Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29948 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29948 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso presentato nell’interesse di
Pavone Andrea, nato a Gioia del Colle il 04/04/1966
avverso la sentenza emessa il 19/11/2012 dalla Corte di appello di Milano
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Andrea Pavone ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo
assistito dal Tribunale di Milano in data 02/11/2005; l’imputato risulta essere
stato condannato a pena ritenuta di giustizia per reati di bancarotta fraudolenta
(consistiti nella presunta distrazione del complesso dei beni strumentali e delle
merci, nonché nella distruzione od occultamento di libri e scritture contabili)
relativi al fallimento della All Discount s.r.I., dichiarato nel giugno 1997.

Data Udienza: 18/06/2014

La difesa deduce:
1. l’intervenuta prescrizione dei reati in rubrica
Nell’interesse del ricorrente, si rappresenta che – come richiesto dallo stesso
P.g. presso la Corte di appello nel rassegnare le proprie conclusioni – alla
data della celebrazione del giudizio di secondo grado sarebbe stato
necessario rilevare la già maturata prescrizione degli addebiti, dovendosi
applicare nella fattispecie concreta la più favorevole disciplina introdotta con
la legge n. 251 del 2005. Alla data di entrata in vigore di quest’ultima

di primo grado non era infatti stata ancora depositata, né erano scaduti i
relativi termini ex art. 544 del codice di rito: ne deriva che il processo in
questione non avrebbe dovuto intendersi già pendente in grado di appello
2. carenze motivazionali con riguardo alla ritenuta responsabilità penale
dell’imputato
Il difensore rileva che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto degli
elementi offerti da più testimoni, tutti nel senso della estraneità del Pavone
ai fatti addebitati, e sarebbe incorsa in evidente travisamento delle
dichiarazioni di tale Elena De Luca. Inoltre, dalle risultanze processuali
sarebbe emersa la totale estraneità del Pavone alla tenuta della contabilità, il
che avrebbe anche dovuto comportare l’esclusione dell’aggravante

ex art.

219 legge fall.
3. vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio
Da ultimo, nel ricorso si segnala che i giudici di merito non avrebbero dato
contezza dei criteri adottati in punto di determinazione della pena e di
negazione delle circostanze attenuanti generiche; la Corte di appello, in
particolare, non avrebbe risposto alle specifiche doglianze mosse sul punto
con i motivi di impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Conformemente alle richieste del Procuratore generale, il ricorso deve
ritenersi inammissibile.
1.1 Il primo motivo è infatti manifestamente infondato, atteso che i termini
massimi di prescrizione verranno a maturare nel caso di specie soltanto il
05/12/2019, avuto riguardo alla disciplina di cui all’art. 157 cod. pen. nel testo
previgente la legge n. 251 del 2005; le Sezioni Unite di questa Corte hanno
infatti da tempo affermato che «ai fini dell’operatività delle disposizioni
transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di
condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del

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novella (peraltro indicata erroneamente dalla Corte territoriale) la sentenza

procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli»
(Cass., Sez. U, n. 47008 del 29/10/2009, D’Amato, Rv 244810) e, già in
precedenza, si era precisato che «la pendenza del grado di appello, che rileva
per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli, ha inizio
con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che deve ritenersi
intervenuta con la lettura del dispositivo» (Cass., Sez. V, n. 25470 del
16/04/2009, Lala, Rv 243898).
1.2 II secondo motivo di ricorso si rivela generico, atteso che le doglianze

di specie, del seguente tenore: «la sentenza impugnata contiene un apparato
motivazionale a ridotto o quasi nullo sforzo critico, non avendo sottoposto la
Corte d’appello, ad un controllo obiettivo e ragionato, circostanze non secondarie
emerse nel corso del dibattimento di primo grado. Il processo logico mediante il
quale il Tribunale prima, e la Corte di appello dopo, pervenivano alla decisione
impugnata, si palesa pertanto un costrutto senza nesso». Ad avviso del
ricorrente, non sarebbero state prese in considerazione le deposizioni di alcuni
testimoni, ma non viene precisato perché costoro avrebbero offerto elementi
decisivi; quanto alla De Luca, si sostiene che «da una attenta analisi del
contenuto della sua testimonianza si palesa in tutta evidenza il travisamento in
cui è incorsa la Corte di appello nel valutarla come prova a carico del Pavone»,
ma anche in proposito non viene chiarito in cosa sarebbe consistito il presunto
travisamento, a fronte peraltro di una puntuale ed approfondita disamina
compiuta dai giudici di secondo grado quanto al narrato della teste (v. pagg. 7 e
8 della sentenza oggetto di ricorso).
Parimenti aspecifico, perché meramente allegato e niente affatto
circostanziato, l’assunto della difesa che vorrebbe il Pavone estraneo all’addebito
di bancarotta documentale.
1.3 In punto di trattamento sanzionatorio, va ricordato che «la graduazione
della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena» (Cass., Sez. III, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv
238851). Quanto alla ravvisabilità delle attenuanti generiche, si è affermato
che «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod.
pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con
motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non
sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente

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dell’imputato si risolvono in osservazioni del tutto svincolate dall’analisi del caso

motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno
dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI,
n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419); è stato altresì precisato che «ai
fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il
giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133
cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il
riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla
personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di

Sermone, Rv 249163).
La Corte di appello risulta avere sottolineato che la condotta dell’imputato
era stata dolosamente preordinata al depauperamento della società, rivelandone
così lo spessore criminale; nel contempo, nessun dato positivo risultava emerso
ai fini della concessione delle generiche, già negate in primo grado. Il ricorso
dell’imputato si connota peraltro di manifesta genericità nel rilevare che «la
Corte d’appello fondava il giudizio di correttezza dell’iter logico motivazionale
seguito dal Tribunale per negare la concessione delle circostanze attenuanti
generiche su profili ampiamente smentiti dalla difesa nei propri motivi d’appello,
ravvisandosi sul punto un vizio di motivazione che non potrà non assurgere a
motivo di annullamento»: profili di smentita che non vengono in alcun modo
richiamati od altrimenti evidenziati.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del Pavone al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 18/06/2014.

esso può essere sufficiente in tal senso» (Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011,

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