Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29951 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29951 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASA FILIPPO

Data Udienza: 10/12/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIGLIO SERGIO N. IL 07/08/1969
avverso l’ordinanza n. 1067/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
19/08/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
1/sentite le conclusioni del PG Dott. e-‘ ,1-0
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 19.8.2015, il Tribunale del riesame di Palermo confermava il
provvedimento del 30.7.2015, con il quale il G.I.P. della stessa sede aveva applicato la misura
cautelare della custodia in carcere a GIGLIO Sergio per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.,
sostanziato dall’aver fatto parte, con altri indagati e unitamente a numerosi associati,

Salemi, ponendo in essere, insieme ai correi GUCCIARDI Michele, GONDOLA Vito, DI LEONARDO
Ugo, GIAMBALVO Pietro, GIAMBALVO Vincenzo, SCIMONELLI Giovanni Domenico e TERRANOVA
Michele, condotte dirette sia a curare la latitanza del capo della provincia mafiosa di Trapani
MESSINA DENARO Matteo, sia a consentire al predetto latitante e al reggente del mandamento
mafioso di Mazara del Vallo, GONDOLA Vito, l’esercizio delle rispettive funzioni apicali, eseguendo
puntualmente gli ordini da costoro impartiti e costituendo un punto di riferimento della riservata
catena di comunicazione epistolare attraverso cui MESSINA DENARO Matteo dirige l’intera
associazione “Cosa Nostra”.
Le indagini sfociate nell’ordinanza cautelare impugnata avevano essenzialmente riguardato
la condotta attuata dagli indagati per provvedere al concreto funzionamento del capillare sistema
di corrispondenza e comunicazione tra il predetto latitante e gli altri componenti dell’articolazione
territoriale di “Cosa Nostra” nella provincia di Trapani, sistema basato sull’uso di biglietti – i cd.
pizzini – consistenti in brevi messaggi scritti, arrotolati e sigillati o raccolti in piccoli involucri, nei
quali i mittenti e i destinatari venivano indicati con uso di pseudonimi o di termini in codice.
Rilevava il Tribunale di Palermo che il provvedimento coercitivo conteneva una penetrante
e condivisibile analisi, basata sui risultati dell’indagine di P.G. compendiati nell’informativa del
12.1.2015, che permetteva di affermare come gli incontri tra gli indagati, documentati attraverso
le intercettazioni, le riprese video e i servizi di osservazione, avessero il preciso scopo di
provvedere allo scambio diretto della corrispondenza epistolare con il MESSINA DENARO.
Tale analisi si fondava, essenzialmente, sui caratteri fisici dell’oggetto dei ripetuti scambi di
cose mandate e ricevute, oltre che sulla particolare cautela adottata e sul linguaggio in codice
adoperato nelle conversazioni per tenere celate le ragioni degli incontri, senza contare che talora
era emersa l’evidente incongruenza tra il tenore letterale delle conversazioni riguardanti la
consegna di oggetti specifici e l’esito degli appositi servizi di osservazione predisposti dagli
inquirenti.
Estrema importanza veniva, poi, attribuita a episodi inequivocabili come quello concernente
il temporaneo seppellimento dei pizzini in una fossa appositamente scavata, prima della loro
consegna al latitante.

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dell’organizzazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, e, in particolare, della famiglia mafiosa di

Ancora, doveva rilevarsi la piena coincidenza tra le regole previste per la stesura e la
veicolazione dei biglietti, certamente riferibili al MESSINA DENARO, e le concrete modalità
operative con cui si muoveva la rete facente capo all’anziano capomafia GONDOLA Vito.
E infatti, gli scambi dovevano avvenire a scadenze prestabilite, i messaggi dovevano essere
raccolti da una sola persona che fungeva da collettore per tutte le comunicazioni, i mittenti e i
destinatari dovevano essere individuati attraverso nomi convenzionali e le prescrizioni impartite

