Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29927 del 10/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29927 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: NOVIK ADET TONI

Data Udienza: 10/12/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASCONE FRANCESCO N. IL 03/11/1976
avverso la sentenza n. 9/2014 CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 08/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

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RILEVATO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi con sentenza
del 10 dicembre 2013 in sede di giudizio abbreviato, unificati gli illeciti sotto il
vincolo della continuazione ed applicata la diminuente del rito prescelto, ha
condannato Francesco Ascone alla pena dell’ergastolo per gli omicidi aggravati
dai motivi futili di Borgese Francesco, Borgese Antonino (cl. 1985), Borgese
Remo (capo 1), per il tentato omicidio di Borgese Antonino (cl. 1983, capo 2),
per i connessi reati in materia di detenzione e porto illecito in luogo pubblico

aperto alla pubblico di colpi di arma da fuoco (capo 4). Ha applicato ad Ascone le
sanzioni accessorie e lo ha condannato al risarcimento dei danni in favore della
parte civile, cui ha assegnato una provvisionale. Ha disposto la confisca e la
distruzione del materiale balistico in sequestro.
Il Giudicante ha negato la concessione delle attenuanti generiche per la
gravità della condotta e per il comportamento processuale improntato a
mendacio ed all’inquinamento delle prove.

2. La corte di assise di appello di Reggio Calabria con sentenza emessa 1’8
luglio 2014 ha confermato la decisione di primo grado.

3. Secondo la concorde ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, il
28 agosto 2012 dopo la mezzanotte la polizia di Gioia Tauro era stata avvisata
degli omicidi di Francesco Borgese e Antonino Borgese cl. 1985, i cui corpi
giacevano nella piazzetta di Contrada Spina, in agro del comune di Rizziconi.
Altre due persone, Remo Borgese, che decederà poco dopo, e Antonino Borgese
cl. 1983 erano stati trasportati in ospedale. Il cadavere di Antonino Borgese cl.
1985 era stato spostato da chi aveva prestato i primi soccorsi. Nel corso del
sopralluogo del 29 agosto 2012 venivano trovati sette bossoli di pistola calibro 9
x 21 a poca distanza gli uni dagli altri. Sui corpi degli uccisi venivano trovate
particelle peculiari dello sparo, indicative della brevissima distanza delle vittime
dall’esplosione dei colpi mortali.
3.1. Le indagini si orientavano verso la persona di Francesco Ascone sia per
l’esame del telefono cellulare di Francesco Borgese, da cui emergevano sette
tentativi di chiamata tra le 23.44.35. e le 23.58.21. ed altri dopo la mezzanotte,
nonché due conversazioni della durata rispettivamente di 21 (alle 00.12.57.) e di
sei secondi, sia dalle dichiarazioni di Antonino Borgese cl. 1983, che riferiva di
essere stato chiamato dal cugino Francesco che gli aveva chiesto di raggiungerlo
in Contrada Spina perché quella sera stessa tale Franco lo aveva picchiato.
Giunto sul posto, Antonino Borgese cl. 1983 si era avvicinato ai parenti e aveva

dell’arma utilizzata per commettere i reati (capo 3), per esplosione in luogo

sentito uno dei cugini parlare con qualcuno al telefono dicendogli che lo stava
aspettando in Contrada Spina. Il dichiarante si era allontanato per espletare un
bisogno fisiologico e, mentre stava tornando dai congiunti, aveva sentito il
rumore di un’autovettura con motore diesel che si fermava, una portiera che si
apriva e, in successione, una raffica di colpi, uno dei quali lo aveva colpito alla
spalla. Due testimoni che si trovavano sul posto, Giovanni De Raco e Antonino
Condello, ritenuti reticenti e per questo nel prosieguo indagati, riferivano solo di
aver sentito colpi di arma da fuoco.

