Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29937 del 13/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29937 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORNONI ANTONIO VINCENZO N. IL 01/04/1957
avverso la sentenza n. 79/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
03/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PALMA TALERICO
Udito il Procuratore Generale in persona del-Dott.
che ha concluso per 1.2 Ict o
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e

Udito, per la parte civile, l’Avy,/
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 13/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 22 maggio 2012, il Tribunale di Brescia, all’esito del
giudizio dibattimentale, aveva dichiarato Fornoni Antonio Vincenzo responsabile del delitto
di lesioni aggravate dall’uso dell’arma (art. 582 e 585 del codice penale) in danno di
Bucheariu Cornelia Nicoleta (capo A della rubrica) – così riqualificata l’originaria imputazione
di omicidio tentato aggravato dalla premeditazione – nonché del reato di porto ingiustificato
di una mazza da baseball e di un coltello con lama di 19 cm. (capo B della rubrica) e,

continuazione, alla !iena di anni quattro di reclusione; aveva, altresì, applicato all’imputato
la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Secondo la citata pronuncia, il Fornoni doveva essere ritenuto responsabile unicamente
dell’aggressione posta in essere in danno della persona offesa all’interno dell’abitacolo
dell’autovettura dello stesso; e ciò sulla base delle stesse ammissioni dell’imputato, il quale
aveva riferito in sede di interrogatorio di convalida di avere effettivamente colpito la giovane
donna – dopo averla neutralizzata spruzzandole negli occhi uno spray urticante – con una
mazza da baseball e poi di averla ferita con un coltello, nonché dei rilievi effettuati
nell’autovettura – nella quale erano stati rinvenuti il coltello e la bomboletta spray e dove
erano state rilevate tracce ematiche riconducibili alla persona offesa – oltre che delle
testimonianze rese dai testi Chito e Barcella – i quali avevano appreso il fatto dalla persona
offesa, e dei risultati della consulenza medico legale, che avevano consentito di formulare
un giudizio di compatibilità fra l’oggettività delle lesioni riscontrate sul corpo della giovane e
i mezzi e le modalità della riferita aggressione subita dalla medesima.
Il Tribunale, invece, non riteneva raggiunta la prova in ordine al successivo tentativo di
investimento che il Fornoni avrebbe posto in essere nei confronti della Bucheariu, allorché,
dopo l’aggressione fisica, costei era riuscita a scendere dall’autovettura; tale circostanza
era, infatti, emersa, unicamente, dalle generiche dichiarazioni della donna, che, essendo
entrate a far parte della piattaforma probatoria con il meccanismo di cui all’art. 512 bis del
codice di rito e potendosi adombrare il dubbio di una volontaria sottrazione della testimone
al contraddittorio processuale, andavano valutate ai sensi dell’art. 526, comma 1 bis, stesso
codice e, quindi, richiedevano la presenza di riscontri non “potendosi interpretare
univocamente, nel senso inteso dall’accusa, il rinvenimento della vettura in precario
equilibrio sul ciglio stradale a fronte delle scritte proclamazioni suicide dell’imputato”.
Delineata la condotta posta in essere dal Fornoni negli indicati limiti, il primo giudice
escludeva che la stessa fosse sorretta da animus necandi e, quindi, la riqualificava in termini
di lesioni aggravate.

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conseguentemente lo aveva condannato, unificati gli stessi sotto il vincolo della

2. Decidendo sull’appello proposto dalla Procura della Repubblica di Brescia – con cui era
stata censurata la riqualificazione dell’originario addebito – nonché su quello proposto dalla
difesa in punto di trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale, con sentenza emessa il 3
febbraio 2015, procedeva a riqualificare il fatto contestato al capo A) della rubrica ai sensi
degli artt. 56, 575 del codice penale, confermando nel resto l’impugnata decisione;
condannava, quindi, il Fornoni alla pena di anni sette, mesi uno di reclusione e applicava al
predetto le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione

La Corte territoriale, dopo avere premesso che il dato probatorio risultante dalle
dichiarazioni predibattimentali rese dalla persona offesa era stato legittimamente acquisito
al processo e che lo stesso era pienamente utilizzabile sul piano processuale (l’ordinanza
con la quale il Tribunale aveva dato ingresso a tale portato dichiarativo non era stata
censurata dalla difesa dell’imputato con i motivi di appello), riteneva che “l’unico parametro
valutativo adottabile non poteva che essere quello della verifica di elementi di riscontro alla
ricostruzione offerta in sede di indagini dalla persona offesa”; e affermava – per quanto qui
rileva – che il tentativo di investimento da parte del Fornoni della giovane donna,
dettagliatamente descritto dalla stessa nell’immediatezza dei fatti, trovava riscontro nel
concorde dichiarato delle due amiche della vittima, al quale si aggiungevano due rilevanti
dati (la posizione di quiete dell’autoveicolo del Fornoni rinvenuto “a scavalco di un muretto
delimitante un parcheggio e alto pochi centimetri” – incompatibile e dissonante con un
proposito di suicidio, avendo l’imputato stesso affermato di avere pensato di realizzare le
sue intenzioni suicide gettandosi con la vettura nel lago, che non era prospiciente a quella
zona – e l’assenza di segni di frenata e di scarrocciamento – che si ponevano, invece, in
termini di coerenza con il tentativo di investimento).
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, riteneva che gli elementi probatori raccolti
deponevano nel senso di una condotta idonea e diretta in modo non equivoco a cagionare a
morte della donna, evento non verificatosi per la reazione della vittima stessa, che,
dapprima si era difesa e, poi, era riuscita a uscire dall’abitacolo dell’autovettura, riparandosi
per sfuggire al tentativo di investimento, così evitando conseguenze ben più gravi.
Aggiungeva che “le caratteristiche dell’azione aggressiva consumata all’interno della
vettura […] sarebbero di per sé sole già più che sufficienti a dimostrare l’ animus necandi e
cioè la rappresentazione, come altamente probabile, dell’evento morte”: l’auto non poteva
che procedere a bassissima velocità essendo riuscita la persona offesa a scendere dalla
stessa senza riportare da ciò conseguenze; proprio il fatto che l’aggressione era avvenuta in
uno spazio angusto, nel quale la donna era seduta sul sedile accanto al’imputato, era
ulteriore dato rafforzativo, sul piano logico, della sussistenza del dolo omicidiario, essendo
evidente che la distanza molto ravvicinata tra l’agente e la vittima consentiva, da un lato, di
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legale durante l’esecuzione della pena.

colpire molto da vicino e, dall’altro, rendeva assai problematico sottrarsi alla violenza
esercitata sul capo; alle due mazzate alla testa era seguito immediatamente dopo l’uso del
coltello vibrato anche nella regione cervicale destra interessata da vasi venosi e arteriosi
posti al di sotto del tegumento e, dunque, idoneo a provocare la morte, ancorché
contraddistinto da una ridotta forza penetrante.
3. Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite
del suo difensore di fiducia, Mauro Moretti, denunciando i seguenti vizi:

provvedimento impugnato quanto alla qualificazione giuridica della condotta ascritta al
prevenuto e alla conseguente affermazione di responsabilità del medesimo (art. 606 lett. e
cpp)”: il citato difensore ha, innanzitutto, censurato la decisione della Corte territoriale di
attribuire rilievo all’intero complesso delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e acquisite
in dibattimento ai sensi dell’art. 512 bis del codice di rito, sia in relazione all’osservazione in
merito alla mancata proposizione di uno specifico motivo di gravame avverso l’ordinanza del
primo giudice con cui erano state acquisite dette dichiarazioni (ciò per l’evidente assenza di
qualsiasi interesse della difesa a proporre e a svolgere motivi rispetto a una determinazione
– quella di qualificare il fatto come lesioni aggravate – assunta in favor rei), sia in relazione
alla ritenuta sussistenza di esterne conferme al narrato della persona offesa.

3.1. “mancanza, contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del

…/(•44•y
Con riguardo a quest’ultima questione, il ricorrente ha osservato che la Corte territoriale
non avrebbe considerato che le dichiarazioni de relato “scontano lo stesso limite della loro
fonte, ossia di conferme esterne al fatto” e ha contestato il valore attribuito agli altri dati
fattuali – contraddetti dalla pur rilevata circostanza che l’auto procedeva a bassissima
velocità, censurando la motivazione anche nella parte in cui avrebbe ritenuto irrilevante la
dedotta capacità alla guida del Fornoni, tanto più che la mancata audizione della vittima non
avrebbe consentito di individuare l’esatta posizione in cui la stessa si trovasse nel momento
del presunto tentativo di investimento.
Ha, inoltre, censurato la decisione impugnata con riguardo alla qualificazione della
condotta in termini di tentato omicidio, evidenziando che nessuna argomentazione sarebbe
stata spesa con riguardo al ristretto spazio in cui l’aggressione si era consumata (all’interno
dell’abitacolo dell’autovettura in movimento condotta dall’imputato), con tutte le
conseguenze che ne sarebbero derivate sotto il profilo della forza con cui i colpi potevano
essere stati vibrati, dell’univoca traiettoria che gli stessi potevano seguire, della facilità con
cui la persona offesa poteva difendersi, avendo entrambe le mani libere, nonché alla
circostanza che la giovane donna non sarebbe stata mai in pericolo di vita e che le ferite
riportate erano del tutto superficiali e di poca rilevanza.

3.2. “Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 62 bis cp per la mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche (art. 606 lett. b cpp)”: il ricorrente ha censurato la
motivazione della Corte nella parte in cui avrebbe ritenuto che il comportamento
processuale del Fornoni – che, oltre ad ammettere la propria responsabilità per
l’aggressione avvenuta nell’abitacolo dell’autovettura, si era consegnato spontaneamente
all’A.G. e aveva dimostrato preoccupazione per le condizioni della vittima – non fosse
positivamente apprezzabile per avere costui negato il tentativo di investimento della
persona offesa, finendo con attribuire alle dichiarazioni di quest’ultima, non supportate da

concreti elementi esteriori, assoluta rilevanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esplicitate.
2. Con riguardo al primo motivo di ricorso, va preliminarmente osservato che del tutto
inconferente è il rilievo – per la verità affatto generico – circa l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni predibattimentali della persona offesa acquisite mediante lettura dal Tribunale
di Brescia, che aveva, correttamente, reputato sussistenti i presupposti normativi di cui
all’art. 512 bis cod. proc. pen. – per due importanti considerazioni.
Intanto, il Fornoni – che ha sempre ammesso di avere posto in essere la condotta
violenta all’interno dell’autovettura nei termini indicati tanto nella sentenza di primo grado
che in quella di secondo grado – a fronte dell’appello proposto dal pubblico ministero sulla
qualificazione giuridica del fatto, nel quale si censurava la decisione del primo giudice in
merito alla valorizzazione delle dichiarazioni della persona offesa con riguardo al riferito
tentativo di investimento da parte dell’imputato, avrebbe dovuto, comunque, prospettare al
giudice di tale grado, mediante memorie, atti, dichiarazioni verbalizzate, gli elementi a sé
favorevoli (principio questo affermato dalla giurisprudenza della corte di cassazione; cfr.
Cass. SS.UU. 30.10.2003, n. 45276, RV 226093; Cass. Sez. 6, 4.6.2014, n. 39911, RV
261586).
Inoltre, è doveroso sottolineare che il giudice di appello, sebbene abbia ritenuto provato
– contrariamente a quello di primo grado – il segmento di condotta relativo al tentativo di
investimento da parte del Fornoni della donna, una volta che costei si era sottratta
dall’azione violenta posta in essere dall’imputato all’interno dell’autoveicolo, ha ritenuto che,
comunque, “le caratteristiche dell’azione aggressiva consumata all’interno della vettura”
sono “di per sé sole già più che sufficienti a dimostrare l’

