Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29938 del 13/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29938 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Piras Gabriele, nato il 07/10/1960;

Avverso la sentenza n. 57/2013 emessa 1’01/04/2014 dalla Corte di assise di
appello di Roma;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Ciro Angelillis, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;

Udito per il ricorrente l’avv. Cinzia Valnegri;

Data Udienza: 13/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 19/04/2013 il G.U.P. del Tribunale di Roma
giudicava con rito abbreviato Gabriele Piras per l’omicidio premeditato di Stefano
Nataloni commesso a Roma il 14/09/2006 – di cui aveva cagionato la morte
esplodendo al suo indirizzo quattro colpi di una pistola semiautomatica, che
attingevano la vittima in varie parti vitali del corpo – condannandolo alla pena di
sedici anni di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili

La pena irrogata al Piras conseguiva alla concessione delle attenuanti
generiche ritenute equivalenti alla contestata premeditazione e alla riduzione per
il rito; non veniva, invece, concessa l’attenuante speciale dell’art. 8 del decretolegge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella legge 12
luglio 1991, n. 203, che era stata invocata dalla difesa dell’imputato in
conseguenza della sua confessione.

2. Con sentenza emessa 1’01/04/2014 la Corte di assise di appello di Roma
confermava la sentenza impugnata sotto il profilo della responsabilità penale del
Piras – peraltro non controversa processualmente per effetto della sua
confessione – e del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo
grado, che veniva ritenuto congruo rispetto all’inquadramento della vicenda
delittuosa esaminata.
La Corte territoriale, inoltre, ribadiva che non era concedibile l’attenuante
speciale dell’art. 8 del decreto-legge n. 152 del 1991, in conseguenza del fatto
che all’imputato non era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 7 dello stesso
decreto, sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale richiamato sul punto
(cfr. Sez. 2, n. 23121 del 29/04/2009, Nemoianni, Rv. 245180).

3.

Da entrambe le sentenze emergeva che grazie alla confessione

dell’imputato – di cui si forniva riscontro richiamando i verbali del 09/09/2008 e
del 03/03/2009 – che si era aperto alla collaborazione con la giustizia dopo
essere stato arrestato per l’omicidio di Massimiliano Pisnoli, si accertava che
l’uccisione di Stefano Nataloni gli era stata commissionata da Carlo Perozzi detto
“Palletta”, che voleva eliminare la vittima perché ostacolava le attività illecite che
gestiva nella sua zona di pertinenza criminale.
Il Piras, in particolare, riferiva che il motivo dell’eliminazione del Nataloni era
collegato al fatto che, in un’occasione, era stato trovato all’interno dei bagni della
bisca gestita dal Perozzi intento “a bucarsi”, venendo conseguentemente
percosso e allontanato dal locale. Il Perozzi, quindi, decideva di eliminare il
2

costituite e alle pene accessorie di legge.

,

,

Nataloni perché era un soggetto che, con il suo comportamento, ostacolava la
gestione delle sue attività illecite nel settore del gioco d’azzardo e, al contempo,
la decisione di ucciderlo mirava a prevenire possibili vendette della vittima dopo
l’episodio dell’allontanamento dalla bisca.
L’omicidio veniva eseguito dal Piras nella zona romana di Corviale – e
segnatamente in largo Quadrelli n. 5, all’altezza del lotto II – intorno alle ore
23.12 del 14/09/2006. Sul posto, l’imputato si era recato in compagnia di tale
Christian, a bordo di un ciclomotore Honda SH 500 procuratogli dal Perozzi,

