Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29966 del 08/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29966 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSTA MAURIZIO N. IL 01/03/1984
COSTA NICOLA GIOVANNI N. IL 14/07/1982
avverso il decreto n. 33/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
14/06/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
SANTALUCIA;
lette/mite e conclusioni del PG \
‘ ci\tt.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/04/2013

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Napoli ha confermato il decreto del 22 settembre – 30 novembre
2010, con il quale il Tribunale di quella città dispose la sottoposizione alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di
residenza nei confronti di Nicola Giovanni Costa e di Maurizio Costa; e ne ha dato parziale
conferma per quel che attiene ai beni confiscati, avendone limitato l’ambito ad un terreno con
fabbricato in S. Leucio, intestato a Nicola Giovanni Costa, e ad un appezzamento di terreno
agricolo in S. Leucio, intestato a Maurizio Costa.
mancata correlazione tra l’addebito della proposta di prevenzione, che ipotizzava la sua
appartenenza al clan camorristico denominato “Panico”, e quello poi ritenuto nel decreto
impositivo delle misure di prevenzione, che ha affermato la sussistenza di indizi di
appartenenza al clan camorristico avverso, denominato “Sarno”, rilevando che il ricorrente ha
avuto comunque modo di difendersi nella misura in cui il contraddittorio in primo grado si
incentrò sulle vicende relative al procedimento concluso dalla sentenza n. 548 del 19 aprile
2010 del Tribunale di Noia (processo Abate Francesco+65); stralci della motivazione sono
riportati per esteso nel decreto gravato, ed è dunque innegabile che gli elementi posti a base
della decisione hanno costituito legittimamente parte integrante del materiale utilizzabile per la
decisione.
Ha poi evidenziato che il decreto del Tribunale dette conto in modo esaustivo delle
ragioni che indussero a ritenere Nicola Giovanni Costa propenso ad essere coinvolto in vicende
di chiaro tenore camorristico; ha quindi ritenuto pienamente giustificata e condivisibile la
prognosi di pericolosità sociale qualificata.
In riferimento alla posizione di Maurizio Costa, la Corte di appello ha osservato che
questi è stato già condannato, ancorché con sentenza non ancora definitiva ma confermata in
grado di appello, alla pena di anni dodici di reclusione ed C 1400,00 di multa per il reato di
partecipazione all’associazione camorristica clan Sarno, con condotta perdurante fino all’agosto
2007, nonché per il reato di concorso in importazione, detenzione e porto illegali di una
pluralità di armi da sparo, con condotta perdurante almeno dall’estate del 2004.
Quanto alle misure patrimoniali, la Corte di appello ha rilevato l’assenza di confutazione
della sproporzione, ritenuta dal primo giudice, tra il possesso dei beni e la redditualità
ufficialmente dichiarata. La tesi difensiva, secondo cui furono acquistati con denaro
proveniente dalla madre Maria Ruggiero non è stata provata, ma comunque una produzione
documentale sarebbe superflua, dato che è dichiarato che i pagamenti furono fatti con denaro
contante e senza rilascio di quietanze e non sono state indicate le operazioni bancarie
denotanti il transito delle somme su conti riferibili ai proposti e/o alloro danti causa. Né può
avere valore decisivo la verifica dell’effettiva esistenza di assegni circolari per residua quota,
del cui transito nell’effettiva disponibilità dei venditori non vi è traccia. Non sono quindi
verificabili le asserzioni circa l’utilizzazione di denaro pervenuto per via ereditaria, mentre è
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La Corte territoriale ha innanzitutto rigettato l’eccezione di Nicola Giovanni Costa di

