Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29964 del 13/01/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 29964 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Castelluccio Gaetano, nato il 07/10/1979;
2) Ventimiglia Maria, nata il 18/05/1959;
3) Castelluccio Valentina, nata il 02/03/1989;

Avverso il decreto n. 8/2014 emesso il 24/03/2014 dalla Corte di ap elio di
Palermo;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Pasquale
Fimiani, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

u

u).

Data Udienza: 13/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto emesso il 24/03/2014 la Corte di appello di Palermo
confermava il decreto emesso dal Tribunale di Palermo il 22-23/10/2013,
rigettando le impugnazioni proposte nell’interesse di Gaetano Castelluccio e delle
intervenienti Maria Ventimiglia e Valentina Castelluccio.
Questo provvedimento, innanzitutto, confermava la misura della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due, con la
contestuale imposizione di una cauzione di 300,00 euro, irrogata a Gaetano

Castelluccio.
Veniva, inoltre, confermata la confisca di due autovetture rispettivamente
intestate a Maria Ventinniglia e Valentina Castelluccio – madre e sorella del
prevenuto – costituite da una Lancia Ypsilon targata E3952CA e da una Toyota IQ
targata DW580MD, sul presupposto che tali veicoli erano nella disponibilità
materiale del prevenuto.
Tale decreto confermativo si fondava sulla valutazione della posizione
giudiziaria del prevenuto e sugli elementi processuali riguardanti la costituzione e
il coordinamento di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di
furti e riciclaggio di autoveicoli, attiva nell’arco temporale compreso tra l’ottobre
del 2008 e il febbraio del 2009, in conseguenza dei quali aveva riportato la
condanna alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione e 1.600,00 euro di multa,
che gli era stata irrogata con sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di
Palermo il 14/12/2011.
Questi elementi processuali, secondo la Corte di appello di Palermo,
imponevano la conferma del provvedimento impugnato nell’interesse di Gaetano
Castelluccio, Maria Ventimiglia e Valentina Castelluccio.

2. Avverso tale decreto Gaetano Castelluccio, Maria Ventimiglia e Valentina
Castelluccio, nelle rispettive qualità processuali di prevenuto e intervenienti, a
mezzo dei loro difensori, ricorrevano per cassazione, proponendo autonomi
ricorsi.
2.1. Il prevenuto Gaetano Castelluccio, a mezzo dell’avv. Nino Zanghì,
proponeva un’unica doglianza difensiva, con la quale si deducevano violazione
legge penale e processuale, in relazione all’art. 10, comma 2, d.lvo 6 settembre
2011, n. 159.
Si deduceva, in particolare, l’insussistenza del requisito dell’attualità della
pericolosità sociale del Castelluccio indispensabile per l’irrogazione della misura
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con la contestuale imposizione
di una cauzione.
2

7

L’assenza del requisito in questione, innanzitutto, discendeva dal fatto che le
condanne riportate dal Castelluccio erano risalenti nel tempo, essendogli state
irrogate in epoca antecedente al 2009. A sostegno di tale ricostruzione difensiva
si evidenziava che il Tribunale di sorveglianza di Palermo, con ordinanza del
20/02/2013, aveva disposto che il prevenuto scontasse la pena detentiva in
corso di esecuzione in regime di semilibertà, consentendogli lo svolgimento di
un’attività lavorativa all’esterno, presso una ditta estranea al suo ambiente
familiare.

