Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29955 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29955 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSESI KAMEL N. IL 03/11/1966
avverso l’ordinanza n. 155/2014 TRIBUNALE di BOLOGNA, del
27/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 11/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Con ordinanza del 27 giugno 2014, il Tribunale di Bologna, quale giudice dell’esecuzione,

decidendo sulla richiesta formulata nell’interesse di Musesi Kamel di rideterminazione – a
seguito della pronuncia n. 32/2014 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vides ter del D.L. 272/2005 convertito con modificazioni
dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006 n. 49 – della pena di anni quattro di
reclusione ed C. 18.000,00 di multa (p.b. anni sei di reclusione ed C. 27.000,00 di multa

Tribunale di Bologna del 31.5.2012, divenuta irrevocabile dall’8.12.2012, per il reato di cui
all’art. 73, comma 1°, del DPR n. 309/90 relativo alla illecita detenzione a fini di spaccio di
cinque tavolette di hashish per un peso netto complessivo di grammi 504,3 e con principio
attivo pari al 13,27% per complessivi grammi 66,921, ha proceduto alla chiesta
rideterminazione nella misura di anni tre di reclusione ed C. 10.000,00 di multa (p.b. anni
quattro, mesi sei di reclusione ed C. 15.000,00 di multa, ridotta di un terzo per la scelta del
rito).
Il Tribunale di Bologna nella citata ordinanza, dopo avere evidenziato, riferendosi alla
motivazione del giudice della cognizione, che “sul piano sanzionatorio la circostanza che la
droga detenuta fosse del tipo c.d. “leggero” consentiva comunque di quantificare la pena ai
sensi del’art. 133 cp in anni sei di reclusione ed C. 27.000 di multa, prossima al minimo
edittale, pena che veniva ridotta per il rito a quattro anni di reclusione ed C. 18.000,00 di
multa”, procedeva alla rideterminazione della pena nella misura indicata, secondo la cornice
edittale del “rivigente” art. 73, comma 4 0 , DR n. 309/90, affermando che “non può essere in
alcun modo applicato un principio di tipo proporzionalistico per cui la pena dovrebbe essere
determinata partendo dal riposizionamento della pena nella medesima e corrispondente
posizione nella forbice edittale”; che “ciò è di immediata evidenza se solo si considera che la
decisione del giudice di cognizione di attenersi al minimo edittale o di discostarsi di poco da
esso, potrebbe, come è espressamente avvenuto nel caso in esame, essere stata motivata
rispetto alla normativa allora in vigore – proprio dalla necessità di distinguere tra droga
leggera e droga pesante, mentre tale circostanza oggi è del tutto ininfluente in sede di
commisurazione della pena”; che, in considerazione della circostanza che il fatto “riveste una
certa gravità alla luce delle circostanze concrete e della personalità dell’autore”, la pena
doveva essere rideterminata nella misura di anni tre di reclusione ed C. 10.000,00 di multa
(secondo il calcolo in precedenza indicato).
2.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore di

fiducia, Musesi Kamel chiedendo l’annullamento della stessa per “violazione di legge e vizio di
motivazione” per non avere il giudice dell’esecuzione “preso in considerazione nella nuova
determinazione della pena a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, il

1

ridotta di un terzo per la scelta del rito) inflitta nei confronti del predetto con sentenza del

minimo edittale contemplato dal previgente, oggi applicabile, art. 73, comma 4 0 , DPR n.
309/90”.
3.

Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giulio

Romano, ha chiesto il rigetto del ricorso.

4.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto, per le ragioni di seguito specificate.

Giova evidenziare che, alla stregua delle pronuncie di legittimità anche a Sezioni Unite
(sentenza 29.5.204, n. 42858, ric. Gatto; sentenza 26.2.2015, n. 22471, ric. Sebbar;
sentenza 26.2.2015, n. 33040, ric. Jazouli; sentenza 26.2.2015, n.37107 ric. Marcon) – che
hanno affrontato il tema del rapporto tra l’intangibilità del giudicato e le ricadute di decisioni
della Corte Costituzionale incidenti sul mero trattamento sanzionatorio – è possibile affermare
che il giudice dell’esecuzione, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 30
dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, con
conseguente reviviscenza del previgente trattamento sanzionatorio dettato dal d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309, deve procedere alla rideterminazione della pena in favore del condannato a
norma degli artt. 132 e 133 cod. pen., attenendosi al rispetto sia dei limiti edittali previsti dalla
originaria formulazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione alla tipologia di
condotta e di sostanza stupefacente oggetto di contestazione, sia delle valutazioni già
effettuate in sentenza dal giudice della cognizione con riferimento alla sussistenza del fatto e al
significato allo stesso attribuibile.
Ciò posto, ritiene la Corte che Tribunale di Bologna, quale giudice dell’esecuzione, ha fatto
buon governo dei suddetti principi, procedendo a rideterminare la pena secondo i criteri dettati
dall’art. 133 del codice penale e spiegado anche le ragioni per le quali non ha ritenuto di
calcolarla nel minimo edittale della “rivissuta” cornice edittale.
In proposito, ha evidenziato, con motivazione congrua, come il fatto “riveste una certa gravità
alla luce delle circostanze concrete e della personalità dell’autore” e ha così valutato la
concreta idoneità del trattamento sanzionatorio – come rideterminato – rispetto alla fattispecie
accertata.
5.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

processuali.

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma 1’11 dicembre 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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