Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29945 del 31/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29945 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAYED ASMAIL N. IL 07/01/1992
avverso la sentenza n. 720/2011 GIUDICE DI PACE di BOLOGNA,
del 29/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mi ‘Co-efa_
che ha concluso per A.P Ai
da Net, 4,so

L44.em

Udito, per la parte ci

, l’Avv

Data Udienza: 31/05/2013

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 29 giugno 2011 il Giudice di pace di Bologna condannava Asmail
Sayed alla pena di euro 5.000,00 di ammenda, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui
al D.L. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis, introdotto dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1,

violazione delle disposizioni dello stesso decreto legislativo, accertato in Bologna il 30 maggio
2011.
2.Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del suo
difensore, il quale lamenta violazione di legge per inosservanza della Direttiva comunitaria
115/08/CE: in particolare assume che nell’ordinamento italiano è immediatamente applicabile
la norma di cui all’art.7 par. 1 di detta direttiva, la quale prevede l’obbligo per lo Stato
aderente all’Unione di privilegiare la partenza volontaria dello straniero irregolare con
l’assegnazione di un termine compreso tra sette e trenta giorni, sicchè la previsione dell’art.
10-bis D.Lgs. 286/98 sarebbe in contrasto con tale disciplina perché privo dell’indicazione di
alcun termine e l’imputato al momento della constatazione del reato poteva ancora beneficiare
della possibilità di usufruire del termine dell’art. 7 per l’esodo volontario, sicchè non era
configurabile la fattispecie di reato contestatagli.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.11 giudizio di responsabilità a carico del ricorrente in punto di fatto è stato giustificato in
ragione della sua individuazione in data 30 maggio 2011 all’interno del territorio nazionale in
assenza di documenti identificativi e del permesso di soggiorno, unici titoli che potevano
legittimare il suo ingresso e la sua permanenza; la condotta così accertata è stata
correttamente rapportata alla fattispecie astratta di cui all’art. 10-bis D.Lgs. n. 286/98 come
aggiunto dall’art. 1, comma 16, lett. a), della I. 15 luglio 2009 n. 94, il quale punisce con
l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero
che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato.
1.1 Va poi precisato come l’ipotesi di reato contravvenzionale, sanzionata da detta
norma, non resti coinvolta dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea El Dridi
del 28 aprile 2011, che ha riguardato il diverso delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter e 5quater dello stesso testo legislativo e che la compatibilità con la Direttiva CEE 16/12/2008 n.
115, c.d. Direttiva rimpatri, della fattispecie penale dell’art. 10-bis è stata già più volte
riconosciuta dalla stessa Corte sovranazionale (sez. 1, sent. 6/12/2012, Sagor, causa C-

1

comma 16, lett. a), perché, essendo straniero, si tratteneva nel territorio dello Stato Italiano in

430/11; sez. 3, ord. 21/3/2013, Mbaye, causa C-522/11; Grande Chambre, sent. n. 329 del
6/12/2011, Achughbabian, causa C-329/11): con dette pronunce, da un lato ha affermato
come la disciplina comunitaria non abbia lo scopo di armonizzare in modo completo la
legislazione nazionale dei singoli Stati aderenti all’Unione sul tema dell’immigrazione irregolare
e non vieti la possibilità che un ordinamento, -come quello italiano ed in particolare come fa la
disposizione di cui all’art. 10-bis in esame-, qualifichi la permanenza irregolare dello straniero
condotta illecita integrante una fattispecie di reato, punita con l’irrogazione di sanzioni penali di
tipo pecuniario, dall’altro ha ravvisato un concreto ostacolo all’attuazione della direttiva nei soli