processuale avevano visto assolto il Castelluccio, con sentenza emessa il
09/10/2012, dalla Corte di appello di Palermo nel procedimento penale n.
9362/2010 R.G.N.R.
A fronte di tali incontrovertibili elementi di valutazione, sui quali venivano
sollevate specifiche doglianze, la Corte territoriale si limitava a confermare il
provvedimento impugnato senza richiamare alcuna argomentazione idonea a
confutare le censure processuali proposte, affermando in termini meramente
apodittici l’irrilevanza delle pronunce giurisdizionali richiamate dalla difesa del
Castelluccio.
Ne discendeva che, nel caso di specie, risultava insussistente il presupposto
applicativo dell’attualità della pericolosità sociale del Castelluccio, indispensabile
per l’applicazione della misura di sorveglianza di pubblica sicurezza irrogata nei
suoi confronti, rispetto alla quale il provvedimento impugnato risultava
totalmente sprovvisto di supporto motivazionale.
2.2. Le intervenienti Valentina Castelluccio e Maria Ventimiglia, a mezzo
dell’avv. Nino Zanghì, ricorrevano per cassazione, proponendo un’unica
doglianza difensiva – con la quale deducevano violazione di legge penale e
processuale, in relazione agli artt. 2 ter e 3 ter della legge 31 maggio 1965, n.
575 e 7 della legge 23 dicembre 1956, n. 1423 – che veniva articolata in due
distinte censure processuali.
In tale ambito, innanzitutto, si deduceva che la Castelluccio e la Ventimiglia,
essendo la sorella e la madre del prevenuto, non rientravano tra i soggetti per i
quali operava l’inversione dell’onere della prova posta a fondamento del
provvedimento impugnato, esclusivamente riguardante la posizione del coniuge,
dei figli e degli altri congiunti conviventi.
Si evidenziava, in particolare, che, per persone conviventi nell’ultimo
quinquennio, dovevano intendersi solo quei soggetti che avevano una relazione
stabile con il prevenuto nello stesso luogo, condividendo interessi e attività
economiche, in relazione ai quali, nel provvedimento impugnato, non era

3

Nella stessa direzione, si evidenziava che i fatti delittuosi di maggiore rilievo

richiamato alcun elemento probatorio, venendo al contempo omessa ogni
valutazione processuale degli esiti del sottostante giudizio.
Si deduceva, inoltre, che, nel provvedimento impugnato, non si era tenuto
conto del fatto che le due autovetture confiscate – costituite da una Lancia
Ypsilon targata E3952CA e da una Toyota IQ targata DW580MD – risultavano
nella legittima disponibilità della Castelluccio e della Ventinniglia, in conseguenza
del fatto che erano abitualmente destinate al soddisfacimento delle loro esigenze
personali ed erano state acquistate sulla base di risorse economiche autonome

presentate dalle due intervenienti.
Con specifico riferimento alla posizione della Ventimiglia, inoltre, si
evidenziava l’insussistenza del requisito della sproporzione reddituale
indispensabile per l’emissione del provvedimento di confisca adottato, tenuto
conto delle sue entrate stabili, che venivano passate analiticamente in rassegna,
anche alla luce degli indici ISTAT, applicabili in relazione alla condizione
economica della stessa interveniente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti nell’interesse di Gaetano Castelluccio, Maria Ventimiglia
e Valentina Castelluccio, nelle rispettive qualità processuali, devono ritenersi
inammissibili.
In via preliminare, deve rilevarsi che nel procedimento di prevenzione il
ricorso per cassazione, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 2, della legge
27 dicembre 1956, n. 1423, così come richiamato dall’art. 3 ter, comma 2, della
legge 31 maggio 1965, n. 575, è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne
consegue che devono escludersi dall’ambito dei vizi deducibili in sede di
legittimità le ipotesi previste dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
potendosi soltanto denunciare, ai sensi della lett. c) della stessa disposizione, la
motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione
dell’obbligo di provvedere con decreto motivato.
In sede di legittimità, dunque, non è deducibile il vizio di motivazione, a
meno che questa non sia del tutto carente, presentando difetti tali da renderla
meramente apparente e in realtà inesistente ossia priva dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e logicità; ovvero quando la motivazione stessa si ponga
come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito
dal giudice di merito; ovvero, ancora, quando le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici

4

rispetto a quelle del prevenuto, così come attestato dalle dichiarazioni dei redditi

da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione adottata
(cfr. Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore, Rv. 257007).
Questo orientamento ermeneutico, da ultimo avallato dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 106 del 15 aprile 2015, ha ricevuto l’ulteriore
suggello delle Sezioni unite che hanno affermato il seguente principio di diritto:
«Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto
per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n.
1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575;
ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero

dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui
all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il
ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con
decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art.
4 legge n. 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente
apparente» (cfr. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
In questa cornice sistematica, occorre considerare i singoli passaggi del
decreto oggetto di impugnazione, tenendo conto delle doglianze dei ricorrenti,
allo scopo di verificarne l’effettiva congruità rispetto all’impianto motivazionale
del provvedimento.

