Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29936 del 13/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29936 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CAMPUS ENZO N. IL 02/07/1983
avverso la sentenza n. 255/2014 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
16/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/01/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CULO AJ (re- Li Lei ,5
che ha concluso per e

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Uditi difcncr A’.

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Data Udienza: 13/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 16.10.2014 la Corte d’appello di Cagliari ha ridotto ad
anni 2 mesi 8 di reclusione e C 1.100 di multa la pena inflitta a Campus Enzo dal
Tribunale di Oristano con sentenza emessa il 5.06.2013, confermando nel resto
la condanna pronunciata nei confronti dell’imputato per i reati, unificati in
continuazione, di ricettazione e detenzione illegale di una pistola Beretta cal. 9
corto, con matricola abrasa e perciò costituente arma clandestina, ascritti ai capi
A, B e C della rubrica, nonché di ricettazione di un compressore provento di

con la ricettazione della pistola.
I reati erano stati accertati a seguito della perquisizione eseguita dalla p.g. il
12.01.2011 nell’abitazione dell’imputato, il cui verbale (unitamente a quello di
sequestro) era stato acquisito sull’accordo delle parti; la Corte territoriale
riteneva legittima la perquisizione eseguita dalla p.g. di propria iniziativa sulla
scorta dell’informazione appresa da fonte confidenziale della presenza di armi a
casa del Campus, e valorizzava l’abrasione del contrassegno matricolare della
pistola, verosimilmente eseguita con una lima o un utensile similare e rilevabile
ictu ()culli a supporto della prova della clandestinità dell’arma e della conoscenza
della relativa circostanza da parte all’imputato, rilevando l’assenza di qualsiasi
allegazione giustificativa della provenienza della pistola (funzionante e pronta
all’uso, munita di caricatore contenente una cartuccia) e del compressore.
2. Ricorre per cassazione Campus Enzo, a mezzo del difensore, deducendo
cinque motivi di doglianza, coi quali lamenta:
– violazione degli artt. 13, 14, 111 Cost., 191 e 203 comma 1-bis cod.proc.pen.,
225 D.Lgs. n. 271 del 1989 in relazione all’art. 41 T.U.L.P.S., nonché vizio di
motivazione, con riguardo all’illegittimità della perquisizione che aveva condotto
al rinvenimento dei corpi dì reato, basata esclusivamente sulle informazioni
fornite da una fonte confidenziale non disvelata, in assenza di valida attività
investigativa, con conseguente inutilizzabilità della prova acquisita in violazione
di un divieto di legge;
– violazione degli artt. 42 e 43, in relazione all’art. 648, cod. pen., nonché degli
artt. 530 e 533 del codice di rito e vizio di motivazione, con riguardo alla ritenuta
consapevolezza della clandestinità della pistola e alla sussistenza dell’elemento
psicologico della ricettazione, a fronte della risalenza dell’arma al 1934, della
presenza sulla stessa di numerose sigle e numeri, della diffusione su tutta l’arma
delle abrasioni non limitate alla matricola, così da indurre il ragionevole
convincimento della loro ascrivibilità a vetustà e cattiva conservazione, e non a
una condotta illecita; il ricorrente contesta altresì la sussistenza del fine di
profitto, non adeguatamente motivato dalla sentenza impugnata, con riguardo ‘
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furto, originariamente contestato al capo D e unificato dal giudice di primo grado

tanto alla pistola che al compressore;
– violazione degli artt. 42 e 43, in relazione agli artt. 648 e 712, cod. pen., sotto
il profilo della ritenuta sussistenza del dolo anziché della colpa al momento della
ricezione dei beni costituenti i corpi di reato;
– violazione degli artt. 648 comma 2, 62 n. 6 e 62 bis cod. pen., nonché vizio di
motivazione, con riguardo al diniego delle relative circostanze attenuanti, pur
essendo stata la pena determinata a partire dal minimo edittale previsto per la
ricettazione, nonché in relazione allo scarso valore dei beni, alle concrete

del compressore prima del giudizio mediante la corresponsione della somma
quietanzata di 200 euro, all’assenza di precedenti penali del Campus;
– violazione degli artt. 15, 84, 648 cod. pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967, 23
comma 3 legge n. 110 del 1975, 530 e 533 del codice di rito, nonché vizio di
motivazione, con riguardo all’assenza di consapevolezza della provenienza
delittuosa della pistola e all’omessa motivazione sull’assorbimento del delitto di
detenzione illegale in quello di detenzione clandestina dell’arma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.
2. I motivi di ricorso per cassazione si esauriscono, infatti, nella pedissequa
riproposizione delle medesime censure che avevano costituito oggetto delle
doglianze dedotte nei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, che
sono state riportate nelle prime sette pagine del ricorso, in tal modo risolvendosi
nella sollecitazione a questa Corte di un nuovo giudizio sulle identiche questioni
che sono già state esaminate e confutate – con motivazioni adeguate,
logicamente coerenti e giuridicamente corrette, con le quali il ricorrente omette
sostanzialmente di confrontarsi – dalla sentenza impugnata; si tratta perciò di
censure che presentano un’evidente natura aspecifica, discendente dall’assenza
di correlazione tra le ragioni argonnentative della sentenza gravata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, che integra una causa tipica di inammissibilità
del ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Rv. 253893).
Le doglianze sono inoltre manifestamente infondate, ponendosi in aperto
contrasto con principi di diritto risalenti e consolidati nella giurisprudenza di
questa Corte, coi quali il ricorrente evita qualsiasi reale confronto dialettico.
3. In particolare, con riguardo al primo motivo di doglianza, occorre ribadire il
principio di diritto, correttamente applicato dalla Corte territoriale, secondo cui la
polizia giudiziaria è certamente legittimata a compiere, sulla base di notizie
apprese in via confidenziale, perquisizioni di propria iniziativa in caso di sospetto
di illecita detenzione di armi, in forza del disposto dell’art. 41 del T.U.L.P.S. (Sez.
4 n. 38559 del 6/10/2010, Rv. 248837); anche una denuncia irrituale, che debba

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circostanze del fatto, all’integrale risarcimento del danno patito dal proprietario

essere considerata alla stregua di una denuncia anonima e i cui contenuti non
siano perciò utilizzabili come fonte di prova, quale è quella rappresentata dalle
informazioni di natura confidenziale, è idonea, infatti, a stimolare l’attività
investigativa della polizia giudiziaria al fine dell’assunzione di dati conoscitivi atti
a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l’enucleazione di una
notitia criminis suscettibile di essere approfondita con strumenti legali (Sez. Un.
n. 25932 del 29/05/2008, Rv. 239695) i cui risultati siano probatoriamente
utilizzabili, quale è la perquisizione che ha consentito di rinvenire e sequestrare

accertare i reati la cui fonte – legittima – di prova è dunque costituita dal verbale
di perquisizione e sequestro acquisito sull’accordo delle parti (pagina 2 della
sentenza impugnata).
4. Quanto alle censure, proposte nel secondo, terzo e quinto motivo di ricorso,
riguardanti la consapevolezza della clandestinità dell’arma e la sussistenza
dell’elemento psicologico della ricettazione, la Corte territoriale ha congruamente
valorizzato – con motivazione incensurabile in sede di legittimità – la circostanza
obiettiva della presenza sulla pistola di vistose abrasioni, di fattura artigianale
(realizzate con una lima o altro utensile similare), volte a celarne il contrassegno
matricolare, la cui immediata idoneità a rendere edotto il detentore della natura
clandestina dell’arma e della sua correlata origine delittuosa costituisce oggetto
di un giudizio di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, insuscettibile
di essere scalfito dalle argomentazioni di puro fatto svolte dal ricorrente in ordine
alla vetustà e alla cattiva conservazione della pistola come possibili cause
alternative delle alterazioni materiali riscontrate.
L’alterazione dell’arma integra dunque il delitto presupposto della ricettazione,
concorrendo con essa (Sez. 6 n. 45903 del 16/10/2013, Rv. 257387); la
sentenza impugnata ha, di conseguenza, fatto corretta applicazione del principio,
consolidato nell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, per cui il
possesso di un’arma recante la matricola abrasa fornisce di per sé la prova della
(relativa) ricettazione, in quanto la privazione del numero e dei contrassegni
previsti dall’art. 11 legge n. 110 del 1975 risulta chiaramente finalizzata a
impedire l’identificazione dell’arma, dimostrando così – in mancanza di elementi
contrari – il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della
relativa provenienza illecita (ex plurimis, Sez. 1 n. 39223 del 26/02/2014, Rv.
260347; Sez. 2 n. 33581 del 28/05/2009, Rv. 245229).
Più in generale, e con riguardo anche alla ricettazione del compressore di
provenienza furtiva, deve essere qui ribadito il principio di diritto, costantemente
affermato da questa Corte, secondo cui la mancata giustificazione del possesso
di una cosa proveniente da delitto è idonea a integrare la prova della conoscenza

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nell’abitazione dell’imputato l’arma clandestina da lui illegalmente detenuta e di

della sua origine illecita, in quanto rivelatrice di una volontà di occultamento
della provenienza della res logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede
(da ultime, Sez. 1 n. 13599 del 13/03/2012, Rv. 252285; Sez. 2 n. 41423 del
27/10/2010, Rv. 248718); la consapevolezza dell’origine delittuosa del bene
ricevuto non deve estendersi necessariamente alla precisa e completa
conoscenza delle circostanze di modo, di tempo e di luogo del reato presupposto,
potendo la prova dell’elemento psicologico richiesto dall’art. 648 cod. pen.
ricavarsi da fattori indiretti la cui coordinazione logica sia tale da dimostrare in

elementi considerati dall’art. 712 cod. pen., qualora i sospetti sulla provenienza
delittuosa della res siano così gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di
media levatura intellettuale, secondo la comune esperienza, la certezza che non
possa trattarsi di cosa avente legittima origine (Sez. 4 n. 4170 del 12/12/2006,
Rv. 235897; Sez. 2 n. 18034 del 7/04/2004, Rv. 22$797), in tal modo
escludendo in radice la natura colposa dell’acquisto.
Anche per quanto concerne il dolo specifico rappresentato dal fine di profitto
perseguito dall’agente, la sentenza impugnata ha fatto puntuale richiamo del
principio di diritto per cui il profitto della ricettazione – individuato nella
acquisizione della disponibilità di beni pronti all’uso, tra i quali una pistola
funzionante, munita di caricatore con cartuccia inserita – può avere anche natura
non patrimoniale (Sez. 2 n. 44378 del 25/11/2010, Rv. 248945).
5. Manifestamente infondata è anche la censura, dedotta nel quinto motivo di
ricorso, riguardante il mancato assorbimento della violazione degli artt. 2 e 7
legge n. 895 del 1967 in quella dell’art. 23 comma 3 legge n. 110 del 1975,
rispettivamente ascritte al Campus ai capi B e C della rubrica: il reato
di detenzione illegale di arma comune da sparo e quello di detenzione di arma
clandestina, infatti, incriminano condotte diverse e tutelano beni giuridici distinti,
costituiti nel primo caso dall’esigenza di porre l’autorità di pubblica sicurezza in
grado di conoscere tempestivamente l’esistenza di armi, i luoghi di custodia delle
stesse e l’identità delle persone che ne hanno la disponibilità, e nel secondo caso
dall’esigenza di prevenire ed eliminare la presenza sul territorio dello Stato di
armi prive dei numeri, dei contrassegni e delle sigle previste dalla legge e che, in
quanto tali, sono insuscettibili di controllo sulla loro provenienza, così come
ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 6 n. 45903 del 16/10/2013, Rv.
257386; Sez. 1 n. 5567 del 28/09/2011, Rv. 251821) con orientamento
consolidato, di cui è stata fatta corretta applicazione al caso di specie.
6. Le doglianze dedotte nel quarto motivo di ricorso, che lamentano il diniego
delle attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6, 62 bis e 648 secondo comma cod. pen.,
si limitano a formulare delle generiche censure di merito che omettono a loro
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modo inequivoco la malafede, ivi inclusi la natura e la qualità delle cose e gli altri

volta di confrontarsi con le puntuali motivazioni in forza delle quali la sentenza
impugnata ha ritenuto il Campus immeritevole del riconoscimento delle relative
circostanze attenuanti, valorizzando la gravità della condotta consistita nella
detenzione presso la propria abitazione di una pistola funzionante e pronta
all’uso e l’irrilevanza – dopo la modifica normativa introduttiva del terzo comma
dell’art. 62 bis cod. pen. – dell’incensuratezza dell’imputato, nonché
l’insufficienza della restituzione all’avente diritto, ad iniziativa della p.g., del
compressore provento di furto a integrare la condotta richiesta dall’art. 62 n. 6

dell’autosufficienza del motivo di gravame, della congruità della somma di 200
euro che sarebbe stata corrisposta al proprietario del bene); così che le relative
doglianze non superano, anche in questo caso, la soglia dell’ammissibilità.
7. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende
della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 1.000 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in data 13/01/2016

cod. pen. (mentre nessuna concreta giustificazione è stata allegata, ai fini

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