Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29965 del 13/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29965 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
URIO GIOVANNI N. IL 27/02/1963
avverso l’ordinanza n. 999/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
SASSARI, del 18/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Doti. PALMA TAL ERICO;
lette/sentire le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 13/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 18 settembre 2014, il Tribunale di Sorveglianza di Sassari rigettava
il reclamo proposto da Uno Giovanni (in espiazione di pena per delitti ricompresi nell’art. 4
bis dell’ordinamento penitenziario) avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza
del 15.3.2014 che aveva dichiarato inammissibile l’istanza formulata dal predetto
condannato volta a ottenere l’integrazione di giorni trenta di liberazione anticipata ex art. 4
d.l. n. 146/2013 convertito, con modificazione, nella legge n. 10/2014 per i semestri a

Secondo il suddetto giudice l’applicabilità della liberazione anticipata speciale ai sensi
dell’art. 4, comma 4, d.l. n. 146/2013 andava negata, in quanto, al momento della
decisione resa dal Magistrato di Sorveglianza, la disposizione che consentiva la maggiore
detrazione di trenta giorni anche ai condannati per delitti previsti dall’art. 4

bis

dell’ordinamento penitenziario nel caso di concreto recupero sociale era stata soppressa
dalla legge di conversione n. 10/2014 a nulla rilevando che l’istanza fosse stata formulata in
data precedente; e ciò sulla base del rilievo che le norme relative all’esecuzione delle pene
detentive e alle misure alternative alla detenzione non hanno carattere di norme penali
sostanziali e soggiacciono al principio del

tempus regit actum,

come, peraltro,

costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte EDU
che esclude l’estensione del principio della irretroattività della legge sfavorevole alla materia
di benefici penitenziari, nonché dalla giurisprudenza costituzionale relativa all’efficacia delle
norme previste nei decreti legge non convertite successivamente in legge; erano, inoltre,
del tutto infondati gli esposti dubbi circa la legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 1
della legge n. 10 del 2014 nella parte in cui esclude dalla liberazione anticipata di giorni
settantacinque (sia che si tratti dì prima concessione che di integrazione sul già concesso
beneficio) per ciascun semestre di pena espiato dall’1.1.2010 al 23.12.2015, i condannati
per taluno dei reati previsti nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, atteso che tutto
l’ordinamento penitenziario è improntato a una distinzione tra categorie di condannati in
ragione del titolo di reato per cui sono stati ritenuti responsabili, non potendosi ravvisare in
ciò una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra situazioni del tutto diverse
tra loro.
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato per il

tramite del suo difensore di fiducia, avvocato Paolo Spano, deducendo due motivi:
2.1. “inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 3 e 27 Cost (art. 606, 1° comma,
lett. b cpp)”;
2.2. “mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del
provvedimento impugnato (art. 606, comma 1°, lett. e cpp)”.
2

decorrere da quello in corso all’1.1.2010 per i quali il beneficio gli era stato già concesso.

In proposito, ha evidenziato che la domanda formulata dall’Uno era stata proposta nella
vigenza del comma 4 0 dell’art. 4 del d.l. n. 146 del 2013 e, dunque, prima della
soppressione dello stesso a opera della legge di conversione; che “il divieto di concessione
del beneficio nella misura di 75 giorni o delle rispettive integrazioni, sulla base della mera
appartenenza del reato commesso alla categoria indicata nell’at. 4 bis O.P. creerebbe una
disparità trattamentale tra condannati e, dunque, una violazione dell’art. 3 della
Costituzione”, derivante anche dall’essere state o meno le relative istanze decise
tempestivamente dal magistrato di Sorveglianza durante la vigenza del decreto legge n. 146

legate all’organizzazione dell’Ufficio del Magistrato creerebbe una violazione del principio
della progressività trattamentale e, quindi, una disuguaglianza tra condannati per delitti
ricompresi nell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario che avevano già maturato, secondo
la previgente disciplina, le condizioni per goderne, essendo l’istituto della liberazione
anticipata strettamente legato alla partecipazione del condannato alla rieducazione; che,
infine, l’esclusione, prevista dalla legge n. 10 del 2014, dalla concessione del beneficio dei
condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4

bis

dell’ordinamento penitenziario

individuerebbe una inaccettabile presunzione di pericolosità sociale assoluta e per titolo
d’autore.
Ha, pertanto, chiesto l’annullamento dell’impugnata ordinanza ovvero la rimessione della
questione alla Corte Costituzionale.
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso questa Corte, dott. Roberto
Aniello, ha chiesto il rigetto del ricorso con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, richiamando la giurisprudenza di legittimità sulle
questioni poste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse dell’Uno è infondato.
E, in vero, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, “in tema di benefici
penitenziari, la disposizione di cui all’art. 4 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, non recepita
dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10, nella parte in cui prevede un
trattamento più favorevole per il condannato per uno dei delitti previsti dall’art. 4