2. Quanto alle doglianze sollevate nell’interesse di Gaetano Castelluccio, se
ne deve rilevare l’inammissibilità, atteso che, al contrario di quanto dedotto nel
ricorso in esame, la Corte di appello di Palermo formulava un giudizio di
pericolosità sociale del prevenuto adeguato, facendo riferimento alla sua
anagrafe giudiziaria e ai suoi precedenti di polizia, compiendo una valutazione
complessiva della sua personalità e correlando tali elementi valutativi alla
sentenza di condanna alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione e 1.600,00
euro di multa, che gli era stata irrogata con sentenza emessa dal G.I.P. del
Tribunale di Palermo il 14/12/2011.
Gli elementi probatori acquisiti in tale ambito processuale venivano
ulteriormente correlati agli esiti degli altri procedimenti penali nei quali il
Castelluccio era stato condannato e alle risultanze del procedimento n.
9362/2010 R.G.N.R. nel quale il prevenuto era stato assolto, componendo un
quadro probatorio pienamente rispettoso della giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui non è possibile ipotizzare una presunzione di pericolosità derivante
esclusivamente dalle risultanze di un processo, essendo onere del giudice certamente osservato nel caso di specie – verificare in concreto la persistenza
della pericolosità del proposto (cfr. Sez. 1, n. 23641 dell’11/02/2014, Mondini,
Rv. 23641).
5

7

In questo contesto processuale, secondo la Corte di appello di Palermo,
deponeva in senso univocamente negativo nei confronti del Castelluccio la
circostanza che il prevenuto – già condannato in via definitiva per i reati di furto,
riciclaggio, ricettazione, falsità materiale ed evasione – veniva raggiunto da un
provvedimento applicativo della misura della sorveglianza speciale disposta dalla
stessa Corte territoriale con provvedimento del 22/03/2004, non mostrando in
epoca successiva alcun segno di ravvedimento e continuando a manifestare una
condotta contraria alle regole della convivenza sociale, attestata dalla sentenza

Attraverso tale percorso argomentativo, che risulta esente da discrasie
motivazionali, nel decreto impugnato, si riteneva sussistente in capo al
Castelluccio un’elevata propensione al reato, desumibile dall’esame complessivo
degli elementi processuali acquisiti nei suoi confronti, in un significativo arco
pluriennale, sul quale la Corte territoriale si soffermava analiticamente nelle
pagine 3-6 del provvedimento in esame.
Non rilevava, per converso, la sentenza di assoluzione emessa il 09/10/2012
dalla Corte di appello di Palermo nel procedimento penale n. 9362/2010 R.G.N.R.
riportata dal Castelluccio, non potendo tale pronuncia ritenersi decisiva per
escludere la pericolosità sociale del prevenuto, atteso che – in senso contrario a
quanto dedotto dal ricorrente – in tale ambito processuale era comunque emersa
la persistenza del collegamento con esponenti del suo ambiente criminale di
provenienza, afferenti allo stesso contesto soggettivo in relazione al quale era
intervenuta la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Palermo il 14/12/2011, già
richiamata.
Parimenti irrilevante, secondo la corretta ricostruzione della Corte
territoriale, doveva ritenersi il regime di semilibertà di cui aveva beneficiato il
Castelluccio – con provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza di
Palermo il 20/02/2013 – atteso che, nello stesso ambito valutativo, veniva
rigettata la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, in conseguenza
dei numerosi precedenti penali del condannato e dell’ambiente criminale di
riferimento; elementi circostanziali, questi ultimi, che si muovevano in una
direzione assolutamente compatibile con quella espressa dalla Corte di appello di
Palermo nel provvedimento impugnato.
Ricostruito in questi termini il giudizio di pericolosità compiuto nei confronti
del Castelluccio appare immune da censure e conforme alla giurisprudenza di
consolidata di questa Corte, che occorre ribadire, secondo la quale: «Nel giudizio
di prevenzione vige la regola della piena utilizzazione di qualsiasi elemento
indiziario desumibile anche da procedimenti penali in corso e, persino, definiti
con sentenza irrevocabile di assoluzione, purché certo ed idoneo per il suo valore
6

di condanna del 14/12/2011.

