Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29938 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29938 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DONGHIA NICOLA N. IL 25/10/1970
avverso la sentenza n. 3892/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
19/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udii i difensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Giuseppe Volpe, ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Bari, sezione distaccata di Putignano, del 23

di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, lesioni volontarie e violenza privata, a
seguito di una denuncia sporta nei suoi confronti da Lombardi Giuseppe, gestore
di fatto della “Edilcastellaneta s.r.l.”, società svolgente attività di commercio di
materiale edile che occupava da tempo un immobile di proprietà dell’imputato e
del fratello, in ragione di un contratto di locazione verbale stipulato con il padre.
2. La Corte d’appello di Roma confermava la decisione, riconoscendo il beneficio
della non menzione della condanna e assolveva al contempo D’Onghia Felice,
condannato in primo grado per esercizio arbitrario delle proprie ragioni e lesioni
volontarie.
3. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione D’Onghia Nicola, con atto
sottoscritto dal difensore, avv. Alberto Cantatore, affidato a tre motivi.
3.1 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’articolo 606, lettera B ed E,
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 586 – 590 e 83 cod. pen., nonché
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento
all’affermazione di responsabilità fondata sulla deposizione di Lombardi
Giuseppe, sentito senza le garanzie e le cautele di cui all’articolo 197 bis cod.
proc. pen.; la persona offesa, le cui dichiarazioni erano riscontrate
esclusivamente dal referto medico, attestante delle lesioni giudicate “compatibili
con la denunciata aggressione”, era stata smentita dalla teste Innamorato Fonte,
sulla base della cui deposizione era stato assolto il coimputato. A giudizio del
ricorrente andava ritenuta credibile la versione resa dalla teste Innamorato in
dibattimento, sede in cui aveva ritrattato le accuse formulate in fase
investigativa, poiché solo davanti al giudice ella era si era dimostrata libera da
condizionamenti di tipo lavorativo, non essendo più dipendente della parte civile.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera D ed E,
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 493, 495, 599 e 603 cod. proc. pen.,
poiché il collegio d’appello ha ritenuto superflua l’acquisizione dei tabulati
telefonici delll’utenza mobile dell’imputato; attraverso tale prova si voleva
dimostrare che l’imputato, con il proprio comportamento contestato come
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settembre 2009, D’Onghia Nicola era condannato alla pena di giustizia per i reati

violenza privata al capo D, intendeva solo invitare la signora Innamorato a
desistere dal proposito di chiamare i Carabinieri, avendo egli già provveduto con
il proprio telefono cellulare.
2.3 Con il terzo motivo si deduce intervenuta prescrizione dei reati, commessi in
data 1 luglio 2005 e dunque estinti fin dal 1 gennaio 2013.

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 il primo motivo del ricorso è in parte generico, con riferimento alla censura
riguardante la mancata escussione del Lombardi ai sensi dell’art. 197 bis cod.
proc. pen., formulata senza alcuna specifica delle ragioni che avrebbe imposto le
garanzie previste dalla norma processuale e la diversa efficacia probatoria delle
dichiarazioni, ed in parte manifestamente infondato, in relazione ai contrasti tra
le deposizioni della parte civile e della teste Innamorato, presente ai fatti.
In realtà, secondo quanto si legge nella decisione di appello, la teste Innamorato
non ha escluso l’aggressione, ma semplicemente si è limitata a dichiarare di non
ricordare l’accaduto, per cui la deduzione del ricorrente si risolve in una censura
sull’attendibilità della persona offesa, e, come è noto, tale valutazione di fatto
non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia
incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa,
Rv. 257241). Nel caso di specie la valutazione di attendibilità non è affatto
contraddittoria, poiché suffragata dal tipo di lesioni refertate (edema nella
regione sovra orbitaria e graffi al collo, compatibili con un’aggressione e non con
una caduta accidentale) e dalle dichiarazioni del teste Giannuzzi.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché la superfluità delle
ulteriori prove richieste è stata specificamente argomentata dalla Corte
territoriale, con motivazione né illogica, né contraddittoria (Sez. 2, n. 8106 del
26/04/2000 – Accettola, Rv. 216532), che peraltro il ricorrente non contesta con
il motivo in esame, limitandosi ad osservare che la prova richiesta mirava alla
prova contraria dell’elemento soggettivo del reato.
2.1 Come ribadito recentemente da questa Corte, il rigetto dell’istanza di
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di
legittimità, quando – come nella specie – la struttura argomentativa della
motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi più che
sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, n.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010,
D.S.B., Rv. 247872; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009 09, Messina, Rv. 245009).
A mente dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., infatti, la rinnovazione
dell’istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto
all’abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione
che l’indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già

Giudice ritenga, nell’ambito della sua discrezionalità, “di non poter decidere allo
stato degli atti” ed una tale impossibilità può sussistere solo quando i dati
probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto rivesta
carattere di decisività, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali
suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni
altra risultanza.
2.2 Lmerror in procedendo”, in cui si sostanzia il vizio che l’art. 606, comma 1,
lett. E, cod. proc. pen., ricomprende tra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva,
pertanto, solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le
motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti “decisiva”, cioè
tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa.
Tale decisività è stata correttamente esclusa, alla luce delle dichiarazioni dello
stesso imputato, che ha ammesso di aver impedito la telefonata ed ha descritto
la reazione da parte della donna, che si lasciava andare ad uno sfogo di pianto.
Appare allora evidente la manifesta irrilevanza di un accertamento che mirava a
verificare se prima di tale azione l’imputato avesse già chiamato i Carabinieri,
verifica ininfluente sul dolo, ma casomi rilevante solamente ai fini della prova dei
motivi dell’azione, irrilevanti nel caso di specie, atteso che il dolo del delitto di
violenza privata è pacificamente da ritenersi generico (Sez. 5, n. 4526 del
03/11/2010 – dep. 08/02/2011, Picheca, Rv. 249247).
3. La rilevata inammissibilità dei primi due motivi impedisce di rilevare la
prescrizione, sollecitata con il terzo motivo, poiché verificatasi in epoca
successiva alla pronuncia di appello del 19 novembre 2012 (i fatti sono del 1
luglio 2005, per cui essa è compiuta 1 gennaio 2013).
3. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria di
inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile
alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n.

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svoltosi. A tale istituto di carattere eccezionale può farsi ricorso solo quando il

186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende,
di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014
Il consigliere estensore

Il Presidente

spese processuali e della somma di euro 1000 a favore della cassa delle

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