bis della

legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione ai comportamenti pregressi alla sua pubblicazione,
e consistente in una maggiore detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata, non ha
efficacia ultrattiva, neppure se apparentemente vigente al tempo della domanda di
concessione del beneficio, sia perché alla materia in questione, in quanto estranea al diritto
penale sostanziale non è applicabile il principio di irretroattività della legge più sfavorevole,
sia perché, in generale, le regole attinenti al fenomeno della successione di leggi nel tempo
3

del 2013; che, inoltre, il ritardo nella decisione dovuto esclusivamente a problematiche

non si attagliano alla vicenda relativa alla sorte delle disposizioni di decreti – legge non
recepite nella legge di conversione” (Cass. Sez. I, 22.12.2014, n. 1650, RV 261879;
conformi: Cass. Sez. I, 19.12.2014, n. 3130, RV 262060; Cass. Sez. I, 22.12.2014, n. 1653
e 1657 — non massimate).
Nella citata pronuncia, con riguardo in particolare all’efficacia del decreto-legge non
convertito, è stato osservato che essa “non può in alcun modo essere estesa sino al
riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti

sub iudice al momento della conversione del

decreto. Come osserva, infatti, C. cost. n. 51 del 1985, l’art. 77 Cost., comma 3, “in nessun
caso considera la norma dettata con “decreto- legge non convertito” come norma in vigore
nel tratto di tempo tra la sua adozione e quello della mancata conversione; ed anzi, se
interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il decreto-legge non
convertito, di ogni effetto fin dall’inizio), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca
(ispirato – come appare anche dagli altri due commi dell’art. 77 Cost. – a maggior rigore
nella riserva al Parlamento della potestà legislativa), vieta di considerarla tale”. Dunque,
“indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con
decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito
non ha (…) attitudine, alla stregua dell’art. 77 Cost., comma 3 e u.c., ad inserirsi in un
fenomeno “successorio”, quale quello descritto è regolato dai commi secondo e terzo
dell’art. 2 c.p.”, ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali
per le quali vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore”.
In applicazione del superiore principio, risulta del tutto corretta la decisione adottata
nell’ordinanza impugnata.
Va, altresì, osservato che la Corte di cassazione ha, in altre occasioni, ritenuto infondate
le questioni di legittimità costituzionale della citata norma, prospettate in termini analoghi a
quelli di cui al presente ricorso.
Al riguardo, si richiama il principio di diritto affermato in dette pronunce, secondo cui “è
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del comma quarto
dell’art. 4 D.L. 23 dicembre 2013 n. 146, nel testo risultante a seguito delle modifiche
introdotte dalla legge di conversione (legge 21 febbraio 2014, n. 10) laddove prevede
l’esclusione dei condannati per i reati di cui all’art. 416 bis cod. pen., dalla disciplina di
maggiore favore in tema di entità della detrazione di pena per semestre ai fini della
liberazione anticipata stabilita, in generale, per gli altri condannati, in riferimento agli artt. 3
e 27 Cost., in quanto la disposizione censurata prefigura un regime speciale che, siccome
amplia gli effetti di favore conseguibili da tutti i soggetti in espiazione di pena, può essere
legittimamente sottoposto dal legislatore a limiti determinati da situazioni cui si collega una
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quando la relativa domanda era ancora

connotazione di immanente e peculiare pericolosità” (Cass. Sez. I, 27.6.2014, n. 34073, RV
260849; conforme Cass. Sez. I, 22.12.2014, n. 1650, RV 261879).
E ciò in quanto, come è stato evidenziato nella citata sentenza, “la disposizione di cui si
discute rappresenta, per definizione espressa del legislatore, una disciplina “speciale”, che
estende con alcune eccezioni i vantaggi conseguenti a un beneficio penitenziario già previsto
e applicabile indiscriminatamente a tutti i condannati. Non si è in presenza perciò di una
situazione in cui l’accesso al beneficio è in radice precluso al condannato per particolari tipi

condizioni gli effetti di favore, escludendo solo i condannati per taluni delitti ritenuti dal
legislatore di particolare allarme sociale. È agevole, quindi, l’osservazione che, trattandosi di
disposizione speciale di favore, in tanto sarebbe possibile porre un problema di irragionevole
diversità di trattamento in quanto fossero individuabili situazioni assolutamente omologhe
differentemente e meglio trattate, da porre quali termini di comparazione appropriati. Ma,
come è da ritenere acquisito, i delitti previsti dall’art. 4 bis, commi 1, 1 ter e 1 quater, Ord.
Pen. hanno natura e connotazioni di maggiore pericolosità che rende non discriminatoria
(art. 3 Cost., comma 1), ne’ contraria al principio di rieducazione della pena (art. 27 Cost.,
comma 3), e neppure irragionevole la limitata applicazione dei benefici penitenziari e,
segnatamente, l’esclusione della liberazione anticipata speciale introdotta dal D.L. n. 146 del
2013, art. 4, convertito con modificazioni dalla L. n. 10 del 2014, per i condannati in
espiazione di pena per i più gravi delitti elencati nel medesimo art. 4 bis Ord. Pen.”.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 13 gennaio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

di reato. Si assiste invece al fenomeno di una disposizione speciale, che amplia a certe

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