifestazione di una condotta
gravemente imprudente”, ma soltanto “dopo averne tuttavia accertato le ragioni
ed averne definito la reale natura, ed ancora dopo avere adeguatamente
argomentato in punto di sussistenza del nesso di causalità tra la stessa condotta
e l’adozione dell’ingiusto provvedimento restrittivo, la cui presenza rappresenta il
requisito indispensabile ai fini del diniego dell’istanza riparatoria” e come, nella
specie, il precedente provvedimento del Giudice della riparazione non avesse
chiarito la natura dei rilevati rapporti” e non avesse “indicato perché ed in quali
termini tale condotta avesse quanto meno contribuito all’adozione del
provvedimento custodiale” non essendo stata individuata alcuna condotta dolosa
o gravemente colposa dell’istante che avesse potuto contribuire al mantenimento
della condizione carceraria, protrattasi per circa dieci mesi.
Di conseguenza, dopo aver riportato gli elementi posti alla base dei titoli
restrittivi emessi nei confronti del ricorrente, la Corte di appello ha ricordato le
ragioni dell’assoluzione, pronunciata dal Gup nei confronti del Bertuccini, ai sensi
dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., sul rilievo che, sebbene indicato da tutti

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al capo 40) ed al capo 51) – due reati di rapina pluriaggravata per essersi il

e tre i testimoni in tre verbali di riconoscimento fotografico, tali individuazioni
non potevano ritenersi soddisfacenti per le difformità che comunque
sussistevano rispetto alle reali caratteristiche fisiche della persona accusata, sia
con riferimento al colore dei capelli e sia per gli spessi occhiali da vista, che
portava, occhiali che non erano stati indicati da nessuno dei tre testimoni.
Secondo la Corte territoriale, nonostante tali discrasie avessero comportato
l’assoluzione del Bertuccini, i rapporti di frequentazione del ricorrente con molti
dei soggetti giudicati (e condannati) nel procedimento in esame permetteva di

che, nei reati contestati in concorso, integra gli estremi della colpa grave ostativa
al riconoscimento del diritto, la condotta di chi abbia tenuto, pur consapevole
dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua
contiguità.
Nella specie, il Bertuccini abitava stabilmente nel campo nomadi ” Villaggio
Lambro Meridionale”, nel quale, per tanto tempo, erano state commesse
condotte illecite il cui concatenarsi era da ritenersi assolutamente certo.
Egli sapeva di essere stato riconosciuto come uno degli autori di siffatti
reati attraverso elementi di riconoscimento la cui oggettività trovava riscontro
nella carta d’identità, datata 4 giugno 2003, dalla quale emergeva già che egli
non portasse occhiali e avesse i capelli brizzolati (sì che la mancata menzione
degli occhiali da parte di tutte le parti lese e l’indicazione di un colore di capelli
simile alla sfumatura descritta trovano un valido appiglio nelle caratteristiche
soggettive indicate nel documento).
Avvalendosi poi della facoltà di non rispondere, egli nulla aveva inteso dire
sui rapporti avuti con i soggetti indicati come concorrenti e condannati per tutta
una serie di rapine.
La scelta di non rispondere, che per giurisprudenza costante rappresenta
uno degli elementi di giudizio idonei ad escludere l’accoglimento della domanda
riparatoria, era da ritenersi particolarmente significativa in un caso del genere,
nel quale appunto i numerosi coimputati di Bertuccini avevano ripetutamente
compiuto rapine che vedevano il coinvolgimento di un grande numero di persone
stabilmente insediate nel predetto campo nomadi, molte delle quali rimaste
ignote, ma ciascuna consapevole di operare, vuoi avvicinando la malcapitata
vittima, vuoi accompagnandola nel campo, vuoi minacciandola una volta entrata
in una delle baracche, vuoi materialmente privandola del denaro che essa aveva
con sé, vuoi intimorendola ancora con grida e clamori atti a prospettare un
possibile intervento delle forze dell’ordine e invitandola con le dovute maniere a
lasciare in tutta fretta il campo.
A tale abituale contesto, il Bertuccini non aveva mai contrapposto concreti
elementi per indicare – se non prese di posizione contrarie ad un ripetersi così

