Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29949 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29949 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASSEGNATI MARCO N. IL 09/08/1966
avverso l’ordinanza n. 3915/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
17/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
4e/sentite le conclusioni del PG Dott. CL\ (IAD
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csi_L_< Data Udienza: 10/12/2015 RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza resa in data 17.7.2015, il Tribunale del riesame di Napoli confermava il provvedimento del 2.5.2014, con il quale il G.I.P. della stessa sede aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere ad ASSEGNATI Marco per i reati di omicidio consumato in danno di NAPOLITANO Felice e GUADAGNO Luigi e di omicidio tentato in danno di NAPPI Carlo, reati aggravati dalla premeditazione, dai motivi abietti, nonché avvalendosi delle condizioni di "clan NINO" e rafforzare l'alleanza con il clan "CRIMALDI" di ACERRA: in particolare, all'ASSEGNATI veniva attribuito il ruolo di aver fornito un rilevante apporto causale alla consumazione dei reati, partecipando alle riunioni preparatorie e componendo il gruppo di fuoco. 1.1. La pronuncia del Tribunale del riesame interveniva dopo due decisioni con le quali la Corte di Cassazione aveva annullato altrettante ordinanze emesse dallo stesso Tribunale nella fase incidentale cautelare: la prima, resa in data 4.6.2014, con la quale venne annullato il provvedimento generico per carenza di riscontri alle accuse del collaboratore di giustizia DI BUONO Antonio, era stata censurata, su ricorso del P.M., per aver omesso il Collegio di valutare il racconto del collaborante AMBROSIO Luigi quale riscontro almeno logico alle accuse del DI BUONO e per il mancato approfondimento del contenuto di alcune telefonate; la seconda, resa in data 19.12.2014, confermativa del titolo cautelare, era stata annullata per carenza di motivazione in ordine all'idoneità delle dichiarazioni dell'AMBROSIO e delle conversazioni intercettate ad integrare riscontri estrinseci individualizzanti rispetto alle propalazioni del DI BUONO. 1.2. Ciò premesso, in esito alla rivalutazione del materiale indiziario, i Giudici del riesame pervenivano nuovamente alla conferma del provvedimento impugnato. La vicenda si inquadrava in un contesto investigativo che aveva portato ad accertare l'esistenza di una compagine camorristica, il "clan NINO", operante nell'agro nolano e capeggiato da NINO Alfonso, e dei rapporti di alleanza, cointeressenza illecita e reciproco appoggio per i fatti di sangue tra detto clan e quelli di Acerra (clan CRIMALDI) e di CAIVANO (clan LA MONTAGNA). In tale contesto criminale, DI BUONO Antonio, per come da lui riferito, era stato richiesto dal NINO di partecipare, unitamente a due uomini di costui (ASSEGNATI Marco e LUONGO Nicola), all'omicidio di NAPOLITANO Felice, detto "o comunista", responsabile di una serie di sgarri commessi all'interno del territorio controllato dal clan NINO. Il DI BUONO aveva originariamente indicato SCUDIERO Pasquale come esecutore dell'omicidio in rappresentanza del gruppo acerrano e solo successivamente aveva appreso che, con decisione dell'ultima ora, il delitto era stato eseguito solo da esponenti del clan NINO. 2 cui all'art. 416 bis c.p. al fine di agevolare l'attività dell'associazione camorristica denominata Riferiva il DI BUONO di aver personalmente consegnato a LUONGO Nicola, alla presenza dello SCUDIERO, una mitraglietta e un fucile cal. 12 a canne mozze e di aver appreso, un paio di giorni dopo il delitto, da ASSEGNATI Marco e da LUONGO Nicola, che avevano portato a termine l'azione utilizzando le armi che aveva procurato loro. Secondo il Tribunale del riesame, il racconto del DI BUONO, si rivelava, da un lato, intrinsecamente credibile - per la puntualità e precisione delle dichiarazioni, nonché per la circostanza di essersi autoaccusato di un delitto di cui non era neanche indagato - e, dall'altro, dal collaboratore di giustizia AMBROSIO Luigi e dal contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate. Le