stato accertato che i ricorrenti non avessero significativi redditi propri e che gli acquisiti
avvennero in concomitanza con i momenti più salienti ed intensi di contiguità con i gruppi
criminali.
Avverso il decreto ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Vannetiello,
Nicola Giovanni Costa, deducendo:
violazione di legge, per mancata correlazione tra la contestazione di prevenzione,
costruita in termini di indiziaria appartenenza all’organizzazione camorristica
denominata “clan Panico”, e il decreto applicativo delle misure di prevenzione, che
ricorrente all’organizzazione camorristica denominata “clan Sanno”.
Violazione di legge, per omessa considerazione delle specifiche censure difensive
mosse al decreto emesso dal giudice di primo grado. Il giudice di appello, nel
confermare il provvedimento di primo grado, ha disatteso il dovere di argomentare
sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione.
Violazione di legge, perché il provvedimento impugnato afferma soltanto la mera
contiguità del ricorrente al clan Sarno, e la contiguità è concetto diverso e meno
pregnante dell’essere indiziato di appartenenza ad un’organizzazione di tipo mafioso.
Peraltro, la pericolosità è stata affermata in ragione di condotte materiali risalenti
agli anni 2004-2005 e quindi in assenza del requisito dell’attualità della pericolosità.
Violazione di legge, per omessa considerazione della richiesta difensiva di riduzione
del periodo di durata della misura applicata.
Violazione di legge. Per quel che attiene alla misura di prevenzione patrimoniale, il
ricorrente fa propri i motivi articolati nel ricorso di Maurizio Costa, estensibili perché
non sono fondati su ragioni personali. La difesa, contrariamente a quanto affermato
nel provvedimento impugnato, ha adempiuto l’onere di allegazione documentale per
dimostrare la liceità della provenienza dei beni, e la Corte di appello ha omesso di
valutare detta documentazione.
Ha poi proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Campana, Maurizio Costa,
deducendo:
violazione di legge. La Corte territoriale ha, contrariamente al vero, affermato che
non è stata prodotta dagli appellanti la documentazione bancaria relativa alle
movimentazioni di denaro indicate nell’atto di appello e di essa non ha
conseguentemente preso esame. La documentazione, regolarmente depositata in
cancelleria, attesta che il denaro necessario all’acquisto dei due beni confiscati è di
provenienza assolutamente lecita, e che specificamente esso proviene dal conto
corrente bancario intestato a Maria Ruggero, madre dei proposti, e mediatamente
dalle provviste collocate in fondi di investimento presso la ING Private Banking,
costituiti dalla predetta Ruggero e dal coniuge, Vincenzo Costa, il quale ultimo, pochi
giorni prima del decesso provvide a monetizzare detti fondi, facendo confluire la
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ha invece fondato il giudizio di pericolosità per un’asserita appartenenza del

provvista sui conti correnti della moglie. L’omesso esame della documentazione
bancaria, assolutamente decisiva nella prospettiva di giustificare l’illegittimità delle
misure di prevenzione reali, integra una violazione del diritto di difesa, nella
specifica accezione del diritto alla prova e del diritto al contraddittorio.
Successivamente le difese di Maurizio Costa e Nicola Costa hanno depositato memoria con cui
hanno replicato alle conclusioni del procuratore generale presso questa Corte
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso, di cui si riconosce la fondatezza, ha forza assorbente rispetto
agli altri che, per tale ragione, non sono presi in esame.
Nella giurisprudenza di questa Corte è costantemente affermato il principio secondo cui
la correlazione tra i contenuti della proposta e il provvedimento applicativo della misura è
condizione necessaria per il valido svolgimento del contraddittorio camerale e quindi per la
legittimità dello stesso provvedimento infine adottato. Si è però precisato che «nel
procedimento di prevenzione non si ha violazione del principio di correlazione tra contestazione
e pronuncia, qualora gli elementi fattuali posti a fondamento della prognosi di pericolosità, pur
non essendo stati espressamente enunciati nella proposta, siano stati acquisiti nel
contraddittorio con l’interessato» – Sez. 1, n. 11494 del 25/2/2009 (dep. 16/3/2009), Corica,
Rv. 243494 -. L’attenuazione, che così si opera della portata del principio, trova causa
nell’assenza di un’espressa previsione di legge omologa a quella che, invece, governa
l’accertamento penale; da tale assenza si trae la conclusione che il detto principio possa avere,
in materia di prevenzione penale, un’applicazione meno stringente.
Su tale premessa, che il Collegio condivide, si deve però prendere atto che, nel caso ora
in esame, la difformità dei contenuti della proposta dagli elementi di fatto infine posti a
fondamento del giudizio di pericolosità potrebbe rivelarsi così consistente da dover essere
qualificata quale vera e propria deroga al principio, perciò non tollerabile, e non già come una
mera attenuazione della forza prescrittiva dello stesso.
Se gli elementi di pericolosità furono inizialmente rinvenuti, ad opera del proponente,
nell’affermazione dell’appartenenza del prevenuto ad un gruppo criminale, in specie nel c.d.
clan “Panico”, il provvedimento applicativo della misura, ritenendo la sussistenza della
pericolosità in ragione di indizi di appartenenza ad altro gruppo criminale, in particolare al c.d.
clan “Sarno”, sembra aver alterato inevitabilmente la relazione di corrispondenza, a nulla
valendo che nel contraddittorio camerale l’interessato abbia potuto conoscere (e quindi dedurre
su) dati di fatto poi posti a fondamento del provvedimento medesimo.
Il significato indiziario di uno stesso fatto è strettamente correlato al parametro di
necessaria comparazione che, nell’ambito del giudizio di prevenzione, è costituito dalla
proposta. Non può allora essere argomento decisivo, per escludere una compromissione dei
diritti difensivi, che un fatto sia stato comunque offerto al contraddittorio camerale, se di quel
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Il ricorso di Nicola Giovanni Costa è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