giurata volontaria, evidenziava una sua partenza improvvisa e il rinvenimento di
un pantalone sporco di terra macchiato di presunta sostanza ematica, nonché un
borsello con all’interno due cartucce per pistola calibro 22, mentre una terza
cartuccia si trovava accanto. Sui pantaloni e sul marsupio erano rinvenute
particelle caratteristiche di sparo.
3.3. Il 31 agosto 2012, in località Ciambra di Gioia Tauro, veniva trovata
l’autovettura Fiat Punto nella disponibilità di Ascone che presentava la fiancata
attinta da segni riconducibili a pallini esplosi da arma lunga. All’interno
dell’autovettura veniva trovato un pallino da caccia n. 10 di piccole dimensioni.
Nello stesso giorno la polizia effettuava un nuovo sopralluogo nella piazzetta
di Contrada Spina e, nelle adiacenze del luogo di rinvenimento del corpo di
Antonino Borgese cl. 1985, rinveniva una borra in plastica appartenente ad una
cartuccia calibro 12 e quattro frammenti di piombo n. 9, dissimili quindi rispetto
a quelli trovati nella Fiat di Ascone.
3.4. Ascone si costituiva l’1 settembre 2012 e consegnava un pantalone ed
una maglietta, lavati e stirati, asserendo che erano quelli indossati la sera del 28
agosto. Riferiva che quella sera aveva avuto un litigio per banali motivi con
Francesco Borgese -questi era entrato con l’auto nel suo cortile e parlava al
telefono ad alta voce disturbando: alla sua richiesta dì non fare chiasso aveva
risposto con una frase offensiva- al quale aveva dato due schiaffi.
Successivamente, aveva saputo dalla cognata Rosa De Maria di essere stato
cercato da quattro o cinque persone, tra cui Antonino Borgese e di aver ricevuto
numerose telefonate; tale “Nino di Remo” lo aveva invitato a recarsi nella
piazzetta di Contrada Spina. Ascone, pur sapendo dell’indole violenta dei
Borgese, aveva accettato l’invito e, munitosi di un’arma, asseritamente trovata a
Caltanissetta un mese prima, si era recato sul posto. Appena sceso dall’auto era
stato fatto oggetto di due colpi di fucile, provenienti dalla campagna circostante,
che lo avevano colpito. Si era gettato per terra e, visto che i Borgese venivano
verso di lui e uno di essi gridava “ammazzalo, ammazzalo”, aveva estratto la
pistola e fatto fuoco contro di essi. Ascone mostrava al PM una ferita sul braccio
2

3.2. La perquisizione disposta nell’abitazione di Francesco Ascone, guardia

destro e ulteriori ferite sul dorso. Affermava di non avere dimestichezza con le
armi, anche se aveva il permesso per usare il fucile da caccia e qualche volta si
era allenato al poligono con la pistola. Negava di aver tentato di chiamare o di
aver parlato per telefono con i Borgese prima del loro incontro (circostanza
risultata non vera in quanto dai tabulati erano emersi due tentativi di chiamata e
due colloqui).
3.5. Il primo giudice fondava la dichiarazione di responsabilità sui seguenti
elementi:

secondo momento, dopo un colloquio in carcere con Ascone, la teste aveva
affermato di aver assistito al litigio di questi con Borgese Francesco; di essere
stata richiesta dai Borgese di dove si trovasse il cognato, al quale aveva
telefonato invitandolo a non recarsi in Contrada Spina; di aver sentito di li a poco
due spari seguiti da altri colpi di arma da fuoco. Nel colloquio in carcere del 4
settembre, si era delineata la strategia difensiva di invocare la legittima difesa ed
erano state pronunciate frasi, testualmente riportate, da cui si desumeva che si
era cercato di alterare lo stato dei luoghi collocando i frammenti di pallini;
– la consulenza medico legale sui segni di ferita su Ascone (6 rispetto agli 8
riscontrati dalla polizia scientifica) redatta dal professor Ricci, aveva concluso
che, in relazione ai diversi stadi del processo di rigenerazione, essi erano
collocabili in tempi diversi e non erano compatibili con un colpo d’arma da fuoco
a carica multipla, sia per la mancata ritenzione di pallini sia per la loro
collocazione anteriore e posteriore;
-nessuna traccia di sangue era stata rinvenuta sui diversi pantaloni
rinvenuti, né sulla spalliera della Fiat Punto con la quale era scappato;
– sul pantalone consegnato non vi erano particelle di sparo, a differenza
invece di quanto rinvenuto sui pantaloni e sul marsupio trovati in casa;
– i pallini trovati sul luogo erano esigui rispetto a quelli contenuti in una
cartuccia; vicino alla Fiat non erano stati trovati pallini; sul luogo del delitto era
stata trovata una borra e non, in relazione al numero dei colpi esplosi, due;
– il rinvenimento della borra e dei pallini era sospetto in quanto non reperiti
nel corso del primo sopralluogo; inoltre il calibro era utilizzato per la piccola
cacciagione e non era compatibile con un agguato alla persona;
– era incomprensibile il motivo per cui gli ignoti sparatori si fossero limitati a
sparare un solo colpo e non fossero intervenuti in aiuto dei Borgese, ed era
illogico che Ascone avesse sparato verso questi ultimi e non verso i suoi
aggressori.
3.6. Il primo giudice respingeva le tesi della legittima difesa per
insussistenza dell’agguato e, comunque, per essersi Ascone posto
3