dichiarazioni dell'AMBROSIO integravano e precisavano, come riscontro logico, quanto riferito dal DI BUONO riguardo alla fase decisionale e organizzativa dell'omicidio del NAPOLITANO ("il comunista"), indicato da NINO Alfonso come soggetto da uccidere nell'ambito di una riunione tenutasi nel mese di luglio del 2002 presso la piscina dell'hotel "Impero 2" alla presenza di ASSEGNATI Marco, LUONGO Nicola, ALIBERTI Vincenzo e LA MONTAGNA Domenico. Evidenziava il Tribunale che l'insistenza del NINO era principalmente diretta nei confronti del LUONGO perché era il suo killer di riferimento, sicché tale circostanza non valeva ad escludere la partecipazione ed il coinvolgimento anche degli altri presenti nella deliberazione decisoria, anche tenuto conto del fatto che, alla data di esecuzione dell'omicidio (16.5.2003), lo stesso propalante AMBROSIO e il LA MONTAGNA erano detenuti, mentre ALIBERTI era in attesa dell'imminente nascita del figlio: tali evenienze fornivano adeguata spiegazione della loro mancata partecipazione alla fase esecutiva del delitto, nonché del fatto che l'AMBROSIO fosse venuto a conoscenza della consumazione dell'omicidio solo dopo un considerevole lasso temporale. Osservava il Collegio che l'autonomia delle due chiamate in correità e la loro convergenza su molteplici aspetti del racconto ne comprovavano l'idoneità a integrare il quadro indiziario grave a carico dell'ASSEGNATI. Ad inficiarne la portata non potevano valere le dichiarazioni rese da DI DOMENICO Marcello, il quale aveva indicato come esecutori materiali del crimine il DI BUONO e tale ME0 Michelino, trattandosi di dichiarazioni de relato, apprese a notevole distanza di tempo dal fatto. D'altro canto, a suffragare la chiamata di correo del DI BUONO soccorrevano le due conversazioni telefoniche intercorse tra l'ASSEGNATI e lo SCUDIERO poco prima e poco dopo l'omicidio del NAPOLITANO, nelle quali, usando un linguaggio in codice, dapprima lo SCUDIERO chiedeva all'ASSEGNATI se era necessaria la sua presenza, preannunciando che non sarebbe andato a dormire prima di ricevere notizie su un fatto imminente (ore 21.07 e 21.24 del 16.5.2003), e, in seguito, l'ASSEGNATI richiamava lo SCUDIERO con il pretesto di fargli gli 3 suffragato da elementi estrinseci di riscontro individualizzanti, costituiti dalle dichiarazioni rese auguri per l'onomastico, comunicandogli, unitamente a LUONGO Nicola, il buon esito della vicenda e che, per prudenza, si sarebbero resi irreperibili per qualche giorno (ore 23.14 del 16.5.2003). Ad avviso dell'organo del riesame, le richiamate conversazioni costituivano un ulteriore preciso riscontro alle propalazioni del DI BUONO in ordine al coinvolgimento dell'ASSEGNATI nel delitto, nonché in riferimento al fatto che il DI BUONO aveva originariamente indicato lo SCUDIERO quale esecutore dell'omicidio e solo successivamente aveva appreso che, all'ultimo 2. Ha proposto ricorso per cassazione ASSEGNATI Marco per il tramite del difensore, deducendo: vizio di motivazione, violazione di legge in relazione agli artt. 192, comma 2, e 273 c.p.p.; travisamento dei fatti; violazione di legge in ordine all'art. 627 c.p.p.. Assume il difensore che, anche a voler ritenere DI BUONO attendibile sul punto della consegna delle armi, doveva considerarsi che le stesse non vennero consegnate né all'ASSEGNATI, né in sua presenza. D'altro canto, la defezione, all'ultimo momento, dello SCUDIERO, non implicava necessariamente la sua sostituzione con l'indagato. Ancora, la circostanza che la notizia del buon esito dell'operazione fosse stata data al propalante, solo due giorni dopo, dall'ASSEGNATI, dal NINO e dal LUONGO, aveva valenza "neutra", essendo notorio che il ricorrente fosse non un killer, ma accompagnatore fisso del NINO, come dimostrato dalla condanna irrevocabile subita per il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico quale membro dell'omonimo clan e dalle numerose condanne riportate per estorsione, in relazione a fatti commessi in epoca coincidente con quella dell'omicidio. Inoltre, a seguire la logica del Tribunale, doveva rilevarsi l'omessa valutazione di un passaggio delle dichiarazioni del DI BUONO, laddove