Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29948 del 31/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29948 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LLORE VALAREZO YHONNY N. IL 20/06/1956
avverso la sentenza n. 1000/2009 GIUDICE DI PACE di BOLOGNA,
del 04/10/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore ne le • ersztylel Dott. g\ ns.vgche ha concluso per
(\—

Udito, per la parte civ , l’Avv
Uditi difensor A

Data Udienza: 31/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza del 29/9/2010, dichiarava
Llore Valarezo Yhonny colpevole del reato di cui all’art. 10 bis D. I.vo 286 del
1998, accertato in Bologna il 22/9/2009 e lo condannava alla pena di euro 5.000
di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
L’imputato era privo di permesso di soggiorno, né risultava aver chiesto
protezione internazionale; risultava gravato da numerosi precedenti penali e

2. Ricorre per cassazione il difensore di Llore Valarezo Yhonny, deducendo
vizio di motivazione, con riferimento alla possibilità del riconoscimento di un
giustificato motivo alla permanenza sul territorio nazionale, con estensione
analogica delle causa di giustificazione, riconosciuta possibile nella trattazione di
altre tematiche.

Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.

Si deve premettere che la fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10
bis del d.lgs n. 286 del 1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri (direttiva
Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio
alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed
assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi
di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della
medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza
volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a
regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato. (Sez. 1, n. 951
del 22/11/2011 – dep. 13/01/2012, Gueye, Rv. 251671).
La compatibilità con la Direttiva è stata affermata dalla Corte di giustizia UE
con le pronunce Corte di giustizia UE, III sezione, ord. 21 marzo 2013, Mbaye
(causa C-522/11) e Corte di giustizia UE, I sezione, sent. 6 dicembre 2012,
Sagor (causa C-430/11).

La norma incriminatrice ha, poi, superato il vaglio di legittimità
2

aveva, in precedenza, fornito generalità differenti.

costituzionale: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2010, ha
escluso ogni contrasto con le norme costituzionali, osservando che la norma non
penalizza una mera «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero
«clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale verrebbe
arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non
è un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento,
trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni
alternative «fare ingresso» e «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione
soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della
legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono, rispettivamente, una condotta
attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere
permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il
territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima
la permanenza). La Corte rileva che il bene giuridico protetto dalla norma
incriminatrice è agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e
alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo:
interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi
irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”,
che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del
1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e
trattenimento illegale dello straniero.
Ciò premesso, il motivo di ricorso è manifestamente infondato: in effetti, il
ricorrente lamenta la carenza di motivazione in ordine ad un giustificato motivo
per la permanenza dello straniero sul territorio dello Stato, motivo che lo stesso
straniero non ha mai indicato all’atto del fermo per identificazione né davanti al
Giudice; l’esistenza di numerosi precedenti penali sembra far emergere il reale
motivo di detta permanenza. Si deve ricordare che la già menzionata sentenza
della Corte Costituzionale ha escluso l’illegittimità della fattispecie incriminatrice
anche sotto il profilo della mancata ripetizione della clausola relativa al
“giustificato motivo” della permanenza sul territorio dello Stato.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

3

delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 31 maggio 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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