aninus necandi e cioè la

rappresentazione, come altamente probabile, dell’evento morte”.
Tale rilievo è, dunque, assorbente, avendo la Corte territoriale attribuito a tale parte della
condotta – riconosciuta nella sua oggettività dallo stesso Fornoni – l’inequivoca idoneità a
5

or
….,
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cagionare la morte della Bucheraiu, attraverso logico giudizio fattuale, incensurabile in
questa sede.
A tal fine, ha fatto riferimento alla peculiare natura dei mezzi usati in sequenza per
colpire la vittima (la mazza da baseball e il coltello), che era stata stordita o, comunque,
parzialmente neutralizzata con un liquido irritante che l’imputato le aveva spruzzato negli
occhi; alla reiterazione dei colpi (numerosi sia con l’uno che con l’altro strumento); alle zone
corporee effettivamente attinte (il capo e, quanto alle coltellate, la regione cervicale

nell’abitacolo dell’autovettura, che consentiva all’agente di colpire molto da vicino e rendeva
molto problematico per la vittima sottrarsi a tale violenza; e ha ritenuto che detti elementi
hanno sicuro valore sintomatico per ritenere che l’imputato abbia agito quantomeno con
dolo alternativo prevedendo e volendo con scelta sostanzialmente equipollente la morte o il
ferimento della vittima.
Il denunciato vizio di “mancanza – contraddittorietà della motivazione” quanto alla
qualificazione giuridica della condotta, da intendersi, più propriamente, come censura, di
tipo logico, al ragionamento giustificativo del giudice sul punto, è del tutto destituito di
fondamento.
Le osservazioni del ricorrente, infatti, non scalfiscono l’impostazione della motivazione e
non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa; nella sostanza, esse svolgono
considerazioni in fatto, tendenti a sostituire la logica motivazione del giudice di merito con
argomentazioni di tipo diverso.
2. Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva che non vi è violazione di legge sia
sotto il profilo dell’inosservanza che dell’erronea applicazione, in quanto la decisione ha
correttamente applicato la norma di cui all’art. 62 bis cod. pen. come interpretata dalla
giurisprudenza di questa Corte.
Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, infatti, “ai fini della concessione o del
diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in
esame quello tra gli elementi indicati nell’articolo 133 cod. pen., che ritiene prevalente e
atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e anche un solo elemento che attiene
alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può
essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse” (Cass. Sez. sez. 2, 18
gennaio 2011, n. 3609, RV 249163; conformi: Cass. Sez. 2, 16 gennaio 1996, n. 4790, RV
204768; Cass. Sez. 2, 27 febbraio 1997, n. 2889, RV 207560).
Peraltro, al di là dell’indicazione formale del vizio denunciato con tale motivo, si osserva
che la sentenza impugnata ha, con ragionamento non manifestamente illogico, spiegato le
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destra); alla posizione molto ravvicinata dell’imputato alla persona offesa, aggredita

ragioni per le quali il Fornoni non era meritevole della concessione delle circostanze
attenuanti generiche, facendo riferimento alla gravità del fatto, qualificato come “brutale
aggressione nei confronti di un soggetto inerme che riponeva nell’imputato ampia fiducia in
ragione del rapporto d lavoro sino a quel momento improntato a correttezza e disponibilità”;
alle modalità della condotta, iniziata con la neutralizzazione della vittima attinta da spray
urticante e proseguita con l’uso di una mazza e, poi, di un coltello; alla elevata intensità del
dolo dimostrata dall’imputato e alla sua incapacità di contenere impulsi aggressivi e ai
precedenti penali del medesimo; e ha aggiunto che nessuna valutazione positiva poteva

circostanze risultate evidenti già dai primi accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 13 gennaio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

attribuirsi al comportamento processuale del Fornoni, che si era limitato ad ammettere

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