morte, mentre la stessa stava controllando la dose di cocaina che aveva appena
acquistato da uno spacciatore del posto.
Il Piras, inoltre, precisava che per l’esecuzione dell’omicidio aveva ricevuto
dal Perozzi la somma di 110.000,00 euro e che il mandante gli aveva chiesto di
eseguirlo durante la sua permanenza a Sperlonga, allo scopo di evitare sospetti
sulla sua persona e di precostituirsi un alibi.
Nell’immediatezza dei fatti, su segnalazione telefonica effettuata dall’utenza
cellulare di Marco Clemente, interveniva personale della Questura di Roma,
unitamente al medico legale, che riscontrava le ferite mortali riportate dal
Nataloni – tre al capo e una alla mano sinistra – e repertava, nelle adiacenze del
cadavere, quattro bossoli di proiettili calibro 9 e due piccole dosi di sostanza
stupefacente.
Sul posto erano anche presenti le sorelle della vittima, Lucia Nataloni e
Letizia Nataloni, le quali riferivano che, preoccupate per non avere visto arrivare
il fratello, che avevano invitato per prendere un caffè insieme, lo avevano
cercato per strada, trovandolo steso a terra privo di vita.
Nella prima fase delle indagini, si accertava che il Nataloni, il 05/09/2006,
era stato vittima di un’aggressione a colpi di arma da fuoco, mentre si trovava in
compagnia di Giorgio Piras, il quale, in questa occasione, veniva denunciato per
favoreggiamento, in conseguenza della sua reticenza nel riferire circostanze utili
a chiarire la dinamica dell’agguato.
Come si è detto, alle indagini forniva un impulso decisivo la confessione di
Gabriele Piras, che veniva articolata attraverso gli interrogatori resi nelle date del
09/09/2008 e del 03/03/2009, nei quali l’imputato forniva una ricostruzione della
vicenda delittuosa avvalorata dalle ulteriori emergenze processuali. Tra queste
ultime, nella sentenza di primo grado, si attribuiva peculiare rilevanza probatoria
alle dichiarazioni rese dai testi esaminati nell’immediatezza dei fatti – le sorelle
della vittima, già menzionate, Giorgio Piras e Federico Dente – e alla consulenza
tecnica medico-legale, le cui conclusioni risultavano pienamente convergenti con
le dichiarazioni confessorie dell’imputato.
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esplodendo all’indirizzo della vittima i colpi di pistola che ne provocavano la

,

In ordine al giudizio sulla credibilità soggettiva e sull’attendibilità intrinseca
del Piras, le sottostanti sentenze di merito evidenziavano che le circostanze nelle
quali la sua confessione era intervenuta costituivano un primo elemento di
riscontro probatorio al suo narrato collaborativo, peraltro ribadito con coerenza e
senza contraddizioni nelle varie occasioni in cui il propalante era stato
esaminato. Tale ricostruzione dei fatti delittuosi, inoltre, era compatibile con le
ulteriori emergenze probatorie, tra le quali si citavano il numero dei colpi esplosi
all’indirizzo del Nataloni; la presenza di stupefacente nelle vicinanze del

la vittima era stata attinta da quattro colpi di pistola, due dei quali esplosi da
distanza ravvicinata; l’utilizzo da parte dei sicari di un ciclomotore per recarsi sul
luogo dell’agguato.
Sulla scorta di tali elementi probatori Gabriele Piras veniva condannato alla
pena richiamata in premessa, conforme nei sottostanti giudizi di merito.

4. Avverso tale sentenza Gabriele Piras ricorreva per cassazione, a mezzo
del suo difensore, deducendo, quale unico motivo, la violazione della legge
penale, in relazione agli artt. 7 e 8 del decreto-legge n. 152 del 1991.
Si deduceva, in particolare, l’erroneità del percorso processuale seguito dalla
Corte territoriale per escludere la concessione dell’attenuante speciale di cui
all’art. 8 del decreto-legge n. 152 del 1991, come conseguenza diretta della
mancata contestazione dell’art. 7 dello stesso decreto, richiamandosi, in senso
contrario, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità contrastante rispetto
a quello citato nel provvedimento impugnato, che imponeva di applicare
l’attenuante invocata (cfr. Sez. 4, n. 30062 del 20/06/2006, Cariolo, Rv.
235179).
Secondo l’orientamento ermeneutico richiamato dalla difesa del ricorrente,
la mancanza di una formale contestazione della circostanza aggravante di cui
all’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 configurabile rispetto a ogni ipotesi
delittuosa sanzionata con pena diversa dall’ergastolo – che sia stata commessa
avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis cod. pen. ovvero al fine
di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso – non poteva ritenersi
ostativa all’applicazione della circostanza attenuante speciale in esame, che è
prevista dall’art. 8 per coloro i quali si dissociano dalle organizzazioni di tipo
mafioso, adoperandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
conseguenze ulteriori (cfr. Sez. 4, n. 30062 del 20/06/2006, Cariolo, cit.).
Da tale posizione ermeneutica la Corte territoriale riteneva di discostarsi
senza fornire alcuna giustificazione, a fronte della motivazione della sentenza
impugnata, nella quale, nelle pagine 1 e 2, si evidenziava contraddittoriamente
4