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ribadire una pronuncia di rigetto della richiesta riparatoria e tanto sul rilievo

continuo delle condotte – quanto meno fonti di reddito idonee a consentire il
proprio sostentamento, avendo anzi affermato, nell’interrogatorio del 18 giugno
2008, di lavorare soltanto saltuariamente, senza affatto precisare il significato di
tale asserzione, con la conseguenza che siffatta situazione, nella quale la
decisione della persona di nulla riferire del contesto ambientale nel quale
continuamente si muoveva, rappresentava una netta e deliberata forma di
connivenza e la scelta di non rispondere, consapevolmente e volontariamente
protratta per tutto il tempo della detenzione, assumeva pertanto proprio quel

impeditivo dell’accoglimento della domanda riparatoria.

2.

Ricorre per cassazione Gianni Bertuccini, tramite il difensore,

denunciando violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. ed
affidando il ricorso ad un unico complesso motivo con il quale lamenta
l’illogicità, la contraddittorietà e l’illegittimità della motivazione laddove ha
ravvisato la sussistenza dei profili della colpa grave in capo al Bertuccini, ostativi
del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, e non si è attenuta ai principi
fissati nella fase rescindente con l’annullamento della precedente ordinanza.
Si assume come l’apparato argomentativo fondi in via esclusiva su due
elementi ritenuti dal ricorrente entrambi inidonei, nel caso in esame, a
giustificare una pronuncia di rigetto della domanda riparatoria ossia:1) il
riferimento ai rapporti dell’istante con taluni dei soggetti giudicati nel
procedimento di merito; 2) la scelta dell’indagato di avvalersi della facoltà di non
rispondere in sede di interrogatorio.
Quanto alla prima circostanza, la pronuncia impugnata si distinguerebbe per
porsi in una condizione di contraddizione logica con la decisione della Corte di
cassazione che aveva disposto l’annullamento con rinvio della precedente
ordinanza e tanto sul fondamentale presupposto che non sono mai stati accertati
i rapporti e le frequentazioni tra il ricorrente ed altri soggetti ritenuti responsabili
dei reati per i quali si è proceduto.
Analogamente alcun rilievo si poteva attribuire al contegno assunto dal
Bertuccini in sede di interrogatorio, non potendo il silenzio essere interpretato, a
meno di non ricorrere a inammissibili presunzioni, quale volontà di coprire altrui
responsabilità.
In definitiva, l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa negli stessi vizi della
precedente cassata pronuncia.

3. Il Ministro dell’economia e delle finanze ha depositato memoria con la
quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

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ruolo sinergico rispetto alla genesi e al mantenimento del regime custodiale,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. Questa Corte, con la pronuncia cassata, aveva chiarito come, ai fini della
concessione o meno dell’indennizzo, occorresse valutare attentamente la

coerente, sotto il profilo logico, motivazione delle ragioni per le quali detti
comportamenti dovessero, ovvero non dovessero, ritenersi come fattori
condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo.
Al ricorrente il Giudice della riparazione, a seguito del giudizio di rinvio,
rimprovera di aver tenuto comportamenti percepibili ed indicativi di una sua
contiguità criminale e tanto sul presupposto di abitare stabilmente nel campo
nomadi dove, per un lasso considerevole di tempo, erano state commesse
condotte illecite da parte di un gran numero di persone e tutte cooperanti nella
realizzazione dei crimini.
Si sottolinea come alle vittime fosse stato dato appuntamento, per
depredarle, in una parte del campo (alla via Chiesa rossa 351) dove abitava
anche la moglie del Bertuccini, Deragna Bruna (che in un’istanza del 16 gennaio
2009 si dichiarava disponibile ad accogliere il marito agli arresti domiciliari) ed
anche costei era stata, a sua volta, imputata di una rapina (originariamente
contestata al capo 35) ed anche a lei era stata applicata la custodia cautelare in
carcere.
A tale proposito, la Corte territoriale ha precisato che il villaggio Lambro
Meridionale è “un’area di proprietà demaniale destinata dal comune di Milano
all’accoglienza di famiglie nomadi, dotata di un minimo di infrastrutture e divisa
in 12 piazzole assegnate nominalmente alle diverse unità familiari” e occupate
per la maggior parte da case mobili, roulottes e camper e che la stessa sentenza
di assoluzione del ricorrente ha rilevato la stretta cooperazione tra i
procacciatori, che avvicinavano le vittime (spesso dichiarando false generalità e
avvalendosi di utenze cellulari a loro non riconducibili) e gli altri abitanti del
luogo, tanto che nella “maggioranza dei casi” i primi soggetti “dopo aver
sottratto i beni delle vittime si dileguavano e lasciavano ad altri abitanti del
campo, compresi donne e bambini, il compito di accerchiare i malcapitati e
assalirli con minacce e violenze – quali lanci di sassi o utilizzo di armi
(apparentemente armi comuni da sparo) ovvero di armi improprie – sino a
costringerli ad allontanarsi dall’insediamento senza più osare pretendere il
controvalore della merce che avevano portato o la restituzione di quanto era
5

condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e

stato loro sottratto. I numerosi fatti via via pervenuti all’attenzione della PG
apparivano da subito strettamente collegati tra loro, sia per l’identità dei soggetti
che risultavano aver rivestito il ruolo di maggior rilievo nell’ideazione e nella
realizzazione delle condotte, tutte connotate da medesimo modus operandi, sia
per l’appartenenza dei medesimi alle stesse famiglie allargate che occupano
l’insediamento”.
Ciò posto, la Corte territoriale è giunta al convincimento secondo il quale il
dato della contiguità criminale ed il silenzio serbato dal Bertuccini avevano

restrittivo sull’ulteriore presupposto che il Bertuccini sapeva di essere stato
riconosciuto come uno degli autori di siffatti reati e nonostante ciò si era avvalso
della facoltà di non rispondere, evitando di chiarire quali rapporti egli avesse
avuto con i soggetti (Braidich Fabio, Deragna Albano e Deragna Luca) indicati
come suoi concorrenti nei reati contestatigli ed aveva persino omesso di indicare
quali fossero le proprie fonti di reddito idonee per il suo sostentamento.

3. Tuttavia i rapporti di frequentazione dell’odierno ricorrente con soggetti
che vivevano in un campo nomadi, contesto nel quale erano stati perpetrati i
delitti sui quali si stava indagando, peraltro caratterizzati da identiche modalità
di esecuzione, erano stati già posti a fondamento della ratio decidendi della
prima pronuncia ed erano stati perciò ritenuti nel giudizio rescindente inidonei,
se ed in quanto supportati da una motivazione facente leva esclusivamente sul
comune contesto ambientale, a negare la pretesa riparatoria, scaturendo da ciò
la cassazione della precedente ordinanza.
Al giudice del rinvio era stato infatti chiesto, come la stessa Corte territoriale
ha ricordato, di valutare dette frequentazioni, per poterle ritenere, se del caso,
quali manifestazioni di una condotta gravemente imprudente, ma solo dopo
“averne accertato le ragioni ed averne definito la reale natura”, accertamento
(delle ragioni) e definizione (della reale natura) che erano state stimate del tutto
assenti nel provvedimento impugnato che non aveva infatti chiarito la natura dei
rilevati rapporti fondati unicamente sul comune contesto residenziale ed
ambientale.
Al medesimo rilievo non si sottrae, come fondatamente lamenta il
ricorrente, l’ordinanza gravata, non emergendo dal testo del provvedimento
impugnato da quali elementi, eccettuati il fatto di risiedere nel medesimo campo
nomadi, scaturisse la frequentazione tra il ricorrente e i soggetti implicati nella
medesima vicenda giudiziaria.
E’ vero che la Corte territoriale ha valorizzato, nel giudizio di rinvio, un
ulteriore elemento costituito dal fatto che alle vittime veniva dato appuntamento,
per depredarle, in una parte del campo (alla via Chiesa rossa 351) dove abitava
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costituito fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento

anche la moglie del Bertuccini, ma anche tale circostanza non spiega le ragioni e
la reale natura dei rapporti di frequentazione del ricorrente con i correi, posto
che il provvedimento impugnato tace sull’esito del giudizio svolto a carico del
coniuge (secondo la difesa si sarebbe concluso con l’archiviazione della notizia di
reato e la scarcerazione della donna) e nulla dice circa la collocazione temporale
dei rispettivi episodi contestati o sulle persone coinvolte.
Esclusa l’autosufficienza di un tale elemento, ne consegue che, ancora una
volta e senza adeguata motivazione, viene dato per pacifico, nel procedimento di