sintomatico a giustificare il convincimento del giudice che è ampiamente
discrezionale in ordine alla pericolosità sociale del proposto. Tali elementi
indiziari possono essere desunti dai provvedimenti giudiziari anche
indipendentemente dall’acquisizione dei verbali, delle trascrizioni, o, per quanto
attiene alle intercettazioni, dai provvedimenti autorizzativi esistenti nel diverso
procedimento» (cfr. Sez. 2, n. 25919 del 28/05/2008, Rosaniti, Rv. 240629).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il ricorso proposto

3. Parimenti inammissibili devono ritenersi i ricorsi proposti nell’interesse di
Maria Ventimiglia e Valentina Castelluccio.
3.1. Deve, innanzitutto, rilevarsi che risulta destituita di fondamento la
doglianza preliminare secondo cui la Castelluccio e la Ventinniglia, essendo la
sorella e la madre del prevenuto e non essendo conviventi con il prevenuto, non
rientravano tra i soggetti per i quali operava l’inversione dell’onere della prova
posta a fondamento del provvedimento impugnato, esclusivamente riguardante
la posizione del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, con conseguente
violazione degli artt. 2 ter e 3 ter della legge n. 575 del 1965 e 7 della legge n.
1423 del 1956.
Deve, in proposito, rilevarsi che al fine di disporre la misura di prevenzione
della confisca, nel caso di beni formalmente intestati a un terzo che si assumono
nella disponibilità della persona sottoposta a una misura di prevenzione
personale, il giudice ha l’obbligo di addurre non più soltanto circostanze
sintomatiche di spessore indiziario, ma fatti che si connotino per la loro gravità,
precisione e concordanza, tali da costituire una prova dell’assunto che si tende a
dimostrare, relativo al superamento della coincidenza tra titolarità apparente e
disponibilità effettiva dei beni confiscati. In caso contrario, la misura patrimoniale
sarebbe imputata al terzo in proprio, con una metodologia in punto di prova
tipica del giudizio di pericolosità sociale, sulla base delle presunzioni indiziarie
connesse a tale giudizio (cfr. Sez. 1, n. 4017 del 04/07/1995, Biron, Rv.
204903).
In questa cornice ermeneutica, deve rilevarsi che, nell’ordinanza impugnata,
tale questione interpretativa era stata affrontata dalla Corte territoriale in termini
motivazionali ineccepibili, rilevandosi che, nel caso in esame, la relazione di
convivenza tra il Castelluccio e le odierne intervenienti risultava corroborata dal
fatto che il prevenuto, fino al 2009, coabitava con la madre e la sorella
nell’immobile, ubicato a Palermo in via Ponticello Oneto n. 4, presso il cui
indirizzo continuava a essere reperibile, come confermato dal fatto che in tale
domicilio riceveva la notifica dell’originario provvedimento di sequestro.
7

nell’interesse di Gaetano Castelluccio.

Ne discende che, sulla base degli elementi probatori richiamati, ai quali si
faceva correttamente riferimento nelle pagine 8 e 9 del decreto in esame, la
Corte territoriale riteneva che i beni sequestrati fossero nella disponibilità
personale del prevenuto, in conseguenza del rapporto di convivenza con la
madre e la sorella, inteso in un’accezione conforme alla giurisprudenza
consolidata di questa Corte, secondo cui: «In materia di misure di prevenzione
patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del
coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne

delle persone di maggior fiducia, sui quali pertanto grava l’onere di dimostrare
l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca» (cfr. Sez. 1, n. 39799
del 20/10/2010, Fiorisi, Rv. 248845).
In questa cornice ermeneutica, occorre evidenziare che la tesi interpretativa
prospettata dalla difesa delle ricorrenti, ai fini della dedotta irrilevanza delle
presunzioni connotanti il sistema della prevenzione patrimoniale nei loro
confronti, è priva di qualsiasi elemento di conforto sia dal punto di vista
dell’esegesi letterale delle norme di riferimento che in una più ampia prospettiva
di tipo sistematico. Ne consegue che, sulla base di quanto esposto, il decreto
impugnato è esente dai vizi denunciati, nella parte in cui, con un percorso
argomentativo congruo, ha evidenziato che il Castelluccio e le proprie congiunte
dovevano considerarsi sue conviventi, condividendo con il prevenuto una serie di
interessi economici e residenziali, rispetto ai quali spiccava la figura
predominante dello stesso Castelluccio (cfr. Sez. 6, n. 49878 del 06/12/2013,
Modellar°, Rv. 258140).
Queste considerazioni impongono di ritenere inammissibile la doglianza
difensiva esaminata.
3.2. Analogo giudizio di inammissibilità deve essere espresso in relazione
all’ulteriore doglianza difensiva, secondo cui, nel provvedimento impugnato, non
si era tenuto conto del fatto che le due autovetture confiscate risultavano nella
legittima disponibilità della Castelluccio e della Ventimiglia, in conseguenza del
fatto che erano abitualmente utilizzate dalle stesse intervenienti per finalità
personali ed erano state acquistate sulla base di risorse economiche autonome
rispetto a quelle del prevenuto, attestate dalle dichiarazioni dei redditi
presentate dalle due intervenienti.
Deve, in proposito, rilevarsi che l’analisi reddituale compiuta dalla difesa
delle intervenienti – peraltro limitata alla sola posizione della Ventimiglia che
risulta intestataria di uno dei due veicoli confiscati – non tiene conto del fatto che
gli accertamenti patrimoniali condotti dalla Guardia di Finanza di Palermo
riguardavano il flusso reddituale complessivo del nucleo familiare del prevenuto,

abbia la disponibilità facendoli apparire formalmente come beni nella titolarità

esaminato in un arco pluriennale, rispetto al quale la frammentazione proposta
dalla difesa delle intervenienti risulta incongrua.
Si consideri, in proposito, che, nella ricostruzione dei flussi reddituali facenti
capo alla Ventimiglia e alla Castelluccio, eseguita dai militari delegati allo
svolgimento degli accertamenti patrimoniali in esame, si era tenuto
analiticamente conto dei redditi dichiarati a partire dal 1994, che evidenziavano
importi economici di valore obiettivamente modesto, anche alla luce del volume
di affari dell’omonima ditta individuale esercente l’attività di panetteria della

ricorso in esame.
Nel ricostruire il flusso reddituale del nucleo familiare del Castelluccio, in
ogni caso, occorreva tenere presente che lo stesso era composto da quattro
persone fino al 2009 e da cinque persone a partire dal 2009 e che le due
autovetture confiscate – a fronte degli introiti modesti che si sono richiamati erano state acquistate dalle ricorrenti beneficiando di due finanziamenti
consistenti, ammontanti a 15.000,00 euro per la Toyota IQ targata DW580MD
intestata a Maria Ventimiglia e a 10.250,00 euro per la Lancia Ypsilon targata
0952CA intestata a Valentina Castelluccio.
Questo percorso ricostruttivo risultava congruamente valutato nel
provvedimento impugnato, nel quale, nelle pagine 11 e 12, si dava conto delle
ragioni poste a fondamento del giudizio di sproporzione reddituale censurato
dalle ricorrenti, affermandosi: «Pure tenendo conto di tali introiti espressamente richiamati nell’atto di appello – l’ammontare complessivo degli
investimenti e, soprattutto, il considerevole acquisto di autoveicoli da parte del
proposto e del suo nucleo familiare, tutti espressamente elencati nelle tabelle
allegate alla nota della Guardia di Finanza richiamata, unita alle inevitabili spese
di mantenimento per tutti i componenti di quel nucleo familiare […] ha
determinato negli anni una sperequazione così evidente che non può essere
colmata tenendo conto delle eventuali maggiori somme indicate nel proposto
atto di appello e che non giustifica affatto gli esborsi affrontati per l’acquisto
delle autovetture in sequestro […]».
Queste considerazioni, anche tenuto conto degli argomenti esposti nel
paragrafo 3.1., impongono di ritenere inammissibile la doglianza difensiva
esaminata.

4. Per queste ragioni processuali, i ricorsi proposto da Gaetano Castelluccio,
Maria Ventinniglia e Valentina Castelluccio, nelle rispettive qualità processuali,
devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi, non ricorrendo

Ventimiglia e degli ulteriori introiti economici, ai quali si faceva riferimento nel

ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende,
determinabile in 1.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 gennaio 2016.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA