Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29930 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29930 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Sanderson William Richard, nato a Stockton on Tees, il 18/1/1952;

avverso la sentenza del 6/2/2013 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giuseppe
Volpe, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’appello di Lecce confermava la condanna di Sanderson William Richard per
il reato di minacce, provvedendo invece alla revoca della statuizioni civili adottate nel
primo grado di giudizio a seguito della ritenuta nullità dell’atto di costituzione di parte
civile.

Data Udienza: 27/05/2014

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando
cinque motivi con i quali contesta sotto diversi aspetti la tenuta logica e la completezza
della motivazione. In particola911 ricorrente deduce che la Corte distrettuale, ai fini della
valutazione sull’attendibilità della persona offesa, non avrebbe tenuto conto delle
discrasie tra la sua deposizione dibattimentale e il contenuto della denuncia presentata
dalla stessa (ed acquisita agli atti sull’accordo delle parti), nonché avrebbe
contraddittoriamente convenuto con la sentenza di primo grado sul difetto di riscontri

dovute conseguenze ai fini della menzionata valutazione. Sotto altro profilo si lamenta
il travisamento delle dichiarazioni del teste Lanzillotta, da cui pure la sentenza avrebbe
tratto il principale riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, nonché l’illogicità
dell’erezione a riscontro di quelle degli altri testimoni pur non avendo questi compreso,
per stessa ammissione della Corte, le frasi pronunziate in inglese dall’imputato. Ancora
il ricorrente eccepisce il difetto di motivazione o la contraddittorietà della medesima in
ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella della
provocazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2. Generiche risultano le doglianze riferite dal ricorrente alla valutazione di attendibilità
della persona offesa compiuta dalla Corte distrettuale. Il ricorso infatti non spiega in
alcun modo (limitandosi ad affermarlo) per quale motivo le asserite discrasie tra la
deposizione dibattimentale della stessa e la denuncia assumerebbero valenza decisiva
ai fini del menzionato giudizio, mentre, per quanto concerne l’ulteriore rilievo svolto in
proposito con il terzo motivo, è appena il caso di evidenziare come i giudici dell’appello
non abbiano escluso che l’imputato abbia mai mimato il gesto di tagliare la testa alla
persona offesa, ma hanno solo ritenuto – tenendo conto della conflittualità tra le parti che fosse necessario acquisire ulteriore riscontro alla dichiarazione sul punto resa dalla
medesima, in difetto del quale hanno considerato insufficiente la prova del fatto. In tal
senso dunque alcun effetto, sul piano della necessità logica, tale conclusione doveva
produrre sulla valutazione dell’attendibilità del racconto della donna per cui la Corte ha
ritenuto invece acquisiti tali riscontri.
3. Manifestamente infondata e comunque versata in fatto in quanto tesa a sollecitare
una inammissibile rivalutazione del compendio probatorio di riferimento da parte di
questa Corte è poi la censura relativa alla selezione come riscontro alle dichiarazioni
della persona offesa delle deposizioni di testimoni che non avrebbero compreso il senso
delle frasi pronunziate dall’imputato. E’ infatti evidente che la sentenza ha apprezzato

alla più grave delle minacce narrate dalla stessa parte lesa, senza peraltro trarne le

tali testimonianze in quanto confermative del fatto che il Sanderson aveva impegnato
la persona offesa in una accesa discussione e che lo stesso si era comportato in
maniera compatibile con quanto riferita da quest’ultima. Valutazione la cui tenuta
logica è fuori discussione e che dunque risulta insindacabile in questa sede.
4. Quanto invece al presunto travisamento della testimonianza del Lanzillotta il ricorso
rivela nuovamente il suo difetto di specificità.

all’art. 606 comma 1, lett. e) c.p.p. dalla I. n. 46/2006, abbia da tempo riconosciuto la
deducibilità del travisamento della prova, ammettendo che il vizio di motivazione
rilevante possa risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche “da
altri atti del processo”, purché siano “specificamente indicati nei motivi di gravame” (ex
multis Sez. 5 n. 18542 del 21 gennaio 2011, Carone, rv 250168). Ciò comporta, in
altre parole, che all’illogicità intrinseca della motivazione (cui è equiparabile la
contraddittorietà logica tra argomenti della motivazione), caratterizzata dal limite della
rilevabilità testuale, si è affiancata la contraddittorietà tra la motivazione e l’atto a
contenuto probatorio.
4.2 L’informazione “travisata” (la sua esistenza – inesistenza) o non considerata deve,
peraltro, essere tale da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Inoltre, la
nuova disposizione impone, ai fini della deduzione del vizio di motivazione, che ratto
del processo” sia, come già ricordato, “specificamente indicato nei motivi di gravame”.
Sul ricorrente, dunque, grava, oltre all’onere di formulare motivi di impugnazione
specifici, anche quello di individuare ed indicare gli atti processuali che intende far
valere (e di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati,
avrebbero dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle
forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione. In definitiva il
ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti
non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non
esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato
ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve,
invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento
fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o
del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su
cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in
modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo
profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del

4.1 Va infatti rammentato come questa Corte, alla luce delle modifiche apportate

provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, Rv.
249035)
4.3 Quanto alle condizioni per cui può ritenersi assolto l’onere di indicazione posto dalla
lett. e) dell’art. 606 c.p.p., si è altresì precisato che, qualora la prova omessa o
travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il
contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, giacchè così facendo viene
impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio

37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010,
Scuto ed altri, Rv. 248141).
4.4 Ed è proprio sotto quest’ultimo aspetto che la doglianza del ricorrente si rivela
inammissibile, avendo egli omesso di allegare nella sua interezza il verbale o la
trascrizione delle dichiarazioni del testimone.

5. Con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche le censure del
ricorrente si fondano su di un evidente paralogismo. L’esclusione dell’aggravante di cui
al secondo comma del menzionato articolo in forza della riconosciuta genericità della
minaccia non era, infatti, di ostacolo ad una valutazione della entità di tale
comportamento in relazione alla globalità delle condotte comunque riconducibili alla
fattispecie tipizzata dalla norma incriminatrice. Ed in tal senso la Corte distrettuale ha
fornito motivazione adeguata e logica sulle ragioni per cui ha negato le sumemnzionate
attenuanti facendo riferimento al complessivo comportamento tenuto dall’imputato.
Quanto infine all’attenuante della provocazione le lamentele del ricorrente si rivelano
oltre modo generiche ed assertive, essendo le stesse riferite a circostanze di cui
nemmeno viene indicata la fonte probatoria.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 27/5/2014

delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n.

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