aveva precisato che a raccontargli dell'omicidio fu LUONGO Nicola, indicando in modo dubitativo la contestuale presenza dell'ASSEGNATI al racconto. Un elemento di contrasto logico si ravvisava in motivazione, nella parte in cui si faceva cenno all'accordo militare stretto tra NINO e DI BUONO, con scambio di uomini dei rispettivi schieramenti per commettere omicidi nei territori di reciproca influenza, "utilizzando facce poco conosciute", mentre tali non potevano essere quelle dell'ASSEGNATI e del LUONGO, che da tempo imperversavano nell'agro nolano con le estorsioni, né quella del DI BUONO, noto spalleggiatore del clan NINO. Deduce, poi, il difensore la valenza "neutra", ai fini indiziari, della presenza del ricorrente al summit descritto dal collaboratore AMBROSIO, in quanto ampiamente giustificata dall'assiduità delle sue frequentazioni con il NINO e la sua intraneità al clan omonimo. 4 momento, il delitto era stato commesso solo da esponenti del clan NINO. Il Tribunale aveva apprezzato in termini di riscontro il narrato dell'AMBROSIO, per quanto de relato e non concernente la fase esecutiva del delitto, senza spiegare la diversità di valutazione riservata alla chiamata in reità de relato proveniente da DI DOMENICO Marcello, nonostante entrambi i propalanti avessero appreso del fatto di sangue solo a notevole distanza di tempo e il DI DOMENICO avesse indicato il movente dell'omicidio nel timore di un pentimento relativo ad esso del DI BUONO e di ME0 Michelino, da lui indicati come esecutori materiali. telefoniche intercettate. In primo luogo, dalle conversazioni non emergeva alcun riferimento, ancorché in linguaggio criptico, al fatto di sangue investigato e il Tribunale sul punto non aveva fornito alcuna spiegazione, tenendo conto che i conversanti erano sodali in costante rapporto di frequentazione. In secondo luogo, l'ubicazione precisa dell'utenza attribuita al ricorrente era basata su dati inadeguati. Infine, anche se l'ASSEGNATI o i presenti intercettati avessero avuto notizia da parte di terzi dell'assassinio compiuto e avessero, poi, reso edotto lo SCUDIERO, non sarebbero per ciò divenuti complici di un delitto già avvenuto, specie stando all'imputazione provvisoria che vedeva il ricorrente mero esecutore del fatto. Il Tribunale era, dunque, venuto meno, ancora una volta, alle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione, presentando, di nuovo, l'ordinanza impugnata una lacuna motivazionale in ordine alla valenza logico-dimostrativa della partecipazione del ricorrente alla riunione del luglio 2002 e, quindi, della idoneità delle dichiarazioni dell'AMBROSIO a fungere da riscontro estrinseco individualizzante rispetto alle dichiarazioni del DI BUONO. Né appariva fondante, sotto tale profilo, un generico sostenere che le dichiarazioni dell'AMBROSIO fornissero un rilevante riscontro individualizzante delle fasi precedenti e successive alla esecuzione dell'omicidio del tutto coerenti e convergenti con quelle rese dal DI BUONO. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. 2. Occorre premettere che l'impugnata ordinanza de libertate è stata emessa in esito al giudizio di rinvio seguìto alla sentenza n. 26473, con la quale la Quinta sezione di questa Corte, all'udienza 23.6.2015, aveva annullato l'ordinanza 19.12.2014 del Tribunale di Napoli, confermativa del provvedimento coercitivo adottato nei confronti dell'ASSEGNATI dal G.I.P. della sede in data 2.5.2014. 5 Inficiata da travisamento era la valutazione in termini di riscontro delle conversazioni Per quel che qui interessa, è sufficiente rilevare che la citata sentenza di questa Corte, a delimitazione del perimetro cognitivo affidato al Giudice del rinvio nella specie, aveva stigmatizzato i seguenti vizi motivazionali, censurando: a) una prima lacuna della motivazione in ordine alla valenza logico-dimostrativa della partecipazione del ricorrente alla riunione tenutasi nel luglio 2002, nel corso della quale il capoclan NINO aveva dato l'ordine di uccidere il NAPOLITANO, e, dunque, circa l'idoneità delle dichiarazioni di AMBROSIO ad integrare, nei confronti di ASSEGNATI, un riscontro estrinseco fatto-reato); b) una