Che l’oggetto specifico dell’attività svolta dagli indagati fosse costituito proprio dallo
scambio diretto delle comunicazioni scritte indirizzate al MESSINA DENARO e dalla capillare
distribuzione delle comunicazioni da quest’ultimo rivolte alla organizzazione territoriale di “Cosa
Nostra” era, inoltre, confermata dall’esplicito riferimento a “Matteo”, incautamente sfuggito a uno
degli interlocutori in occasione di uno degli incontri monitorati dalla P.G., considerata la
significativa coincidenza con il nome di battesimo del latitante (il riferimento a “Matteo che si
interessa” è pronunciato dal GUCCIARDI in una conversazione con il GONDOLA del 17.8.2013:
vedi pag. 6 ordinanza riesame).
Né andava trascurato l’intervento diretto di soggetti come il GONDOLA e il GUCCIARDI, che
rendeva altamente probabile, per le funzioni apicali da essi rivestite, che la loro azione,
palesemente incanalata nell’alveo della rigida osservanza delle direttive imposte da qualcuno
gerarchicamente sovraordinato, fosse diretta a favorire la latitanza di un soggetto da tempo al
vertice dell’organizzazione mafiosa del territorio trapanese come il MESSINA DENARO.
Il fatto, poi, che nel corso dell’attività d’indagine non fosse stata sequestrata alcuna delle
missive dirette a quest’ultimo o dal medesimo provenienti non inficiava, secondo il Tribunale, il
valore indiziante di quanto emerso dall’osservazione diretta degli indagati e dal tenore delle
conversazioni intercettate, in quanto all’evidenza giustificato dalla scelta degli inquirenti di non
compromettere, con un intervento immediato, una laboriosa operazione diretta alla cattura del
latitante.
Altrettanto irrilevante doveva ritenersi la mancata individuazione dei tramiti attraverso i
quali il MESSINA DENARO veniva contattato da chi aveva il compito di raccogliere la
corrispondenza allo stesso diretta e di far pervenire ai singoli destinatari le comunicazioni da lui
provenienti, dovendo questa considerarsi una conseguenza delle particolari cautele adottate nella
gestione delle comunicazioni che confermava l’efficacia del relativo sistema.
Ad avviso dei Giudici del riesame, appariva “altamente probabile” che a tale specifica e
delicata attività delittuosa avesse partecipato anche il GIGLIO, come era dato desumere dall’esito
dei servizi di osservazione e videoripresa e dalle conversazioni intercettate.

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dovevano essere rigidamente osservate.

1.1. Quanto all’episodio dell’incontro tra il GIGLIO e il GONDOLA, avvenuto il 20.6.2012 nei
pressi dell’ovile di TERRANOVA Michele, riteneva il Tribunale assai verosimile che dovesse
identificarsi con il GIGLIO l’uomo visto avvicinarsi al muro e chinarsi vicino ad esso.
Doveva considerarsi, infatti, che proprio il GIGLIO era presente sul posto con il GONDOLA e
che nel corso della conversazione tra gli stessi captata il primo avvertiva il secondo che c’era
qualcosa che doveva essere temporaneamente tenuto prima di essere collocato altrove,

Era evidente, ad avviso del Tribunale, che quell’avvicinarsi e quel chinarsi fossero gesti
indicativi di un rapido occultamento di qualcosa che doveva pervenire al GONDOLA, considerata la
repentina e analoga adozione, da parte di quest’ultimo, di un comportamento dello stesso tipo,
chiaramente rivelatore dell’avvenuto prelevamento di quanto dal primo in precedenza riposto.
E l’insolita e non altrimenti comprensibile cautela adoperata appariva senz’altro evocativa
dell’intenzione di agire allo scopo di evitare il realizzarsi di uno scambio diretto, immediatamente
percepibile come tale dall’esterno.
Accorgimento che, considerato unitamente al contenuto del dialogo intrattenuto fra i due e
allo specifico contesto nel cui ambito si verificava l’accaduto faceva ritenere “altamente probabile”
che ciò che il GIGLIO doveva consegnare al GONDOLA e che soltanto per brevi istanti doveva
rimanere occultato fossero proprio i pizzini destinati al MESSINA DENARO.
1.2. Altrettanto significativo l’episodio occorso il 27.11.2012, quando era il GONDOLA a
spostarsi oltre il casolare della tenuta del TERRANOVA per chinarsi e armeggiare su un masso.
Dopo pochi minuti, venivano visti sopraggiungere il GUCCIARDI e il GIGLIO i quali, insieme
al GONDOLA, entravano all’interno dell’ovile per uscirne dopo circa un’ora, quando il GIGLIO
raggiungeva il masso al quale prima si era avvicinato il GONDOLA, chinandosi come aveva fatto
quest’ultimo e armeggiando allo stesso modo, prima di allontanarsi definitivamente dal sito.
Osservavano i Giudici del riesame che modalità del tutto analoghe alle precedenti
consentivano di ritenere “estremamente probabile” l’avvenuto scambio di missive del latitante,
tanto più che nell’occasione i tre ragionavano sulla necessità di cambiare il luogo degli incontri,
perché quello non poteva più considerarsi sicuro a causa della presenza costante di individui che
potevano interferire con l’evidente segretezza delle operazioni nelle quali erano impegnati.
1.3. La partecipazione del GIGLIO quale imprescindibile anello della frammentata catena di
veicolazione dei pizzini emergeva anche il 14.12.2012, quando incontrava il GONDOLA presso
l’area agricola di pertinenza del GUCCIARDI sita in contrada Pozzillo, a Salemi.
Nell’occasione l’uomo informava il GONDOLA di aver preso in consegna qualcosa da
“Mimmo”, da identificarsi verosimilmente con lo SCIMONELLI, ma di non aver potuto fare lo stesso
con GIAMBALVO Pietro a causa della presenza delle Forze dell’Ordine; rivelazione che forniva

