Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29947 del 31/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29947 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BAO TEN ZHI N. IL 01/09/1974
avverso la sentenza n. 1122/2010 GIUDICE DI PACE di BOLOGNA,
del 24/11/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore
persona del Dott.’hhe.A\6 1,
che ha concluso per

s

Udito, per)Øte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. “~- V53.41/4″31–

Data Udienza: 31/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza del 24/11/2010, dichiarava
Bao Ten Zhi colpevole del reato di cui all’art. 10 bis D. I.vo 286 del 1998,
accertato in Bologna il 6/11/2010 e, concesse le attenuanti generiche, lo
condannava alla pena di euro 4.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese
processuali.
L’imputato era privo di permesso di soggiorno, né risultava aver chiesto
rapina. Sottoposto ad esame, aveva dichiarato di non avere chiesto il permesso
di soggiorno, ma aveva riferito che un suo connazionale non identificato aveva
presentato richiesta di emersione, seppure con nome diverso da quello declinato
nel presente processo. Il Giudice respingeva la richiesta del difensore di rinviare
il processo per accertare tale ultima circostanza, ritenendo che si trattasse di
richiesta dilatoria ed osservando che il reato per cui l’imputato era stato
arrestato impediva ogni sua regolarizzazione.
2. Ricorre per cassazione Bao Ten Zhi, deduce violazione di legge, con
riferimento all’art. 7, par. 1 della Direttiva 115 del 2008 del Parlamento Europeo.
All’imputato non era stato assegnato un periodo di durata compresa tra sette e
trenta giorni per la partenza volontaria, né di tale possibilità egli era stato
informato.
La Direttiva menzionata permetteva l’applicazione della sanzione penale per
l’irregolare presenza sul territorio dello Stato solo alla scadenza del termine
concesso per la partenza volontaria. La Direttiva ha efficacia diretta
nell’ordinamento nazionale.
L’imputato avrebbe dovuto, quindi, essere assolto dal reato contestato con
la formula “perché il fatto non costituisce reato”.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge per
inosservanza dell’art. 5 del codice penale e dell’art. 530, comma 1, cod. proc.
pen..
L’imputato si trovava nella condizione di ignoranza inevitabile della legge,
con la conseguenza che doveva trovare applicazione la sentenza della Corte
Costituzionale n. 364 del 1988. In effetti, la recente introduzione
nell’ordinamento italiano della nuova fattispecie criminale del reato di
clandestinità non poteva essere conosciuta da soggetto che non comprendeva la
lingua italiana.

2

protezione internazionale. Era stato arrestato in quanto responsabile di una

In un terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 3 della Costituzione: la
previsione che, in caso di esecuzione dell’espulsione amministrativa, il Giudice
debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere (art. 10 bis, comma 5, D.
L.vo 286 del 1998) determina una disparità di trattamento nei confronti
dell’imputato che, essendo detenuto per altra causa, non avrebbe mai potuto
usufruire dei vantaggi processuali derivanti dall’essere destinatario di un
provvedimento amministrativo di espulsione.

impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
Si deve premettere che la fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10
bis del d.lgs n. 286 del 1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri (direttiva
Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio
alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed
assecondare ruscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi
di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della
medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza
volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a
regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato. (Sez. 1, n. 951
del 22/11/2011 – deo. 13/01/2012, Gueye, Rv. 251671).
La compatibilità con la Direttiva è stata affermata dalla Corte di giustizia UE
con le pronunce Corte di giustizia UE, III sezione, ord. 21 marzo 2013, Mbaye
(causa C-522/11) e Corte di giustizia UE, I sezione, sent. 6 dicembre 2012,
Sagor (causa C-430/11).

La norma incriminatrice ha, poi, superato il vaglio di legittimità
costituzionale: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2010, ha
escluso ogni contrasto con le norme costituzionali, osservando che la norma non
penalizza una mera «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero
«clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale verrebbe
arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non
è un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento,
trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni

3

Il ricorrente conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza

alternative «fare ingresso» e «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione
delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di
soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della
legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono, rispettivamente, una condotta
attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere
permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il
territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima
la permanenza). La Corte rileva che il bene giuridico protetto dalla norma
alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo:
interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi
irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”,
che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del
1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e
trattenimento illegale dello straniero.
Ciò premesso, i motivi di ricorso sono infondati.
In particolare la Corte di Giustizia ha confermato che la Direttiva non osta a
che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare di cittadini di
paesi terzi alla stregua di reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e
reprimere la commissione di tale infrazione. Si deve, quindi, escludere quanto
sostenuto in ricorso, che cioè, in base alla citata Direttiva, la sanzione penale sia
legittima solo allo spirare del termine assegnato allo straniero per la partenza. Il
primo motivo di ricorso, pertanto, è infondato.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che, come emerge dalla
motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente non ha mai affermato,
nell’esame reso davanti al Giudice, di essere stato all’oscuro della illegittimità
penale della permanenza sul territorio dello Stato italiano senza permesso di
soggiorno.
Il terzo motivo di ricorso è anch’esso palesemente infondato: il diverso
trattamento riservato allo straniero libero del quale viene disposta l’espulsione e
di quello detenuto per altra causa, per il quale l’esecuzione dell’espulsione non è
possibile, deriva dalla evidente diversità delle situazioni in cui gli stessi si
trovano.

4

incriminatrice è agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 31 maggio 2013

Il Consigliere estensore

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