Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29946 del 31/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29946 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BELEL MOUHAMED N. IL 29/10/1974
avverso la sentenza n. 965/2010 GIUDICE DI PACE di BOLOGNA,
del 20/10/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Genera
– soz21 Dc4t.
L.R1-77/
che ha concluso per `4
$

Udito, per la

civile, l’Avv

Uditi dif or Avv.

FP-A

Data Udienza: 31/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza del 20/10/2010, dichiarava
Belel Mouhanned colpevole del reato di cui all’art. 10 bis D. I.vo 286 del 1998,
accertato in Bologna il 20/9/2010 e lo condannava alla pena di euro 5.000 di
ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
L’imputato era privo di permesso di soggiorno, né risultava aver chiesto
protezione internazionale. Venivano negate le attenuanti generiche tenuto conto

2. Ricorre per cassazione il difensore di Belel Mouhamed che deduce
violazione di legge, con riferimento alla mancata verifica dell’avvenuta
presentazione di richiesta di emersione da parte dell’imputato: poiché la richiesta
di emersione ha l’effetto di sospendere i procedimenti penali a carico dello
straniero, la mancata prova da parte del P.M. in ordine alla mancata
presentazione della richiesta avrebbe dovuto portare all’assoluzione
dell’imputato, quanto meno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce carenza di motivazione in
relazione al mancato riconoscimento della sussistenza di un giustificato motivo.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.

Si deve premettere che la fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10
bis del d.lgs n. 286 del 1998, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva europea sui rimpatri (direttiva
Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio
alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed
assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi
di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della
medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza
volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a
regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato. (Sez. 1, n. 951
del 22/11/2011 – dep. 13/01/2012, Gueye, Rv. 251671).
La compatibilità con la Direttiva è stata affermata dalla Corte di giustizia UE
con le pronunce Corte di giustizia UE, III sezione, ord. 21 marzo 2013, Mbaye
(causa C-522/11) e Corte di giustizia UE, I sezione, sent. 6 dicembre 2012,
2

dei precedenti penali dell’imputato.

Sagor (causa C-430/11).
La norma incriminatrice ha, poi, superato il vaglio di legittimità
costituzionale: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2010, ha
escluso ogni contrasto con le norme costituzionali, osservando che la norma non
penalizza una mera «condizione personale e sociale» – quella, cioè, di straniero
«clandestino» (o, più propriamente, «irregolare») – della quale verrebbe
arbitrariamente presunta la pericolosità sociale. Oggetto dell’incriminazione non
trasgressivo di norme vigenti. Tale è, in specie, quello descritto dalle locuzioni
alternative «fare ingresso» e «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione
delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di
soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della
legge n. 68 del 2007: locuzioni cui corrispondono, rispettivamente, una condotta
attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere
permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il
territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima
la permanenza). La Corte rileva che il bene giuridico protetto dalla norma
incriminatrice è agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e
alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo:
interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi
irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”,
che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del
1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e
trattenimento illegale dello straniero.
Ciò premesso, i motivi di ricorso sono infondati.
Se è esatto che l’avvio della procedura amministrativa di emersione del
lavoro irregolare, prevista dall’art. 1 ter, comma ottavo, D.L. n. 78 del 2009
(conv. in legge n. 102 del 2009), comporta la sospensione obbligatoria dei
procedimenti penali concernenti alcuni reati in materia di immigrazione, fra cui
quello previsto dall’art. 10 bis d.lgs n. 286 del 1998 (Sez. 1, n. 10921 del
01/03/2012 – dep. 21/03/2012, Baron Rodrigo, Rv. 252559), non era il Pubblico
Ministero a dover provare la mancanza della causa di sospensione, ma l’imputato
a dover provare, o, quanto meno, allegare la circostanza dell’avvenuta
presentazione della richiesta di emersione, permettendo alla Questura di
Bologna, che aveva proceduto alla sua identificazione e alla verifica della sua
posizione sul territorio nazionale, di eseguire gli opportuni accertamenti.

3

è un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento,

3. Analoghe considerazioni devono essere fatte quanto al mancato
riconoscimento della sussistenza di un giustificato motivo.
A prescindere dalla tesi sostenuta dal ricorrente della possibilità di applicare
analogicamente la previsione di altre norme (tesi affrontata nella già menzionata
sentenza n. 250 del 2010 della Corte Costituzionale, che ha ritenuto legittima la
norma anche nella parte in cui non ripropone la formula a suo tempo presente
nell’art. 14 comma 5 ter D. L.vo. 286 del 1998), nel caso di specie non risulta in
alcun modo che l’imputato abbia addotto un giustificato motivo alla sua

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 31 maggio 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

permanenza sul territorio nazionale.

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