comuni sul rimpatrio degli stranieri, rendendole inefficaci o sia contrario ai diritti fondamentali
della persona, evenienza che nel primo caso potrebbe accadere se lo Stato comminasse la
pena della detenzione da espiarsi nel corso della procedura di rimpatrio o comunque prima del
suo inizio, venendola ad impedire materialmente.
1.2 Merita poi un accenno anche il recente intervento della Corte Costituzione con la
sentenza n. 250 del 9 giugno 2010, la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10 bis d.Ig. 25 luglio 1998 n. 286, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lett.
a), I. 15 luglio 2009 n. 94, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui
non prevede, tra gli elementi costitutivi del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio
dello Stato, l’assenza di un giustificato motivo; è stato dunque affermato che la norma
incriminatrice non punisce quale illecito penale un «modo di essere» della persona, una
condizione soggettiva legata alla cittadinanza straniera, ma uno specifico comportamento,
costituito dal «fare ingresso» e dal «trattenersi» nel territorio dello Stato, in violazione delle
disposizioni di legge.
1.3 Ciò premesso, non ha pregio la questione giuridica posta col ricorso, che è frutto di
un fraintendimento nell’individuazione della condotta incriminata dall’art. 10-bis, il quale
punisce la condotta di chi, essendo cittadino straniero, entri o si trattenga nel territorio dello
Stato senza essere in possesso di titolo legittimante la sua presenza. Non è, invece, richiesto
che per integrare l’elemento materiale della fattispecie la permanenza superi un limite
temporale dal momento dell’ingresso, come se la presenza dello straniero potesse ritenersi
regolare, pur se non consentita da visto abilitante, se limitatasi ad un certo lasso di tempo e
quindi seguita dalla partenza verso altro paese.
1.3.1 Del resto è sufficiente considerare le definizioni contenute nell’art. 3 della direttiva
per rendersi conto che il concetto di partenza volontaria è legato alla fase esecutiva
dell’obbligo di rimpatrio, ossia del processo di ritorno dello straniero al paese d’origine o ad
altro paese terzo ed essa consiste nell’adempimento spontaneo, alternativo a quello imposto
forzatamente con l’allontanamento fisico, di quell’obbligo, insorto per effetto di un ordine
impartito con atto amministrativo o con pronuncia giudiziale quale conseguenza dell’ingresso
illegale nel territorio nazionale.

2

,/

casi in cui il trattamento punitivo penale impedisca l’applicazione delle norme e delle procedure

1.3.2 Inoltre, l’art. 7 della direttiva in esame contiene al primo paragrafo la previsione
della concessione soltanto con la decisione di rimpatrio, a richiesta dell’interessato, di un
termine compreso fra sette e trenta giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese
terzo, di cui sia accertata la condizione di illegalità, termine derogabile con il diniego o con
l’indicazione di altro più breve, soltanto a fronte delle condizioni previste dal successivo
paragrafo quarto, ossia quando sussista il pericolo di fuga o se una domanda di soggiorno
regolare sia stata respinta perché manifestamente infondata o fraudolenta oppure se
nazionale, condizioni oggetto di una specifica valutazione da parte del giudice di pace in
riferimento alla situazione personale dello straniero.
1.3.3 Pertanto, non esplica alcuna refluenza sulla configurabilità del reato legato alla
clandestinità la previsione, contenuta nella disposizione comunitaria, quale regola generale da
recepire dagli ordinamenti nazionali, della concessione di un termine per la partenza
volontaria, dal momento che è la stessa presenza del cittadino extracomunitario nel contesto
territoriale nazionale ad essere illegale e quindi sanzionata agli effetti della norma dell’art. 10bis perché non legittimata da titolo abilitante, a prescindere dalla durata del trattenimento
dopo l’ingresso irregolare (Cass. sez. 1, n. 951 del 22/11/2011, Gueye, rv. 251671; sez. 1, n.
57 del 01/12/2010, P.G. in proc. Benjannet, Rv. 249472; sez. 1, n. 37051 del 30/09/2010, Pg
in proc. )ouini, Rv. 248576).
1.3.4 Né può sostenersi il mancato perfezionamento da parte del ricorrente della
fattispecie astratta dell’art. 10-bis in ragione della mancata scadenza del termine per la
presentazione dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno, che è previsto unicamente a
favore di quanti siano entrati nel paese legalmente da valichi ufficiali e muniti di regolari
documenti, condizione non ricorrente nel caso in esame.
2. Deve dunque concludersi per l’insussistenza della denunciata violazione della
normativa comunitaria; il ricorso, per la sua infondatezza, va respinto con la conseguente
condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2013.

l’interessato costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza

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