Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29929 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29929 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIFONZO GERARDO N. IL 02/11/1968
avverso la sentenza n. 2476/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
16/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PALMA TALERICO
,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. f’ú4 uL Q.932._
(JAA. Q-1Uche ha concluso pere L ,,,,,,,Q52,0».„..ueb, _mute, k- ts 1A 0.1, 0 cu22,Q.,

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Udito, per la parte civile, PA
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 11/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 giugno 2014, la Corte di Appello di Bari confermava la pronuncia resa
dal Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Cerignola, del 16.1.2009, con cui Difonzo Gerardo
era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 9, comma 2°, della legge n. 1423/56,
per non avere osservato, in data 4 marzo 2007, le prescrizioni inerenti al provvedimento del
Tribunale di Foggia – Ufficio Misure di Prevenzione – in data 2.4.1998 di applicazione della
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune

osservato la prescizione di non rincasare la sera più tardi delle ore 20,00) e,
conseguentemente, lo condannava, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche,
alla pena di mesi otto di reclusione oltre al pagameto delle spese processuali.
2.

Secondo i giudici di merito, la responsabilità del prevenuto risultava dimostrata sulla base

dell’inequivoco contenuto degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e, più
specificatamente, alla stregua del contenuto della relazione di servizio redatta al momento del
controllo effettuato presso la sua abitazione e del tenore delle dichiarazioni testimoniali rese
dal verbalizzante, brigadiere Buonavita Savino, il quale aveva radicalmente escluso che
l’imputato fosse presente in casa al momento dell’accertamento medesimo.
3. Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del

di residenza al quale era stato sottoposto dal 31.12.2005 (in particolare, per non avere

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Difonzo, avvocato Francesco Santangelo, con atto depositato il 12 settembre 2014,
deducendo:
a) “violazione dell’art. 606 lett. b) cpp per erronea applicazione dell’at. 431 cpp”: il ricorrente

ha, in proposito, evidenziato che la Corte di Appello di Bari si sarebbe “limitata a ritenere
condivisibile la decisione del giudice di prime cure fondata oltre che sulla relazione di servizio
anche sulla deposizione del teste verbalizzante” e ha lamentato, quanto all’acquisizione della
suddetta relazione, la palese violazione dell’art. 431 del codice di rito; in particolare, ha
osservato che l’inserimento del verbale di un atto della polizia giudiziaria nel fascicolo per il
dibattimento – costituendo una deroga sia al principio di oralità che a quello del contraddittorio
nella formazione della prova – sarebbe consentito unicamente in alcuni casi quali il consenso
dell’imputato, la provata condotta illecita, la non ripetibilità dell’atto per accertata impossibilità
di natura oggettiva; che, nel caso di specie, la relazione di servizio non avrebbe potuto essere
acquisita al fascicolo dibattimentale e, quindi, la stessa sarebbe inutilizzabile ai fini della
decisione.
b)

“violazione dell’art. 606 lett. e) per mancanza o manifesta illogicità della motivazione

risultante dal testo del provvedimento impugnato”: il ricorrente ha lamentato, quanto al
contenuto della deposizione testimoniale resa dal brigadiere Buonavita Savino, che la Corte
territoriale si sarebbe limitata a riportare come il suddetto verbalizzante abbia radicalmente
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escluso che l’imputato fosse in casa al momento del controllo senza alcun vaglio critico né
argomentazione logica sufficiente a confutare le censure difensive proposte nell’atto di appello
relative alle circostanze che l’agente operante non avrebbe posto in essere alcuna attività al
fine di verificare la presenza effettiva dell’imputato in casa ovvero il corretto funzionamento
dell’impianto citofonico soprattutto in considerazione dell’ora tarda del controllo e della
concreta possibilita che il Difonzo non avesse udito, in piena notte, il suono del campanello; e
ha, altresì, censurato la decisione impugnata che non avrebbe congruamente e

particolare, in ordine alla consapevolezza da parte del Difonzo non solo degli obblighi impostigli
per effetto della condizione di sorvegliato speciale, ma anche della cosciente volontà da parte
del medesimo di non adempierli.
Ha concluso, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata ovvero declaratoria di
estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Risulta (e il rilievo è dirimente) che nel corso del dibattimento si è proceduto all’esame del
verbalizzante, brigadiere Buonavita Savino, il quale – come evidenziato nell’impugnata
sentenza – nel contraddittorio tra le parti, ha descritto l’attività svolta durante il controllo
effettuato presso l’abitazione dell’imputato, offrendo piena testimonianza (assolutamente
utilizzabile, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte; cfr. Cass. Sez. I, 11.1.2011, n.
5596, RV 249797) in ordine all’assenza da casa del Difonzo in quelle precise circostanze.
5. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Va, innanzitutto, premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste il vizio di
mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., quando le
argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento
siano prive di completezza; ciò significa che, per aversi mancanza di motivazione, deve
“mancare” del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice.
Deve, altresì, rilevarsi che, sempre secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il
vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della
decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella
motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la
conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare
l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro

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sufficientemente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato e, in

rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del
27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle
stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione
quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui
apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata,

dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica
dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta
immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della
motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del
23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono
consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez.1, Sentenza n. 1769 del
23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data
8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Deve pure considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle
parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di
merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità,
la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti
di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale
ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 31/01/2000, Rv. 215745;
Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già
sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l’art. 606 cod.
proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa “lettura” dei dati processuali o
una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non
risulta superata in ragione delle modifiche apportate all’art. 606, comma primo lett. e) cod.
proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta
attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti
istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione.
Ebbene, si deve in questa sede ribadire l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di
legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha
3

t.

valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,

un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente
procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il
significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non
può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso
per cassazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv.
233464).
Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il

riguardo all’affermazione di penale responsabilità.
Invero, il deducente non solleva censure che attingono il percorso argomentativo sviluppato
dalla Corte di Appello, ma si duole della mancata valorizzazione di determinati elementi di
fatto, omettendo di confrontarsi con il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di
Appello.
E preme evidenziare che i giudici del gravame si sono soffermati sul complessivo compendio
probatorio, sottolineando che il verbalizzante brigadiere Buonavita Savino, che aveva
proceduto al controllo del Difonzo, soggetto sottoposto alla misura di prevenzione della
sorveglianza speciale, “aveva radicalmente escluso che l’imputato fosse presente in casa al
momento del controllo”.
6. L’inammissibilità del ricorso impedisce la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta
prescrizione e determina la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, congruamente determinata nella misura
di C. 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C. 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 1’11 dicembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con

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