– le dichiarazioni rese da Rosa De Maria non erano attendibili: solo in un

volontariamente in stato di pericolo, e quella della provocazione perchè aveva
accettato la sfida. Riteneva la sussistenza dei motivi futili per la sproporzione tra
il fastidio ricevuto dai Borgese e la reazione.

4. La corte di assise di appello nel disattendere ì motivi di gravame proposti
dalla difesa dell’imputato confermava la ricostruzione del fatto nei termini
indicati dal primo giudice:
– le lesioni riportate da Ascone erano di tipo escoriativo e, per la collocazione

colpi esplosi da due fucili, che comunque avrebbero determinato la ritenzione dei
pallini. Era verosimile che in precedenza Ascone fosse stato vittima di un
agguato mentre si trovava a bordo della Fiat, riportando quelle lesioni che, come
accertato dal consulente, erano in fase di avanzata rigenerazione; inoltre, non vi
era corrispondenza tra le sfilacciature (3) riscontrate sulla maglietta indossata da
Ascone e le lesioni (4), considerando che il medesimo aveva dichiarato dì essersi
immediatamente buttato per terra, circostanza che faceva venir meno la tesi
difensiva di un arrotolamento della maglietta;
– le vittime si trovavano a distanza ravvicinata rispetto allo sparatore, come
era dimostrato dal rinvenimento delle particelle di sparo sulle mani di Francesco
Borgese e di Antonino Borgese, e questo escludeva l’agguato; lo stesso imputato
aveva ammesso che i Borgese erano disarmati;
-era ininfluente la provenienza delle particelle da sparo sui pantaloni e sul
marsupio sequestrati ad Ascone, dal momento che non era contestato che fosse
stato lui a sparare ai Borgese;
-le telefonate intercorse, tra cui i due tentativi di chiamata effettuati da
Ascone, dimostravano che questi aveva accettato la sfida e lo stesso aveva
ammesso di avere dimestichezza con le armi;
-era inverosimile che i Borgese avessero predisposto un agguato, in quanto
gli ignoti sparatori, per la posizione in cui si trovavano, rischiavano di colpire gli
stessi Borgese.
In questo senso, anche per la corte distrettuale era escluso che ci fosse
stato un agguato e non era ipotizzabile una situazione di legittima difesa.
4.1. La corte prendeva in esame anche il caso della verosimiglianza delle
difese di Ascone. Dando per ammesso l’esistenza del contrasto tra Ascone ed i
Borgese e l’intenzione di questi di vendicarsi del comportamento dal primo
tenuto nei confronti di Francesco Borgese, era certo che Ascone avesse accettato
la sfida lanciatagli e si era mosso con l’intento aggressivo. Atteggiamento questo
dimostrato sia dal numero dei colpi esplosi verso i contendenti, diretti al
bersaglio grosso ed in parti vitali senza cercare di sparare in aria o di colpire
4

in zona anteriore e posteriore del braccio destro, non erano compatibili con i

parti non vitali, sia dalla circostanza che egli aveva esploso i colpi non verso
coloro che gli avevano sparato contro, ma verso gli altri. In proposito, la corte
condivideva il giudizio di primo grado anche sul punto della esclusione delle
scriminanti, sia nella forma reale che in quella putativa, nonché delle ipotesi di
un eccesso colposo o di omicidio preterintenzionale.
4.2. Rigettava altresì i motivi di appello fondati sul riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche e sull’esclusione dell’aggravante dei motivi
futili, ancorati questi ultimi sulla volontà di affermare il proprio prestigio e la sua