cadavere; gli esiti della consulenza tecnica medico-legale, che confermavano che

l’importanza del contributo dichiarativo fornito dal Piras, concretizzatosi
nell’individuazione dei mandanti e degli esecutori materiali dell’assassinio di
Stefano Nataloni. L’importanza del contributo dichiarativo fornito dal ricorrente,
del resto, risultava confermato dal fatto che, prima dell’acquisizione di tali
propalazioni, nonostante l’imponente attività investigativa dispiegata, non erano
stati individuati elementi utili alle indagini.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che sulla questione interpretativa dedotta dalla
difesa del ricorrente – relativa alla possibilità che la mancata contestazione della
circostanza aggravante prevista dall’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991
costituisca una condizione ostativa alla concessione dell’attenuante speciale
dell’art. 8 dello stesso decreto – la posizione ermeneutica richiamata
nell’interesse del Piras, oltre a essere isolata e risalante nel tempo, è
pacificamente superata dall’orientamento consolidato di questa Corte, che si
deve ulteriormente ribadire.
In questa direzione, è utile richiamare il più recente arresto
giurisprudenziale di questa Corte, consacrato nel seguente principio di diritto:
«La mancanza di una formale contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 del
D.L. 13 maggio 1991 n. 152 (conv. in legge n. 203 del 1991) contemplata per i
delitti, punibili con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle
condizioni previste dall’art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare le
attività mafiose, è ostativa all’applicabilità della speciale attenuante, di cui al
successivo art. 8 stessa legge, prevista a favore di chi, nei reati di tipo mafioso
nonché nei delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo
mafioso, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori» (cfr. Sez. 3, n. 8353 del 23/09/2014, dep. 2015, Trimarco, Rv.
262513).
Il presupposto interpretativo dal quale muove la difesa del ricorrente,
pertanto, risulta destituito di fondamento, dovendosi ribadire l’orientamento
ermeneutico consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, che già la
Corte territoriale aveva correttamente recepito nella sentenza impugnata,
secondo cui la mancanza di formale contestazione della circostanza aggravante
di cui all’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 – che è contemplata per i
delitti, punibili con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle

)(h

impugnata.

condizioni previste dall’art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare le
attività mafiose – è ostativa all’applicazione dell’attenuante speciale di cui al
successivo art. 8 (cfr. Sez. 2, n. 23121 del 29/04/2009, Nemoianni, cit.).
Questa attenuante speciale, dunque, è prevista esclusivamente a favore di
coloro i quali, nei delitti connessi alla sfera di operatività di un’organizzazione
mafiosa, si adoperano attivamente per evitare che l’attività delittuosa sia portata
a conseguenze illecite ulteriori (cfr. Sez. 3, n. 8353 del 23/09/2014, dep. 2015,
Trimarco, cit.).

l’esclusione dell’attenuante speciale di cui all’art. 8 del decreto-legge n. 152 del
1991 veniva giustificata – oltre che dalla condivisione dell’orientamento
giurisprudenziale richiamato da parte della Corte territoriale – sulla base di un
ulteriore argomento processuale, che rende incontrovertibile l’inapplicabilità al
caso in esame dell’attenuante invocata, costituito dall’inserimento dell’omicidio
del Nataloni in un contesto delittuoso inequivocabilmente estraneo alle
dinamiche della criminalità organizzata romana.
Si è detto, infatti, che il Perozzi decideva di uccidere il Nataloni perché era
un tossicodipendente che ostacolava la gestione della sua bisca clandestina e
che, allo stesso tempo, la decisione di eliminarlo era finalizzata a prevenire
possibili vendette dopo il suo allontanamento dalla stessa bisca, che si era
verificato in un’occasione in cui la vittima era stata sorpresa a consumare
stupefacente all’interno di tale locale. Ne consegue che i fatti delittuosi oggetto
di contestazione risultano riconducibili a una vicenda connotata da dinamiche
esclusivamente private, che sfuggono alle logiche di dominio territoriale e di
omertà diffusa, quali strumenti di controllo delle attività criminali strutturate,
tipiche della criminalità organizzata.
Tale passaggio argomentativo veniva esplicitato in termini motivazionali
ineccepibili a pagina 8 del provvedimento in esame, laddove la Corte territoriale
affermava: «Non ci si trova, dunque, al cospetto di uno scontro per il controllo
del territorio e nemmeno ad un “regolamento dei conti” fra strutture criminali
organizzate, ma alla ritorsione attuata nei confronti di un elemento isolato la cui
presenza poteva pregiudicare gli affari di un altro elemento inserito, sì, in un
contesto delittuoso, ma al di fuori da qualunque logica sussumibile sotto il
predicato di “mafiosità”. Né valgono a confutare queste argomentazioni gli spunti
investigativi consacrati dalle indagini immediatamente successive all’omicidio, e
richiamati dalla difesa […]». tee,

f

umictre

Ne discende conclusivamente aimialub.–.~ della doglianza difensiva
proposta nell’interesse del Piras, che non può trovare accoglimento sulla base

A tutto questo occorre aggiungere che, nel provvedimento impugnato,

delle argomentazioni esplicitate dalla Corte territoriale, che devono ritenersi
pienamente condivisibili.

2. Per queste ragioni processuali, il ricorso proposto nell’interesse di
Gabriele Piras deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 gennaio 2016.

P.Q.M.

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