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assicurandosi che l’interlocutore avesse ben compreso le informazioni ricevute.

ulteriore conferma circa la necessaria e consapevole intenzione di preservare da eventuali controlli
o perquisizioni il materiale da consegnare al GONDOLA.
Appariva “altamente probabile” che anche in detta occasione si fosse verificato un
passaggio di biglietti, avuto riguardo allo specifico riferimento all’avvenuta consegna di qualcosa
da parte del “Mimnno” e alla immediata e repentina necessità, dai due palesata, di cercare un
posto dove appartarsi, all’evidente fine di effettuare lo scambio in modo sicuro e protetto.

spontanee del GIGLIO o alle deduzioni difensive tendenti a circoscrivere i rapporti con il GONDOLA
al solo campo professionale connesso alla vendita del bestiame, trattandosi di affermazioni che si
ponevano in netto contrasto con le acquisizioni investigative, né l’effettiva esistenza di rapporti
professionali escludeva, di per sé, il compimento dell’attività illecita.
In conclusione ed allo stato degli atti, secondo il Tribunale del riesame il GIGLIO doveva
essere ritenuto, “con elevato grado di probabilità”, un soggetto appartenente all’associazione
mafiosa “Cosa Nostra”.
2. Ha proposto ricorso per cassazione GIGLIO Sergio per il tramite del difensore di fiducia,
deducendo vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis c.p., 273 e 192
c. p. p..
Il Tribunale, con riferimento all’episodio del 20.6.2012, aveva usato espressioni quali “assai
verosimilmente” – riferita alla individuazione del GIGLIO come il soggetto visto chinarsi in
prossimità di un muro dell’immobile del TERRANOVA – e “altamente probabile” – riferita alla
circostanza che quanto doveva consegnare al GONDOLA fossero dei pizzini – che, non
accompagnate da fatti concludenti o da oggettivi riscontri, non potevano assurgere a fonte di
prova indiziaria grave a mente dell’art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., dal momento che, dalla stessa
richiesta di misura cautelare del P.M. era emerso che il vero motivo dell’incontro tra i due era
collegato alle pecore, alle loro malattie e ai medicinali per guarirle.
Ad analoghe conclusioni doveva pervenirsi per il successivo episodio del 27.11.2012, atteso
che il Tribunale si era espresso non affermando, ma ritenendo solo “estremamente probabile”
l’avvenuto scambio di pizzini fra il GONDOLA e il GIGLIO, ovvero con accenti manifestamente
dubbiosi, insuscettibili, in quanto tali, di fondare i gravi indizi di colpevolezza a carico del
ricorrente.
Lo stesso doveva dirsi anche per l’ultimo episodio del 14.12.2012, in relazione al quale il
Tribunale, ancora una volta, aveva fatto ricorso ad espressioni meramente probabilistiche
(“appare altamente probabile”) con riguardo al passaggio di biglietti tra il GONDOLA e il GIGLIO.
Nel ravvisare i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, il Tribunale di Palermo
aveva disatteso quanto accertato dalla stessa P.G., e cioè che gli incontri con il GONDOLA erano
finalizzati a trattare tematiche concernenti l’acquisto di ovini, le zone di pascolo, l’ubicazione degli

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Non poteva essere attribuito rilievo determinante, in senso contrario, alle dichiarazioni

ovili, lo scambio di informazioni e la indicazione di farmaci per combattere la brucellosi da cui
erano affette le pecore del GONDOLA.
A ciò doveva aggiungersi che gli episodi contestati al GIGLIO risultavano accertati tra il
giugno e il dicembre 2012: era evidente, quindi, che, né in quelle date né successivamente ad
esse egli aveva assunto il ruolo di soggetto mafioso, considerato che le attività illecite dei sodali
erano proseguite sino al febbraio 2014 e che il GIGLIO, in ogni caso, doveva ritenersi estraneo alle