fatto l’interessato abbia potuto cogliere solo alcuni dei possibili significati inferenziali,
inevitabilmente selezionati dal necessario riferimento alla prospettiva imposta dalla proposta.
A diverse conclusioni si potrebbe pervenire se il provvedimento impugnato ponesse in
evidenza dati di fatto capaci di far comprendere come il mutamento di compagine associativa
di riferimento per il giudizio di pericolosità non abbia vanificato l’impegno difensivo di contrasto
critico alla contestazione; ciò, ad esempio, potrebbe dirsi per il caso in cui l’apprezzamento di
merito indicasse cointeressenze organizzative o funzionali dei due gruppi di ipotizzata
appartenenza dell’interessato, perché il giudizio finale di pericolosità fondato sulla ritenuta
ricostruttivo offerto dalla proposta al contraddittorio tra le parti.
Sul punto il decreto impugnato nulla dice e lascia così in ombra un aspetto di sicura
rilevanza per la decisione circa l’esistenza o meno di un fattore di compressione dei diritti
difensivi. Non si tratta di un difetto di motivazione che possa restare estraneo – in ragione
della limitazione, in detta materia, del sindacato di legittimità alle sole violazioni di legge – alla
cognizione di questa Corte, perché esso non attiene al giudizio di fatto circa i presupposti
dell’affermata pericolosità, ma all’apprezzamento di profili fattuali direttamente inerenti alla
violazione di legge già dedotta in sede di appello. Se nel giudizio di prevenzione il principio di
correlazione tra contestazione e pronuncia subisce un allentamento della sua portata
prescrittiva in ragione dell’assenza di una previsione espressa di legge che ne sancisca
l’operatività piena, ciò significa – anche – che l’accertamento di una sua eventuale violazione
non può essere affidato soltanto alla comparazione tra i dati descritti in proposta e quelli
accolti nella decisione finale, ma deve essere condotto con una compiuta valutazione del
contesto di fatto in cui è inscritto il giudizio di pericolosità. La Corte di appello, nel caso ora in
esame, ha omesso di rilevare, col necessario approfondimento, se la dedotta violazione di
legge si fosse consumata nel giudizio di primo grado, e l’accertamento in fatto, proprio per le
connotazioni che il principio di correlazione assume nel procedimento di prevenzione, è
condizione necessaria, non potendo altrimenti provvedersi ad un apprezzamento autonomo in
sede di legittimità.
Il decreto deve dunque essere annullato nei confronti di Nicola Giovanni Costa, anche
per la parte relativa alla confisca del bene a lui intestato, ossia del terreno con fabbricato
rurale in S. Leucio, loc. Piantagione, in catasto terreni del Comune di Caserta al foglio 1,
particelle 5004, 5005 e 5006, con rinvio alla Corte di appello perché provveda ad un nuovo
esame in conformità al principio di diritto sopra indicato.
È invece infondato il ricorso proposto da Maurizio Costa che, pertanto, deve essere
rigettato.
Il decreto impugnato ha dato logica ed adeguata motivazione delle ragioni per le quali,
allegata o meno la documentazione relativa alle movimentazioni del denaro impiegato per
l’acquisto del bene intestato a Maurizio Costa, non sarebbe stato comunque utile un
approfondimento della prospettazione difensiva, incentrata sulla consegna, da parte della
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appartenenza all’altro gruppo criminale sarebbe comunque ricompreso nello spettro

madre del ricorrente, di una somma di denaro contante, poi impiegata quale corrispettivo per
l’acquisto. Non ha dunque rilievo, a fronte di una motivazione che assume in premessa anche
l’ipotesi dell’acquisizione documentale indicata dalla difesa, che questa abbia in effetti prodotto
la documentazione stessa. Il nucleo centrale della motivazione è che già dalla prospettazione
difensiva si apprende dell’assenza di quietanze per la movimentazione del denaro contante, e
con questa precisazione il dedotto vizio di violazione di legge per omesso esame della
documentazione prodotta, che è il solo a poter essere fatto valere nell’ambito delle misure di
prevenzione, si rivela del tutto innocuo.
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato nei confronti di Costa Nicola Giovanni e rinvia per nuovo
esame alla Corte di appello di Napoli.
Rigetta il ricorso di Costa Maurizio, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’8 aprile 2013.

Il ricorso di Maurizio Costa va pertanto rigettato, con conseguente condanna del

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