seconda carenza della motivazione laddove aveva omesso di effettuare, dopo il preliminare vaglio circa l'attribuibilità soggettiva delle conversazioni intercettate, l'esame specifico della valenza conoscitiva offerta da dette intercettazioni e, dunque, della loro idoneità a costituire - rispetto alle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia Di BUONO - riscontri esterni individualizzanti in grado di dimostrarne la compatibilità col thema decidendum proprio della pronuncia de libettate. Va precisato, in ogni caso, che deve ritenersi coperto dal "giudicato cautelare" il giudizio sull'attendibilità dei collaboranti AMBROSIO e DEL BUONO, attesa la ritenuta inidoneità, da parte della Quinta sezione di questa Corte, delle generiche censure dedotte sul punto dal ricorrente a mettere in crisi la tenuta logico-argomentativa del provvedimento impugnato, che aveva fatto richiamo ai numerosi provvedimenti giudiziari versati in atti indicati dal G.I.P., con motivazione in linea con i criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità. 3. Ciò premesso, va ricordato, in linea di principio, che, in tema di misure cautelari personali, la chiamata di correo quale grave indizio di colpevolezza, oltre che essere apprezzata nella sua attendibilità intrinseca, deve essere supportata da riscontri esterni individualizzanti in grado di dimostrarne la compatibilità col "thema decidendum" proprio della pronuncia "de libertate" e di giustificare, quindi, la razionalità della medesima, essendo l'esigenza della "corroboration" - che inerisca non solo alle modalità oggettive del fatto descritto dal chiamante, ma anche soggettivamente indirizzata - imprescindibile nell'ambito di una valutazione che è strumentale all'adozione di un provvedimento, quale quello restrittivo della libertà, dagli effetti rigorosamente "ad personam", ferma restando la diversità dell'oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato (Sez. 5, n. 18097 del 13/4/2010, PM/T in proc. Di Bona, Rv. 247147; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, Scalia, Rv. 264213; Sez. U, n. 36267 del 30/5/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598). 4. Ritiene il Collegio che il Tribunale partenopeo si sia, nella sostanza, conformato ai principi di diritto su enunciati e a quelli fissati da questa Corte nella citata sentenza n. 26473 6 individualizzante (tale cioè da assumere idoneità dimostrativa in ordine all'attribuzione del Trasmessa copia ex art. 23 n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332 3oma ti i4 2016 del 23.6.2015, attribuendo, correttamente, valenza di riscontro logico, rispetto alla chiamata in correità di DI BUONO (il quale aveva dichiarato di aver appreso, dopo il delitto, da ASSEGNATI Marco e LUONGO Nicola, esecutori materiali, che costoro avevano portato a termine l'operazione con le armi da lui stesso procurate), alla partecipazione del ricorrente alla riunione del luglio 2002 in cui il boss NINO Alfonso decise di eliminare NAPOLITANO Felice, detto "o comunista", ciò in stretta ed inscindibile correlazione con l'ulteriore elemento di riscontro individualizzante costituito dal tenore delle conversazioni intercettate, in ordine alle quali contatti, monitorati poco prima e poco dopo la consumazione dell'omicidio, e il tenore dei dialoghi intercorsi tra ASSEGNATI e SCUDIERO Pasquale, originariamente designato come componente del gruppo di fuoco, al quale il primo assicurava che non era più necessaria la sua presenza in considerazione dell'esito positivo della vicenda. A fronte della sufficientemente strutturata motivazione, la difesa del ricorrente oppone, per lo più, censure afferenti a letture alternative degli elementi di prova ed a pretesi errori di diritto nell'applicazione dei criteri di cui all'art. 192 c.p.p., che, per quanto detto, devono ritenersi destituite di fondamento. 5. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si eseguano gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015 Il Consigliere relatore Il Presidente venivano razionalmente apprezzati dal Giudice a quo le significative cadenze temporali dei

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