attività di collegamento tra gli indagati e il latitante MESSINA DENARO dovevano necessariamente
essere continuate.
In conclusione, o il GIGLIO aveva abiurato a decorrere dal dicembre 2012 oppure, come
più probabile, non aveva mai fatto parte di “Cosa Nostra”, dal momento che nessuno dei
collaboratori di giustizia aveva mai fatto il suo nome, né egli risultava coinvolto in vicende di
mafia, e la sola circostanza di essersi incontrato con GONDOLA, GUCCIARDI e TERRANOVA non
era sufficiente ad attribuirgli la qualità di soggetto “mafioso”.
In via subordinata, poteva, al più, ravvisarsi nella condotta del GIGLIO il reato di
favoreggiamento personale, non avendo egli concorso nel reato presupposto né oggettivamente,
né soggettivamente.
In data 30.11.2015 è pervenuta a mezzo fax memoria integrativa sottoscritta dal difensore
del GIGLIO, nella sostanza ricalcante i motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, in quanto sviluppa censure non consentite in sede
di legittimità.
2. Occorre ricordare che, sui limiti del giudizio di legittimità, la giurisprudenza di questa
Corte è univoca, avendo ripetutamente affermato che: “Il sindacato del giudice di legittimità sul
discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa
motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il
giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero
sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni
in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una
autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero
ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da

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vicende successive al dicembre 2012, atteso che sino alla emissione dell’ordinanza cautelare le

vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione” (così Sez. 6, Sentenza n.
10951 del 15/3/06, Casula, Rv. 233708).
E’ stato, più volte, ribadito, che non può integrare il vizio di legittimità soltanto una diversa
ricostruzione delle risultanze processuali, semmai prospettata in maniera più utile per il ricorrente
(Sez. U, sent. n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. 4, Sentenza n. 4842 del
2/12/2003, dep. 6/2/2004, Elia ed altri, Rv. 229369; Sez. U, sent. n. 24 del 24/11/1999, Spina,

degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata o l’adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito, perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, invero, la Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto e
le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a
controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno
standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
Giudice per giungere alla decisione.
3.

Esaminata in quest’ottica, la motivazione dell’ordinanza impugnata si sottrae alle

censure che le sono state mosse, in quanto, scevra da evidenti incongruenze o interne
contraddizioni, ha illustrato compiutamente e in modo convincente le ragioni per le quali ha
ritenuto di valorizzare gli elementi – siccome riportati nella superiore esposizione in fatto – atti a
suffragare, in un quadro unitario coerente, l’affermazione di un giudizio di gravità indiziaria
carico del GIGLIO in relazione al reato di partecipazione ad associazione mafiosa ascrittogli.
4.

Il ricorso, d’altra parte, a prescindere da censure meramente nominalistiche

sull’adozione, da parte del Tribunale, di espressioni quali “altamente probabile” o “estremamente
probabile”, che, lungi dall’esprimere dubbi, come vorrebbe il difensore, hanno inteso
semplicemente rimandare al concetto di “gravi indizi di colpevolezza” nella sua declinazione fatta
dall’art. 273 c.p.p. (ossia idonei a pervenire ad un giudizio di “qualificata” o “elevata” probabilità
in ordine alla responsabilità dell’imputato), si sostanzia in rilievi di mero fatto in ordine alla
ricostruzione del risultato delle prove ed alla loro capacità dimostrativa della partecipazione del
GIGLIO all’associazione mafiosa capeggiata da MESSINA DENARO Matteo (elementi tratti dagli
incontri documentati del ricorrente in particolare con Gondola Vito, indicato dagli inquirenti come il
reggente del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, e dal contenuto delle conversazioni
scambiate e intercettate in tali occasioni), non proponibili in questa sede, posto che il logico
argomentare del Giudice del merito non può essere alterato da una integrale “rilettura” delle
evidenze probatorie, magari di equivalente logicità, ma che non vale, tuttavia, a dimostrare la
manifesta illogicità della motivazione richiesta, per l’annullamento del provvedimento impugnato

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Rv. 214794), dal momento che, come noto, è preclusa a questa Corte la pura e semplice rilettura

Trasmessa odpia ox art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
n

1 4 LUt. 2016

“Roma; mistrouries~»~~~
su tale punto, dall’art. 606 lett. e) c.p.p., e ciò anche dopo la riforma introdotta con la legge
20.2.2006 n. 46 (Sez. 2, n. 19584 del 5.6.2006, Capri ed altri, Rv. 233774).
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue

ex lege la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00
alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015

Il Consigliere relatore

Il Presidente

Si eseguano gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p..

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