Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29940 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29940 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANCEDDA PATRIZIO N. IL 14/12/1966
avverso la sentenza n. 142/2010 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
07/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2013 la relazio
Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA
Udito il Procuratore G eraleà ip sona del Dott.
che ha concluso

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

/

.-

Data Udienza: 24/04/2013

e

RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del 30 settembre 2009 con cui
il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di quella città condannò Patrizio Cancedda alla
pena di tre anni di reclusione e C 3000,00 di multa per i reati di ricettazione e di illegale
detenzione di una pistola clandestina semiautomatica calibro 8 marca Valtro mod. 85 Combat a
salve ma modificata, con all’interno un caricatore monofilare con cinque munizioni cal. 7,65,
oltre che di una munizione da guerra cal. 7,62 parabellum, reati accertati il 6 marzo 2009 in

all’interno dell’ovile di proprietà di Mariano e Giuseppe Cancedda, nel quale dimoravano
Patrizio Cancedda, odierno ricorrente e figlio di Giuseppe, e il servo pastore Giulio Siddi, per il
quale si è proceduto separatamente.
La Corte territoriale ha evidenziato che è indubbio che l’azienda agricola fosse affidata,
al di là della formale intestazione, al ricorrente, che si avvaleva dell’ausilio del servo pastore
Giulio Siddi. Questi, in posizione lavorativa assai precaria, era disposto a tutto pur di
conservare l’occupazione e il fatto che acquistò l’arma giocattolo rinvenuta in azienda è
dimostrazione della necessità di evitare al Cancedda, con precedenti penali specifici ed assai
gravi, di esporsi direttamente nell’acquisto. Peraltro, ha ancora osservato la Corte territoriale,
il ricorrente ammise di aver visto l’arma e la munizione da guerra all’interno della casa ove
anche lui dimorava, mentre il Siddi, nell’indicare ai Carabinieri nel corso della perquisizione il
luogo di custodia della pistola, errò. è così dimostrata perlomeno la co-detenzione di arma e
munizione da parte del ricorrente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Rovelli, Patrizio
Cancedda, deducendo:
Difetto di motivazione. La sentenza è manifestamente illogica perché ha letto in
termini di compartecipazione concorsuale una condotta di mera connivenza non
punibile. Ha, infatti, affermato l’esistenza di una posizione di subordinazione del
Siddi nei confronti del ricorrente senza indicare i fatti a sostegno di una tale
conclusione e ha ritenuto indiziante, ai fini della responsabilità concorsuale del
Cancedda, l’inesperienza del Siddi in materia di armi. La sentenza, ancora, è
contraddittoria per la parte in cui spiega l’acquisto dell’arma giocattolo come
espediente per evitare al ricorrente, gravato da precedenti penali in materia di armi,
di acquistare formalmente quell’arma, invero comunque al Siddi destinata,
dimenticando che l’arma, in quanto giocattolo, sarebbe potuta essere acquistata
senza alcun problema dal ricorrente. Ed è manifestamente illogica perché ha
desunto dalla consapevolezza del Cancedda circa la presenza nell’abitazione della
pistola e della munizioni gli elementi del concorso nell’illecita detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

2

agro di Nurri, località “Nebidera” in esito ad una perquisizione effettuata dai Carabinieri

La denunciata manifesta illogicità della motivazione non sussiste, così come non si
riscontra alcuna contraddittorietà nelle argomentazioni poste a fondamento dell’affermazione di
responsabilità del ricorrente. è stato accertato che Patrizio Cancedda era l’effettivo gestore
dell’azienda, in cui lavorava anche il Siddi con il ruolo di servo pastore. Lo stesso Cancedda
dichiarò di aver visto l’arma modificata e la munizione da guerra all’interno della casa ove
anche lui alloggiava. Pur a voler ritenere che l’arma fosse nella disponibilità del Siddi, non è
allora dubbio che il Cancedda avesse piena consapevolezza della presenza della stessa e della

proprio per il ruolo di reale gestore dell’azienda e titolare di fatto di poteri direttivi all’interno
dei locali aziendali, ivi compresa l’abitazione posta a servizio dell’ovile, la co-detenzione di
quegli oggetti.
In particolare, già la sentenza di primo grado pose in evidenza che il Cancedda, a
differenza del Siddi, in quanto figlio di uno dei comproprietari dell’azione, aveva la piena
disponibilità dei locali (fl. 5), e la motivazione di detta sentenza integra e completa quella della
sentenza di appello che ne ha dato conferma, secondo il principio per il quale «le sentenze di
primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale,
qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri
omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi
prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando
i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare
circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» – Sez. 3, n.
13926 dell’1/12/2011 (dep. 12/4/2012), Valerio, Rv. 252615 -.
La motivazione della sentenza impugnata è pertanto logica ed adeguata, ed è conforme
al principio, per il quale «la configurabilità del concorso in detenzione illegale di armi, implica
che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale dell’arma, si trovi, cioè, in una
situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne» – Sez. 1, n.
45940 del 15/11/2011 (dep. 12/12/2011), Benevoli, Rv. 251585 Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente alle spese e a una somma, che si reputa equa nella misura di € 1000,00, in favore
della Cassa delle ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa nella
determinazione della causa d’inammissibilità, secondo l’orientamento espresso dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 24 aprile 2013.

munizione e che, quindi, consentì al primo di proseguire nella detenzione, assumendo così,

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