Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29945 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29945 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MURAGLIA COSIMO N. IL 13/03/1953
avverso la sentenza n. 340/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 28/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. M 741e-e:,
che ha concluso per pe

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 29/05/2014

Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione Muraglia Cosimo, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Lecce-sezione distaccata di Taranto- in data 28 maggio 2013 con la quale, per quanto qui di
interesse, è stata confermata quella di primo grado, a suo tempo emessa a seguito di

Deduce la violazione dell’articolo 192 cpp e il vizio di motivazione.
In particolare, ad avviso del difensore era manchevole e, per altro verso, manifestamente
illogica l’affermazione del giudice dell’appello in ordine all’elemento psicologico del reato.
L’avere detenuto prodotti di con marchi contraffatti era condotta che l’imputato aveva
contestato sotto il profilo psicologico anche presentando querela per truffa nei confronti delle
dette fornitrici della merce poi sequestrata. Egli aveva anche sottoposto agli inquirenti la
documentazione contabile capace di tracciare la provenienza dei capi con i marchi contraffatti.
Tali comportamenti, evidentemente indicativi di buona fede, erano stati del tutto travisati dal
giudice del merito che gli aveva invece interpretati, del tutto apoditticamente, come sintomo
della volontà di ridurre i danni derivati dell’imputato dall’inchiesta.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, il giudice dell’appello non si è sottratto alla
valutazione anche dell’elemento psicologico del reato addebitato dal primo giudice.
In particolare, la Corte ha argomentato la sussistenza della prova in ordine alla necessaria
consapevolezza, da parte dell’imputato, della falsità dei marchi apposti sulla merce che gli è
stata sequestrata dalla Guardia di Finanza, valorizzando dati storici che lo stesso giudice di
secondo grado afferma essere stati ignorati nell’atto di appello e che la stessa sorte hanno
avuto anche nel ricorso in esame.
In altri termini, in sede di merito è stato ritenuto dirimente il fatto che i capi di abbigliamento e
gli accessori in discussione fossero detenuti, dall’imputato, senza le scatole normalmente in
uso per le griffe di eccellenza sopra menzionate ed anzi, in alcuni casi, erano detenuti in
anonime buste di plastica. Anche la documentazione contabile esibita dal ricorrente non
menzionava borse, cravatte scarpe e, segnatamente, le fatture erano generiche e non
riportavano l’indicazione di marchi specifici.
Sulla base di tale rilevazione evidentemente assai indicativa, il giudice del merito ha formulato
una valutazione assolutamente logica in ordine al convincimento raggiunto a proposito della
consapevole e volontaria detenzione per la vendita, da parte dell’imputato, di merce con i
marchi contraffatti.
Riproporre, come fa il ricorrente, il tema della possibile buona fede dimostrata querelando le
ditte fornitrici significa, in vero, non solo riformulare una questione già esaustivamente risolta
dal giudice dell’appello ma, per quanto riguarda la sede della Cassazione, sottoporre al giudice
della legittimità una alternativa ricostruzione della vicenda, già scartata con argomenti
ineccepibili dal giudice del merito.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il
2014
il bresidente
il tonsigliere estensore

opposizione a decreto penale: sentenza che era stata di condanna in ordine al reato di cui
all’articolo 474 cp, accertato il 14 dicembre 2006.
In particolare, l’imputato, quale legale rappresentante della S.r.l. LMC Confezioni, è stato
giudicato colpevole di avere detenuto per la vendita oltre 1000 capi di abbigliamento ed
accessori con marchi contraffatti di importanti società produttrici come Gucci, Armani, Cavalli
ed altre.

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