Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29942 del 11/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29942 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SASSI FRANCESCO, nato a Minervino Murge il 12/09/1970,
avverso l ‘ordinanza n. 313/2014 del TRIBUNALE di VERBANIA del
11/12/2014

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale dott. Oscar Cedrangolo, che ha chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso e condannarsi il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della
cassa delle ammende.

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’il dicembre 2014 il Tribunale di Verbania, in funzione
di giudice dell’esecuzione, ha disposto la revoca del beneficio dell’indulto,
previsto dalla legge n. 241 del 2006 e concesso in favore di Francesco Sassi, con
ordinanza del 26 settembre 2006 del Tribunale di Trani, nella misura di anni tre
e di euro diecimila.

– il Sassi aveva riportato, in seguito alla predetta ordinanza, la condanna
alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione (tra l’altro per il reato di cui all’art.
423 cod. pen., commesso tra il 20 e il 30 maggio 2011) con sentenza del 14
gennaio 2013 del G.i.p. del Tribunale di Verbania, irrevocabile il 29 maggio
2014;
– l’art. 3 legge n. 241 del 2006 prevedeva la revoca dell’indulto nel caso di
condanna a pena superiore a due anni per reati non colposi, commessi nel
quinquennio dalla sua entrata in vigore.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, per mezzo del suo
difensore avv. Matteo Murgo, l’interessato Sassi, che ne chiede l’annullamento
sulla base di due motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dì legge in
relazione all’art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006, deducendo che il Tribunale
ha apprezzato, ai fini della revoca del beneficio dell’indulto, la pena
complessivamente irrogata in sentenza e non quella relativa al reato più grave di
cui all’art. 423 cod. pen., e non ha considerato, trattandosi di giudizio
abbreviato, la pena in concreto irrogata, ovvero quella finale, determinata dopo
l’applicazione della riduzione di un terzo per il rito.
2.2. Con il secondo motivo è denunciata violazione di legge in relazione agli
artt. 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 666 e 127 cod.
proc. pen.
Secondo il ricorrente, vi è stata nella specie violazione del suo diritto di
difesa e più in generale delle regole processuali stabilite a garanzia della
partecipazione del difensore all’udienza, poiché, a fronte dell’invio da parte del
difensore di documentata istanza di rinvio per legittimo impedimento, il Giudice
dell’esecuzione ha rimesso allo stesso “richiesta di indicazione di ulteriore data
del mese di dicembre per l’utile definizione del procedimento”,

inducendolo a

ritenere accolta la richiesta di rinvio e fare affidamento sulla possibilità di
esercitare il diritto di difesa alla successiva individuata udienza.

2

Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:

La celebrazione dell’udienza, senza valutarsi l’istanza di rinvio, ha privato
esso ricorrente della doverosa assistenza legale, con conseguente nullità
dell’intero procedimento di esecuzione e dei provvedimenti emessi al suo esito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato per essere infondate ovvero generiche le

2. Il secondo motivo del ricorso, il cui esame -prospettandosi ragioni
processuali- logicamente precede quello relativo al primo motivo, è destituito di
fondamento.
2.1. Si rileva in diritto che l’art. 666 cod. proc. pen. prevede in via
generalizzata, quale modello procedimentale per la trattazione dell’incidente di
esecuzione, quello dell’udienza camerale partecipata, stabilendo che l’udienza si
svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore e del
pubblico ministero, ai quali deve essere dato apposito avviso (commi 3 e 4), e,
analogamente a quanto si verifica in tutti i casi nei quali il legislatore, nel
prescrivere che si proceda

“in camera di consiglio” senza aggiungere una

regolamentazione specifica, ometta di richiamare testualmente le prescrizioni
dell’art. 127 cod. proc. pen., il procedimento e le formalità stabilite da detta
norma sono applicabili per relationem.
Dalla natura camerale partecipata del giudizio discende la inapplicabilità
della disciplina di cui agli artt. 484, comma 2-bis, e 420-ter, comma 5, cod. proc.
pen., introdotti dalla legge n. 479 del 1999, secondo cui, a fronte di legittimo
impedimento del difensore, prontamente comunicato e documentato, il
procedimento va sospeso o rinviato. Tale disciplina, prevista per il solo giudizio di
cognizione di primo grado, mentre è estensibile ai giudizi di appello, di
cassazione, di revisione e al procedimento minorile in forza dei richiami disposti
da specifiche norme, non è, infatti, espressamente richiamata da alcuna
disposizione normativa per il procedimento in camera di consiglio e per quelli di
esecuzione, sottoposti alla regolamentazione degli indicati artt. 666 e 127 cod.
proc. pen.
A ciò consegue che, con riguardo a detti procedimenti camerali, anche se la
presenza del difensore sia prevista come necessaria, una volta notificato l’avviso,
deve ritenersi assicurato il contraddittorio e irrilevante l’assenza del difensore,
anche se causata da legittimo impedimento, soccorrendo in tali ipotesi la regola
dettata dall’art. 97, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006,
Passamani, Rv. 234146; tra le successive, Sez. 6, n. 14396 del 19/02/2009,

3

proposte doglianze e deduzioni.

