Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29946 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29946 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SUGAMIELE GASPARE N. IL 01/01/1947
avverso l’ordinanza n. 35/2014 CORTE ASSISE APPELLO di
PALERMO, del 29/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/&eatite le conclusioni del PG Dott. Ci sucai,

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Data Udienza: 10/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29.9.2014, la Corte di Assise di Appello di Palermo, deliberando in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di SUGAMIELE
Gaspare per ottenere l’applicazione della pena di trent’anni di reclusione in sostituzione di quella
dell’ergastolo, inflittagli dalla medesima Corte palermitana con sentenza del 29.7.2002, divenuta
irrevocabile 1’8.7.2004.

interpretazione fornita dalla Suprema Corte rispetto alla decisione assunta dalla Corte EDU nel
noto caso SCOPPOLA c/Italia (sentenza del 17.9.2009), osservava il giudice dell’esecuzione che il
SUGAMIELE – il quale, all’epoca, non ne aveva nemmeno fatto istanza – non era stato giudicato
con il rito abbreviato, sicché mancava il presupposto ineludibile per rendere assimilabile la sua
situazione processuale a quella definita dalla Corte EDU in favore dello SCOPPOLA.
2. Ha proposto ricorso per cassazione SUGAMIELE Gaspare per il tramite del difensore di
fiducia, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 442 c.p.p..
Alla luce dei principi di diritto affermati dalla Suprema Corte sulla scorta del

novum

giurisprudenziale affermatosi per via delle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte EDU,
non poteva non tenersi conto della peculiarità della vicenda in esame, nella quale l’imputato,
originariamente accusato di due omicidi (di cui uno dichiarato nullo ab origine in grado di
appello), durante la celebrazione del giudizio di primo grado non aveva ritenuto di presentare
istanza per accedere al rito abbreviato, in quanto due omicidi erano punibili con l’ergastolo
aggravato dall’isolamento diurno ai sensi dell’art. 7, comma 1, D.L. n. 341/2000.
Doveva, quindi, affermarsi il principio di diritto secondo cui “se, per l’effetto di una
preclusione del sistema normativo vigente in un determinato periodo storico, l’imputato non
aveva potuto articolare alcuna richiesta anche per l’effetto di una imputazione poi dichiarata
nulla, lo stesso doveva essere rimesso in termini in sede esecutiva alla stregua di chi quella
richiesta aveva potuto articolare per la corretta formulazione delle imputazioni”.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso
per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
1.1. Ed invero, sul tema proposto dall’odierno ricorrente, deve essere ricordato come la
giurisprudenza di questa Corte abbia in modo unanime insegnato che il principio discendente
dalla sentenza 17.9.2009 della CEDU sul caso SCOPPOLA c. Italia si può applicare solo a coloro
che abbiano chiesto e ottenuto l’accesso al rito abbreviato nel periodo di vigenza della L. n. 479
del 1999 (quindi, tra il 2.1.2000 e il 24.11.2000), perché solo in quel caso l’intervenuta modifica
legislativa ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a carico dell’imputato (sul punto,

2

Dopo aver brevemente illustrato i termini della questione, con particolare riguardo alla

assolutamente pacifico, cfr. Rv. 258272, 256257, 255388, 254524, 254212, 254096, 251857,
253093, 252211 e altre).
In particolare, va rammentato come, sui temi in discussione, siano già intervenute in
modo approfondito due fondamentali decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte, entrambe
pronunciate in data 19.04.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (dep. il 7.9.2012) e la n. 34472,
in proc. Ercolano (dep. il 10.9.2012), peraltro ribadite e completate dalla più recente decisione n.
18821 del 24.10.2013, dep. 7.5.2014, Ercolano, Rv. 258649, emessa, ancora dalle Sezioni Unite,
dopo l’intervento della Corte costituzionale (investita proprio dal Supremo consesso con la citata

24.11.2000, n. 341, convertito dalla L. 19.1.2001, n. 4, per contrasto con l’art. 117, comma
primo, Cost., in relazione all’art. 7 CEDU (sent. n. 210 del 2013).
Per quel che qui rileva, è sufficiente richiamare e ribadire i seguenti principi – cui il
Collegio aderisce – affermati con le menzionate pronunce, nel senso che:
– le decisioni della Corte EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della
normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza – con le precisazioni
che seguono – anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la
pronuncia della predetta Corte (ordinanza Ercolano cit., Rv. n. 252933);
– l’art. 442 c.p.p., disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di condanna
secondo il rito abbreviato, è norma di diritto sostanziale e, tenuto conto che la stessa – con
specifico riferimento ai reati punibili con la pena dell’ergastolo – ha subito, nel tempo, varie
modifiche per interventi della Corte costituzionale e del legislatore, deve soggiacere al principio di
legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di
Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art.
25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della
previsione meno severa;
– in conseguenza, la pena dell’ergastolo inflitta all’esito del giudizio abbreviato, richiesto
dall’interessato in base all’art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, ma conclusosi nel
vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dall’art. 7, comma 1, D.L. n. 341 del 2000
e in concreto applicata, non può essere ulteriormente eseguita, essendo stata quest’ultima norma
ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al principio di legalità convenzionale di cui
all’art. 7, § 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, e dichiarata incostituzionale per
contrasto con l’art. 117, comma primo Cost. (cfr. Sez. U del 24.10.2013, dep. il 7.5.2014,
Ercolano, cit., con la quale si è affermato che il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale
contemplata da una norma dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi esprime un valore
che prevale su quello della intangibilità del giudicato e trova attuazione nell’art. 30, quarto
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87);
– lo strumento processuale di eventuale adeguamento interno, al fine di garantire concreta
applicazione al principio della legalità della pena, anche nella sua valenza convenzionale ex art. 7
della Carta dei Diritti dell’Uomo quale interpretato dalla Corte EDU, va individuato nell’incidente di
esecuzione ex art. 670 c.p.p., nell’ambito del quale superare – se del caso – il giudicato.
3

ordinanza n. 34472/2012) che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 1, D.L.

