Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29957 del 31/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29957 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CRANDONI GINETTO, nato il 27 luglio 1957
avverso la sentenza n. 2329/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
17/02/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 31/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale Dott. Nicola Lettieri, che ha chiesto
l ‘annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito per il ricorrente l ‘avv. Marcello Pizzi, in sostituzione degli avv.
Gaia Brusciotti e Marco Brusciotti, che ha insistito nell ‘accoglimento
dei motivi del ricorso.

Data Udienza: 31/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 3 maggio 2011 il Tribunale di Pesaro ha dichiarato
Grandoni Ginetto responsabile della contravvenzione di cui agli artt. 81 e 659
cod. pen., allo stesso contestata per avere, in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, nella qualità di legale rappresentante della Villa Marina s.r.I.,
mediante rumori e schiamazzi prodotti, anche in tempo notturno, dagli utenti dei
campi di calcetto siti in Pesaro, viale Trieste 371, e, in occasione dello
riposo delle persone residenti in zona e degli ospiti dell’attiguo Hotel Mare, e l’ha
condannato alla pena di un mese di arresto.
Con la stessa sentenza il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei
confronti dell’imputato, per intervenuta prescrizione, in relazione al reato di cui
all’art. 650 cod. pen., allo stesso contestato al capo a) per non avere osservato
l’ordinanza n. 990 del comune di Pesaro, che gli aveva imposto di far rientrare i
rumori nei termini di legge e dl ruotare i due proiettori del campo di calcetto o
comunque di adottare accorgimenti per evitare la dispersione della luce verso
l’alto.
2. La Corte d’appello di Ancona con sentenza del 17 febbraio 2012 ha
confermato la sentenza di primo grado.
Secondo la Corte, che richiamava diffusamente le ragioni di doglianza poste
dall’imputato a fondamento dei motivi di appello, non rilevava la circostanza che
solo li proprietario dell’immobile confinante si fosse lamentato dell’attività svolta
dalla società Villa Marina, poiché, per orientamento costante di questa Corte, è
necessaria, per la configurabilità del reato di cui all’art. 659, comma 1, cod. pen.,
la potenziale idoneità delle emissioni sonore e luminose a disturbare il riposo
delle persone, a prescindere dal concreto disturbo di tutte.
Il dedotto riferimento ai limiti di rumorosità fissati per legge, inoltre,
riguardava esclusivamente le situazioni di emissione sonore prodotte da attività
professionale, commerciale o imprenditoriale rumorosa, mentre la gestione di
area destinata ad attività sportiva, amatoriale e al più dilettantistica, non era di
per sé rumorosa, ove curata con il doveroso rispetto, con conseguente rilevanza
dei criteri di normale tollerabilità e sensibilità in un determinato contesto socioambientale, mentre l’accertamento acustico, il cui esito era stato anche positivo,
era liberamente apprezzabile.
Nel caso di specie, dalla istruttoria dibattimentale erano emersi elementi di
prova certi, rappresentati dalle dichiarazioni composite e articolate del teste
Campagnoli Paolo, assistite dagli accertamenti tecnici dell’Arpam, e ostava al
rilievo della eccepita decorrenza del termine di prescrizione del reato la presenza
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svolgimento dei tornei, dalle grida del tifosi e dai fischi degli arbitri, disturbato il

di anomale fonti rumorose di disturbo, riferita dallo stesso teste senza soluzioni di
continuità fino alla data dell’aprile 2008, coincidente con la mancata rinnovazione
In detta data da parte del Comune di Pesaro della gestione dell’impianto
comunale in favore dell’imputato.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei
suoi difensori di fiducia, l’imputato, che ne chiede l’annullamento sulla base di
quattro motivi.
legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per
erroneità e ingiustizia della sentenza perché il fatto non sussiste.
Secondo il ricorrente, è da escludere la potenzialità diffusiva dei rumori
molesti, quale elemento indefettibile per la configurabilità della contestata
contravvenzione, poiché la rumorosità dell’attività svolta dalla società Villa Marina
è stata lamentata in giudizio dal solo Campagnoli Paolo, proprietario
dell’immobile confinante, e la zona in cui era l’impianto sportivo gestito dalla
stessa, in forza di affidamento tramite pubblica gara da parte del Comune di
Pesaro, era alla fine del lungomare di Pesaro e dal quel punto in poi
sostanzialmente disabitata.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione della
legge penale e mancanza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per erronea qualificazione del fatto.
Secondo il ricorrente, la Corte ha omesso qualsiasi motivazione in ordine alla
doglianza svolta con il secondo motivo di appello, secondo la quale il precetto
penale, in base al principio di specialità, deve cedere di fronte alla disciplina
speciale che sanziona II fatto con la pena amministrativa.
Né è condivisibile la tesi della sentenza che l’attività svolta, consistente nella
gestione di due campetti di calcetto all’aperto, abbia integrato la fattispecie di cui
all’art. 659, comma 1, cod. peri., e non quella di cui al secondo comma dello
stesso articolo.
3.3. Con il terzo motivo è dedotta l’intervenuta prescrizione del reato,
risalendo l’unico accertamento formale dell’Arpam al 27 giugno 2007 e non
essendovi traccia di prosecuzione dei presunti rumori dopo tale, data oltre alle
dichiarazioni del teste Campagnoli, non specifiche al riguardo.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente contesta il diniego delle attenuanti
generiche, motivato per la sua qualifica di pluripregiudicato, quando invece le
condanne emesse a suo carico erano già estinte al momento della pronuncia, pur
non essendo intervenuta declaratoria di estinzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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3.1. Con li primo motivo il ricorrente denuncia erronea applicazione della