presupposto per l’individuazione della fattispecie ostativa alla pretesa riparatoria
(l’avere cioè dato o concorso a dare causa alla situazione detentiva).
Va ribadito che il coltivare, in modo gravemente imprudente, frequentazioni
con determinati soggetti, dediti alla commissione di delitti, con forme e modalità
tali da risultare equivoche e sospette può integrare una fattispecie ostativa al
conseguimento della pretesa riparatoria, sul rilievo che le frequentazioni ambigue
– quali quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi
di complicità – quando non sono giustificate da rapporti di parentela e sono poste
in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti,
possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad
escludere la riparazione stessa (Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013,dep.
14/01/2014, Calò, Rv. 258610).
Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995,dep.
09/02/1996,Sarnataro,Rv. 203638) hanno affermato che “il rapporto tra giudizio

penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo
rispetto al presupposto dell’altro, vale a dire all’accertamento della ingiustizia
della detenzione (che non può essere posto in discussione); il che, non conduce
automaticamente né al riconoscimento dell’indennizzo, né all’esclusione dello
stesso, spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e
valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio di criteri propri
all’azione esercitata dalla parte”.
Nel caso di specie, nei compiti del giudice di rinvio rientrava di capire, oltre
alla comune residenza nel campo nomadi, se dagli atti processuali (a titolo
esemplificativo: intercettazioni, acquisizione di dichiarazioni, tabulati telefonici,
sequestro di appunti, relazioni di servizio di polizia giudiziaria in ordine a
rilevamenti o accertamenti eseguiti a seguito di controlli per strada, locali
pubblici o altro) emergessero elementi dai quali desumere le ragioni e la reale
natura delle frequentazioni, con la conseguenza che, mancando ciò, la ordinanza
impugnata, attraverso tali omissioni, incorre nel medesimo vizio di illogicità e di
contraddittorietà cui era affetta quella cassata.

riparazione, il dato (la frequentazione dei soggetti) che fungerebbe da

Quanto infine al fatto che il ricorrente si sia avvalso della facoltà di non
rispondere (dato, per altro, dissonante rispetto alle dichiarazioni attribuite al
ricorrente stesso e riferite all’interrogatorio del 18 giugno 2008 a pag. 6
dell’ordinanza impugnata), va ricordato che, in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga
della facoltà di non rispondere, pur costituendo esercizio del diritto di difesa, può
assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione
ostativa del dolo o della colpa grave qualora l’interessato non abbia riferito

elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare (Sez. 3, n. 44090 del
09/11/2011, Messina ed altro, Rv. 251325), mentre nel testo dell’ordinanza
impugnata, da un lato, non risulta che il Bertuccini, tacendo, abbia nascosto un
alibi (che, secondo il ricorrente, non poteva nascondere perché non esistente) e,
dall’altro, il silenzio serbato appare nuovamente riferito al mancato chiarimento
quanto ai rapporti tra il ricorrente stesso e le persone dei correi, rapporti che,
ancora una volta, vengono dati per presupposti in assenza di dati reali e precisi
risultanti dagli atti del procedimento.
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata per nuovo esame, dovendo il
giudice del rinvio riconsiderare, sulla base degli atti a sua disposizione e con
l’autonomia propria del giudice della riparazione, l’esistenza di elementi, diversi
dal comune contesto ambientale di riferimento (dimora presso il campo nomadi
del villaggio Lambro Meridionale) ed ulteriori rispetto ad esso, dai quali sia
possibile desumere, tenuto conto di dati di fatto concreti, le ragioni e la reale
natura delle frequentazioni tra il ricorrente ed i soggetti che vivevano nello
stesso campo nomadi e coinvolti nei medesimi fatti attribuiti al ricorrente stesso,
verificando, nel caso di positivo accertamento delle ragioni e della reale natura
dei rapporti di frequentazione, se l’eventuale silenzio serbato dal ricorrente
intorno ad essi, nel corso degli interrogatori resi, abbia o meno impedito
l’acquisizione di dati processuali utili per attribuire un diverso significato agli
elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano.
Così deciso il 2/04/2014

circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli

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