Ancora la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 235 del 2.7.2013 – con la quale
ha dichiarato manifestamente inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4-ter del d.l. 7 aprile 2000, n. 82 (convertito, con modificazioni, dalla legge
5 giugno 2000, n. 144), sollevata dal Tribunale di Lecce, in veste di giudice dell’esecuzione, con
riferimento agli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – ha ribadito che alla suddetta
sentenza 17.9.2009 della Corte EDU sul caso Scoppola c. Italia si può fare riferimento soltanto
nell’ipotesi relativa ad un caso che sia “identico a quello deciso” e “non richieda la riapertura del

Con riguardo al tema dell’adeguamento concreto a tali principi nel diritto interno, la citata
sentenza n. 34233, Giannone, ha precisato che l’individuazione della pena sostitutiva da applicare
in sede di giudizio abbreviato per i reati punibili in astratto con l’ergastolo, con o senza
isolamento diurno, è subordinata al verificarsi di una “fattispecie complessa” integrata dalla
commissione di reati per i quali sia prevista tale sanzione e dalla richiesta di accesso al rito
speciale avanzata dall’interessato, elementi questi che, in quanto inscindibilmente connessi tra
loro, devono concorrere entrambi, affinché possa trovare applicazione, in caso di condanna, la
comminatoria punitiva prevista dalla legge al momento della richiesta: è quest’ultima, infatti, che
cristallizza, in rapporto al reato o ai reati per i quali si procede, il trattamento sanzionatorio
vigente al momento di essa.
1.1.1. Tutto ciò premesso e ritenuto, va, ancora una volta, affermata la concreta
inapplicabilità del principio discendente dalla sentenza della CEDU in data 17. 9.2009 (nel caso
Scoppola c. Italia) a tutte quelle situazioni che non siano sovrapponibili, nei loro elementi
essenziali aventi rilievo nello schema sopra illustrato, alla situazione valutata dall’anzidetta Corte
sopra nazionale.
In particolare, come in precedenza accennato, la conversione della pena dell’ergastolo in
quella di anni trenta deve reputarsi possibile, in sede esecutiva, solo ove il rito abbreviato sia
stato chiesto e sia stato ammesso tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000, e cioè nella vigenza
della L. n. 479 del 1999, art. 30, comma 1, lett. b, (che prevedeva che, in esito al rito speciale,
all’ergastolo si sostituisse la pena di anni trenta di reclusione), mentre la decisione definitiva sia
stata pronunciata dopo il 24.11.2000, con applicazione del più severo trattamento sanzionatorio
introdotto con l’art. 7 D.L. n. 341 del 2000 (che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno:
norma giudicata dalla Corte costituzionale, nella citata decisione n. 210/2013, non di
“interpretazione autentica” dell’art. 442, comma 2, ult. periodo, c.p.p., come esplicitamente
enunciato dal legislatore, ma norma sostanzialmente innovativa, che andava a modificare

in

malam partem il contenuto sanzionatorio della disposizione suddetta e non poteva, perciò, avere
efficacia retroattiva).
Tutti i casi diversi da quello appena delineato, siccome strutturalmente non riconducibili a
quello per cui è stato espresso il principio, non possono, dunque, trovare soluzione positiva (vedi,
tra le più recenti, Sez. 1, n. 6004 del 10/1/2014, Papalia, Rv. 250026; Sez. 1, n. 4008 del
10/1/2014, Ganci, Rv. 258272; Sez. 1, n. 23931 del 17/5/2013, Lombardi, Rv. 256257).
4

processo”.

1.2. Venendo al caso in esame, si evince dal ricorso e dal provvedimento che il
SUGAMIELE non presentò mai alcuna richiesta di rito abbreviato, in quanto, a suo dire, tale scelta
gli fu “preclusa” dall’allora vigente art. 7, comma 1, D.L. n. 341/2000, poi dichiarato
incostituzionale.
In realtà, come correttamente evidenziato dalla Corte palermitana e come, del resto,
implicitamente ammesso dallo stesso difensore del ricorrente, la decisione di non presentare la
richiesta di rito abbreviato fu dovuta a una libera e consapevole opzione processuale,

eliminazione dell’isolamento diurno in luogo della sostituzione dell’ergastolo con la pena di
trent’anni di reclusione.
E’ evidente, pertanto, la non sovrapponibilità della situazione del ricorrente – che mai
chiese, pur potendolo fare in base alla cornice legislativa dell’epoca, di accedere al rito abbreviato
– a quella dello SCOPPOLA, sicché esattamente il Giudice dell’esecuzione ha rigettato la sua
istanza.
2. Il ricorso, manifestamente infondato, e dimentico di principi affermati anche dalle
sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte, deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e il
ricorrente condannato ex lege al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento
di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo indicare in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

verosimilmente influenzata dalla previsione di poter conseguire, in caso di condanna, la sola

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