5. Avverso l’anzidetta pronuncia i difensori di Ascone hanno proposto
ricorso per cassazione -corredato dagli atti processuali in esso richiamati-,
affidato alle ragioni di censura di seguito indicate, che si vanno ad esporre
sinteticamente, nei termini prescritti dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc.
pen., ossia nei limiti strettamente necessari per la decisione.
5.1. Con il primo motivo, articolato in più punti, i difensori deducono la
nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della
motivazione. Il giudice di secondo grado aveva aderito alla ricostruzione del
primo giudice congetturalmente tesa a dimostrare l’inquinamento probatorio,
senza rispondere ai rilievi critici formulati con l’atto di appello. Concentrando
l’esame ai temi trattati dal giudice di secondo grado, i difensori contestano:
I- le conclusioni della consulenza Ricci. Riportato per esteso il motivo di
appello sul punto e le diverse conclusioni del proprio consulente Dott. Lista
secondo cui le lesioni riportate da Ascone erano per meccanismo di produzione,
sede, numero, profondità, estensione, cicatrizzazione compatibili con l’agguato
subito (i due colpi erano stati esplosi da diverse direzioni ed avevano attinto la
persona anche di rimbalzo sulla lamiera dell’autovettura), secondo i difensori, il
professor Ricci era giunto alle conclusioni rassegnate, non per negligenza o
imperizia, ma per non aver avuto a disposizione dati e documenti essenziali,
quali il verbale di sequestro dei pallini da caccia e della borra e i verbali di
interrogatorio dell’imputato; le consulenze balistiche avevano dimostrato
l’idoneità delle armi utilizzate a cagionare la morte di Ascone;
H- la sentenza di appello sorprendentemente aveva taciuto sul punto della
compatibilità delle lesioni con quelle prodotte da arma da fuoco a carica multipla
ed aveva introdotto un argomento congetturale fondato sulla possibilità che
Ascone fosse stato oggetto di un attentato in epoca antecedente al 28-29 agosto
2012;
III- l’asserito inquinamento probatorio:

5

capacità di sopraffazione, anche da solo, di personaggi pericolosi .

a) per quanto attiene il rinvenimento dei pallini e della borra, sempre con
richiamo al corrispondente motivo di appello ed alle osservazioni del consulente,
i difensori ascrivono a plurimi motivi l’esiguità del numero: l’intervento delle
persone sopraggiunte, che possono aver alterato lo stato dei luoghi; il contesto
notturno in cui sono state svolte le indagini della polizia; la dispersione dei pallini
e della seconda borra nelle campagne circostanti; il rimbalzo dei pallini che
avevano colpito l’autovettura. La difesa evidenzia un riflesso su una fotografia
che ascrive alla presenza di un pallino;

non era anomalo che i colloquianti avessero parlato delle strategie difensive
fondate sulla legittima difesa e la “improvvida dichiarazione” di Rosa De Maria
stava solo di indicare che avevano osservato lo svolgersi delle ispezioni dei
luoghi mentre stava diluviando;
c) la maglietta non presentava la sfilacciatura corrispondente al quarto foro
d’ingresso del pallino solo perché, quando Ascone si era piegato verso il basso, la
maglietta si era arrotolata, fatto questo normale per un soggetto corpulento
come lui;
d) la corte di assise di appello aveva affermato l’inconducenza e l’ininfluenza
delle indagini sulle particelle da sparo rinvenute sui pantaloni e sul marsupio
sequestrati ad Ascone. Nelle articolate difese proposte con i motivi nuovi,
interamente riportati, la difesa aveva dimostrato che le particelle trovate sul
marsupio derivavano dalle munizioni in esso contenute e che quella trovata sui
pantaloni era da contatto; sui pantaloni non erano state trovate macchie di
sangue e, anche se fosse stato provato che Ascone li indossava al momento della
sparatoria, questo dato non era rilevante per il processo, dal momento che
l’imputato aveva reso confessione: non vi era stato quindi inquinamento;
IV- I due contatti telefonici parlati e quelli tentati erano privi di valenza
accusatoria e doveva riconoscersi la possibilità a chi era vittima di un agguato di
difendersi;
V- nella relazione di servizio del 21 settembre 2012 la stessa polizia di
Stato, all’esito delle indagini, aveva accreditato la tesi dell’agguato, richiamando
una fonte confidenziale che aveva ricostruito l’episodio in questi termini. Aveva
perciò denunciato Borgese Antonino, in concorso con Borgese Remo, Borgese
Francesco e Borgese Antonino, per tentato omicidio ai danni di Ascone, e
Condello e De Raco per favoreggiamento;
VI- la sentenza di appello aveva omesso ogni valutazione sulle due persone
presenti in Contrada Spina, Condello e De Raco: quest’ultimo era stato indicato
nell’informativa come uno degli autori; l’altro aveva reso una deposizione
coincidente con la versione difensiva.
6

b) il contenuto del colloquio captato era stato erroneamente interpretato:

5.2. Con il secondo motivo viene dedotta nullità della sentenza per erronea
interpretazione ed applicazione della legge penale in relazione agli artt. 52, 55,
59, 62 n. 2, 61 n. 1, 62 bis cod. pen.
5.2.1. Ascone si era difeso da un agguato ed aveva sparato contro coloro
che gli stavano venendo contro dicendo “ammazzalo, ammazzalo”. I Borgese
erano disarmati e non vi era stata quindi una sfida; mancando una sfida non era
pensabile che Ascone si fosse armato per “giustiziare” i Borgese ed incappare
così nei rigori della giustizia. Ascone aveva dichiarato di essersi recato

stato attinto alle spalle da due colpi di fucile verso coloro che gli venivano
contro, ipotizzando che fossero armati. Ricorreva la scriminante della legittima
difesa, anche nella forma putativa, ovvero un eccesso colposo.
5.2.2. Nei fatti, comunque, era riscontrabile la provocazione, individuata non
già nel precedente litigio nel cortile, ma nell’agguato e nell’atteggiamento
aggressivo del gruppo.
5.2.3. Non era riconoscibile l’aggravante dei motivi futili perché non era
stata individuata con certezza la reale spinta a delinquere.
5.2.4. Il giudice di appello aveva negato le attenuanti generiche con
motivazione apparente, non tenendo in conto l’incensuratezza dell’imputato ed il
suo comportamento processuale collaborativo, in relazione alla costituzione
spontanea e alla scelta del rito abbreviato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, al limite dell’inammissibilità, è infondato e va respinto. Le
censure proposte con il primo motivo, oltre che essere fortemente orientate
verso un non consentito riesame del merito, sono in larga misura meramente
reiterative delle stesse questioni sollevate in appello e motivatamente disattese
dai giudici del grado, senza che i relativi apporti argomentativi abbiano poi
formato oggetto di una significativa critica impugnatoria. Ed invero, le doglianze
ivi articolate sono diverse da quelle consentite nella parte in cui non sono volte
ad evidenziare violazione di legge o mancanze argomentative e illogicità
percepibili ictu oculi della sentenza impugnata, bensì mirano a sollecitare un
improponibile sindacato sulle scelte valutative della corte di assise di appello,
strettamente ancorate a una completa e approfondita disamina delle risultanze
processuali, nel rispetto delle regole di cui all’art. 192 cod. proc. pen.
È necessario ricordare come le modifiche all’art. 606 lett. e) introdotte dalla
L. n. 46 del 2006 non hanno comportato la possibilità, per il giudice della
legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione,
finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici
7

all’appuntamento per chiarire la questione ed aveva esploso i colpi dopo essere

di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza
delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento. Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza
di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice

talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere
oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
rie. Pellegrino, rv. 224611; Sez. 1, 9 novembre 2004, ric. Santapaola, rv.
230203). Il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della
pronunzia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente
idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della
decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti
sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti
errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente
contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue
diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d)
non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in
termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso
per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata
sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, n. 10951). Non è, dunque,
sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente
“contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la
sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità ne’ che
siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella
fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un
complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito,
di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e
convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e
dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la
rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da
lettori razionali del provvedimento. È, invece, necessario che gli atti del processo
richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione
siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto
8

di merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano

dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (Sez. 6, n. 10951 del 15 marzo 2006). Il giudice di legittimità è,
pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una
motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a
seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”. Tale
controllo, per sua natura, è destinato a tradursi in una valutazione, di carattere
necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e

rimanendo, come anzi detto, preclusa la pura e semplice rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati
dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la
Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare
funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la
motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non
prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal giudice per giungere alla decisione.
La Corte di cassazione è giudice della sentenza e non del processo.