1. La verifica preliminare che si impone, avuto riguardo al tempus commissi

delicti indicato nel capo d’Imputazione (“in Pesaro dal 2004; condotta in corso
all’aprile 2008”), attiene all’accertamento dell’intervenuto decorso, in data
successiva alla emissione della sentenza d’appello, del termine massimo di
prescrizione del reato, con riferimento agli artt. 157 e segg. cod. pen.
1.1. Deve al riguardo rilevarsi, In diritto, che, in base al condivisibile
orientamento di questa Corte, i reati di disturbo delle occupazioni o del riposo

solo eventualmente permanente, poiché il fatto può esaurirsi nel momento in cui
si concretano gli elementi costitutivi dell’ipotesi tipica del reato ma può anche
protrarsi con un’attività che riproduca nel tempo l’ipotesi stessa, non cessando la
permanenza fino a quando sussiste, obiettivamente, uno stato antigiuridico
determinato da una azione volontaria (tra le altre, Sez. 1, n. 9356 del
05/06/1985, dep. 19/10/1985, Ferrofino, Rv. 170759; Sez. 1, n. 2598 del
13/11/1997, deo. 27/02/1998, P.M. in proc. Garbo, Rv. 209960; Sez. 1, n. 7758
del 24/01/2012, dep. 28/02/2012, P.G. in proc. Pacchia, Rv. 252425), e deve
rimarcarsi, in fatto, che la Corte di merito con apprezzamento di merito, non
sindacabile in questa sede, ha indicato la data di cessazione della condotta illecita
contestata, protrattasi senza soluzione dl continuità secondo le indicazioni del
teste Campagnoli, nell’aprile 2008 quando il Comune di Pesaro non ha rinnovato in favore dell’imputato – la gestione dell’impianto comunale.
1.2. Alla luce di detti rilievi, il termine di prescrizione del reato
contravvenzionale contestato è maturato nel mese di aprile 2013, considerati la
pena edittale per esso prevista (arresto fino a tre mesi e ammenda fino a euro
309), il tempo minimo stabilito dall’art. 157, comma 1, cod. pen. per la
prescrizione del reato contravvenzionale (quattro anni), la sua decorrenza dalla
data di cessazione della permanenza a norma dell’art. 158, comma 1, cod. pen.,
l’incidenza degli atti interruttivi Intervenuti sul prolungamento massimo del
tempo necessario a prescrivere (non oltre un quarto, stabilito dagli artt. 160,
comma 3, e 161, comma 2, cod. pen.), e la mancanza di sospensioni del corso
del termine prescrizionale nei due gradi del giudizio, rilevabile dall’esame dei
relativi atti.

2. Al rilievo dell’intervenuta estinzione del reato, verificatasi dopo l’emissione
della sentenza impugnata, non ostano i motivi dedotti dall’imputato, né il
disposto dell’art. 129 cod. proc. pen.
2.1. I motivi del ricorso, proposto nei termini di legge, non presentano,
infatti, profili d’inammissibilità, poiché le deduzioni che li sostengono attengono
anche a questioni di diritto non manifestamente infondate, connesse ai
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delle persone e di getto pericoloso di cose hanno di regola carattere istantaneo, e

presupposti della fattispecie criminosa contestata e alla qualificazione della
condotta in rapporto all’attività svolta e alla sua natura, e non hanno, pertanto,
precluso la corretta instaurazione dinanzi a questa Corte del rapporto processuale
d’impugnazione (Sez. U, n. 12328 del 22/03/2005, dep. 22/06/2005, Bracale,
Rv. 231164).
2.2. Quanto all’art. 129 cod. proc. pen., si rileva che, secondo il condiviso
costante orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del
reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma
idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte
dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo
assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione ictu ocu/i,

che a quello di “apprezzamento”, e sia, quindi,

incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento nella
valutazione del materiale probatorio agli atti (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009,
dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Non sono, invece, rilevabili in sede di
legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del
rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria
della causa estintiva, che, determinando il congelamento della situazione
processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata
(Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, citata, Rv. 244275).
Nella specie, non ricorrono le condizioni per un proscioglimento nel merito, in
mancanza della prova evidente (nel senso della sua “constatazione” e non del suo
“apprezzamento”) dell’innocenza, e questa Corte non può compiere un riesame
dei fatti finalizzato a un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti
alla sua motivazione o alla operata ricostruzione della condotta contestata e ai
presupposti della sua qualificazione giuridica.
3. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio per
essere il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, in data 31 maggio 2013
Il Consigliere estensore
dott. Angela Tardio

1TATA

Il Presidente

LEIRldbtt. Maria ririotto

12 LUG. 2013
IL CANCELLIERE

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dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nel casi in cui le circostanze

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