Leoni, Rv. 243263; Sez. 1, n. 5722 del 20/12/2012, dep. 2013, Morano,
Rv. 254807; Sez. 5, n. 25501 del 12/05/2015, Corona, Rv. 264066).
2.2. Tanto premesso in diritto, si rileva in fatto che dalla consultazione del
fascicolo processuale, cui il Collegio può accedere essendo dedotto un vizio
procedurale, risultano:
– l’avvenuta trattazione all’udienza dell’Il dicembre 2014 del procedimento,
attivato dalla richiesta del Pubblico ministero di revoca del beneficio dell’indulto
concesso a Francesco Sassi, nell’assenza di quest’ultimo e del suo difensore avv.

dell’udienza, e alla presenza del Pubblico ministero e del difensore di ufficio,
contestualmente nominato, avv. Paolo Patacconi;
– il rigetto preliminare della istanza di rinvio dell’udienza avanzata dall’avv.
Matteo Murgo, che aveva allegato un legittimo impedimento e omesso di
depositare la nomina di fiducia per la fase esecutiva, da parte del Giudice, che ha
dato atto della condotta omissiva tenuta dal detto legale, pur notiziato il 3
dicembre 2014, dell’invito rivoltogli a indicare altra data per lui disponibile dello
stesso mese, e della non emersa nomina fiduciaria per la fase in corso.
2.3. In tal modo, non solo si è fatta corretta applicazione dei predetti
condivisi principi, essendosi regolarmente notificato l’avviso dell’udienza alle
parti e designato di ufficio un patrocinatore in sostituzione del difensore non
comparso, ma, espressamente disattendendosi la richiesta di differimento
dell’udienza, si sono enunciate le ragioni di tale determinazione, pur non
necessarie -attenendo il principio invocato dal ricorrente alla omessa valutazione
dell’istanza di rinvio del dibattimento (tra le altre, Sez. 4,
n. 2875 del 14/12/1993, dep. 1994, Vivi, Rv. 197907; Sez. 5, n. 2850 del
03/02/1999, Puma, Rv. 212604; Sez. 6, n. 42110 del 14/10/2009, Gaudio, Rv.
245127)-, e si è dato conto delle ulteriori, non necessarie, svolte attività tese a
verificare la disponibilità in altra prossima udienza del difensore impedito e la sua
nomina fiduciaria, senza creare, come genericamente si assume da parte del
ricorrente, ragioni di affidamento inducenti violazione del diritto di assistenza
legale.
2.4. Resta, quindi escluso, che il provvedimento impugnato sia incorso sul
punto dedotto nel denunciato vizio di violazione di legge.

3. Del tutto generico è il primo motivo, con il quale si contesta nel merito
l’incorsa violazione dell’art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006 per l’omesso
apprezzamento, ai fini della revoca dell’indulto, della sanzione irrogata per il
reato più grave di cui all’art. 423 cod. pen.

4

Matteo Murgo, destinatari di regolare notifica dell’avviso di fissazione

3.1. L’ordinanza impugnata è pervenuta al conclusivo apprezzamento della
sussistenza delle condizioni per la chiesta revoca dell’indulto, di cui all’art. 3 della
indicata legge (condanna a pena superiore a due anni per reato non colposo,
commesso nel quinquennio dalla entrata in vigore della stessa legge), in logica
correlazione con i dati di fatto rappresentati nella sua premessa e pertinenti alla
condanna riportata dal Sassi, beneficiario dell’indulto giusta ordinanza del 26
settembre 2006 del Tribunale di Trani, alla pena di anni tre e mesi otto di
reclusione (con sentenza del 14 gennaio 2013, irrevocabile il 29 maggio 2014,

sentenza, di cui all’art. 423 cod. pen., commesso tra il 20 e il 30 maggio 2011.
3.2. Le doglianze del ricorrente, che, riepilogate tali indicazioni, dopo averle
specificamente richiamate nella premessa del ricorso, e richiamati i principi di
diritto riguardanti la revoca dell’indulto a seguito di condanna per reato
continuato e la pena da considerare in sede di giudizio abbreviato, afferma che il
Giudicante avrebbe dovuto apprezzare “unicamente la sanzione inflitta per il
reato più grave (art. 423 c.p.) e non quella complessivamente inflitta in
sentenza” e tenere conto del giudizio abbreviato in cui tale reato è stato
giudicato, sono prive -svolgendo rilievi puramente assertivi e non corredati
dall’allegazione degli atti processuali dimostrativi dell’assunto- della necessaria
autosufficienza, funzionale all’effettivo apprezzamento del vizio dedotto, in
violazione del relativo principio di diritto, costituente

ius receptum

nella

giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009,
Bouyahia, Rv. 243225; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552;
Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012, Massaro, Rv. 253017; Sez. 2, n. 26725 del
01/03/2013, Natale, Rv. 256723; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015,
Savasta, Rv. 263601), e, per l’effetto, vanno giudicate inammissibili ai sensi
dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.

4. Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

eigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
ocissuali.
Così deciso in Roma in data 11 novembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

del G.i.p. del Tribunale di Verbania), e al reato, giudicato tra gli altri con detta

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