3. Nel caso in esame, la prova della colpevolezza di Ascone è stata
ravvisata, come più sopra sintetizzato, in base a precisa, coerente analisi degli
elementi acquisiti. Nella sentenza impugnata, attraverso passaggi immuni da
incongruenze e da fratture, secondo un filo logico di plausibile persuasività e
mediante la corretta applicazione delle regole di valutazione probatoria, è stato
analiticamente dettagliato il compendio probatorio a carico del ricorrente e sono
stati attentamente confutati i motivi di gravame, nuovamente riproposti con il
ricorso sotto la veste della legittimità.
3.1. In particolare, il giudici di merito, considerata l’integrazione delle due
sentenze di merito che sono giunte alla stessa conclusione, hanno giudizialmente
valutato circostanze fondamentali ai fini della decisione, già indicate in parte
espositiva sub 3.5, 4 e 4.1., dalle quali hanno desunto la falsità della tesi
difensiva di Ascone, mirante ad accreditare una situazione di legittima difesa.
3.2. Il ragionamento operato dai giudici di merito, come detto saldamente
ancorato alle risultanze processuali, si sviluppa coerentemente secondo direttrici
certe avendo i giudici di merito accertato che:

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sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice

- Ascone si era presentato armato per quello che può essere definito un
regolamento di conti, avendo accettato la sfida (o chiarimento), come desunto
dalle conversazioni intercorse;
– era falso che l’imputato fosse stato fatto oggetto di colpi di arma da fuoco
da soggetti nascosti, sia perché gli stessi Borgese si trovavano sulla linea di
fuoco ed era inverosimile che taluno complice avesse sparato con il rischio di
colpirli, sia perché in relazione al quantitativo contenuto in ogni cartuccia
(indicati a pag. 29) sul posto si sarebbero dovuti trovare pallini in numero

l’autovettura (14 sul parabrezza e 41 sulla fiancata); significativamente il giudice
di primo grado evidenzia che i pallini ritrovati erano di cartucce utilizzate per
piccola cacciagione;
– vi erano quindi riserve giustificate sulla genesi di questo ritrovamento,
apparendo inspiegabile che i pallini -si ricorda in numero di quattro- non fossero
stati ritrovati al momento del primo sopralluogo di polizia, organo esperto uso ad
effettuare sopralluoghi con particolare attenzione, ed era fondato il sospetto,
come peraltro desunto dalla conversazione intercettata, riportata nelle due
decisioni (De Maria: “E meno male che hai deciso di presentarsi prima, nel senso
che… Altrimenti ha piovuto il giorno successivo”; Ascone Vincenzo: “e non
trovava niente nessuno”; De Maria “Che noi passavamo … passavamo apposta
per controllare …la sera prima li hanno segnati i cocci … il giorno successivo ha
diluviato”), di una attività di inquinamento delle prove;
– era illogico che Ascone anziché rivolgere il fuoco contro chi gli sparava
contro avesse colpito i disarmati Borgese,
– era significativo che la autovettura di Ascone non recasse tracce di
sanguinamento sulla spalliera del sedile, come sarebbe stato inevitabile se, dopo
essere stato ferito, costui fosse risalito sull’auto per allontanarsi dal posto;
– era quindi insuperabile valutazione, ampiamente riportata dalla Corte di
merito a pag. 27-28, quella del medico legale, sulla cui capacità scientifica
nessuno ha sollevato dubbi, che, esaminando -il giorno del fermo, tre giorni
dopo gli omicidi- le lesioni di tipo escoriativo trovate sul braccio destro e sul
dorso di Ascone, le aveva, in base ai processi di rigenerazione, ritenute non
compatibili con lesioni di arma da fuoco a carica multipla e le aveva ricondotte ad
epoca antecedente al 29 agosto 2012 (la cui genesi è rimasta incerta, ma in ogni
caso irrilevante ai fini specifici).
3.3. A fronte di questa motivazione che, nella specie, come già detto, è
completa, esauriente ed adeguata per la seria analisi di tutti i particolari della
vicenda e per il rigore logico usato nella valutazione degli indizi, le censure del
ricorrente si traducono in pratica in contestazione della ricostruzione e
10

superiore a quelli effettivamente ritrovati, quantomeno quelli che avevano colpito

valutazione delle prove siccome effettuate dal giudice di merito, non proponibili
attraverso la deduzione promiscua dei vizi di mancanza, contradditorietà o
illogicità della motivazione (peraltro accomunati in forma perplessa o alternativa,
laddove l’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), letto in combinazione con
l’art. 581, comma 1, lett. c), evidenzia che è onere del ricorrente di specificare
con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza,
alla contraddittorietà e alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi,
che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione

3.4. Sono prettamente valutative infatti:
– le contestazioni mosse alle conclusioni del consulente medico prof. Ricci, di
cui come detto si riconosce la capacità scientifica, articolate sotto il profilo della
mancata messa a disposizione di documenti indispensabili per la ricostruzione
dell’evento lesivo -verbali di sequestro dei pallini e della borra, verbali di
interrogatorio di Ascone-, trascurando di considerare che un aspetto rilevante
della sentenza è costituito proprio dal “sospetto” che circonda questo anomalo
ritrovamento e che ne esclude la rilevanza; così come irrilevanti sono le
dichiarazioni rese dall’imputato in palese contrasto con il dato scientifico
derivante dall’avanzato processo rigenerativo delle lesioni che le rendevano
incompatibili con un ferimento avvenuto tre giorni prima (escluso anche per
l’assenza di macchie ematiche sulla spalliera del sedile dell’autovettura e per la
dislocazione delle ferite stesse);
– la spiegazione che si è data per giustificare la non corrispondenza delle
sfilacciature sulla maglietta con la localizzazione delle lesioni dovuta ad
“arrotolamento” della stessa;
– le considerazioni di natura congetturale svolte sul numero esiguo di pallini
trovati e sulle ragioni per cui non furono trovati durante il primo sopralluogo (la
polizia cercava proiettili e bossoli e non pallini: ma è semplice obiettare che in un
sopralluogo si reperta quello che c’è e se ci fossero stati, anche i pallini
sarebbero stati trovati);
– il riflesso che si individua su una fotografia.
3.5. Correttamente irrilevanti sono stati ritenuti i dati afferenti il marsupio e
i pantaloni trovati in casa, dal momento che, come si rilevava anche nell’atto di
appello, Ascone fin dal momento del suo fermo aveva ammesso di aver sparato
ai Borgese. Né, a fronte del motivato convincimento esposto sulla dinamica del
fatto, i giudici del merito avevano il dovere di prendere in considerazioni quella
che altro non è che una mera ipotesi di lavoro formulata dalla polizia scientifica a
ridosso dell’evento in base a quanto riferito dallo stesso Ascone, ipotesi

11

censurata).

evidentemente abbandonata nel prosieguo delle indagini; ovvero notizie di fonte
confidenziale prive di valore giuridico.

4. Il secondo motivo di ricorso è, in relazione alla sussistenza di esimenti,
assorbito. La tesi di aver agito in stato di legittima difesa -reale o putativa-, è
stata respinta dalla Corte distrettuale che, pur avendo conclusivamente
affermato che “l’esimente di cui all’art. 52 c.p. non possa essere in alcun modo
riconosciuta dal momento che nessun attentato risulta commesso la sera del

argomentativa esaminato anche l’eventualità che effettivamente l’imputato in
quella circostanza fosse stato vittima di un agguato.
Con richiamo a condivisa e perspicua giurisprudenza di legittimità, detta
Corte ha indicato le ragioni, per cui nemmeno in quel caso la condotta sarebbe
stata scriminata. Questa valutazione non tocca però la decisiva ratio decidendi
del rigetto del riconoscimento della scriminante, anche nella forma putativa parimenti a quella dell’eccesso colposo- legata all’insussistenza dell’agguato, ma
mira solo ad una, superflua -vitiatur sed non vitiat-, ricostruzione complessiva e
finale dei fatti e della responsabilità, al fine di non lasciare ombre ed a rendere
maggiormente persuasiva la decisione. Peraltro, le censure riguardanti la
denegata sussistenza della scriminante della legittima difesa, reale o putativa, o
dell’eccesso colposo in legittima difesa e il rigetto della richiesta di applicazione
della circostanza attenuante della provocazione sono inammissibili, in quanto le
critiche rivolte alla sentenza impugnata su detti punti si risolvono in doglianze in
fatto, atteso che si mira ad una valutazione degli elementi probatori in atti
diversa da quella fatta – con argomentazioni che, per essere esenti da errori di
diritto ovvero da macroscopici vizi logici – dai giudici del merito e, quindi, ad
un’inammissibile giudizio sul fatto da parte di questa Corte di legittimità.
In particolare, l’attenuante della provocazione è stata correttamente esclusa
dal giudice di appello, il quale ha tenuto conto del fatto che l’accettazione di una
sfida era incompatibile con l’assunto difensivo secondo cui l’azione era stata
originata da un fatto ingiusto altrui, peraltro riconducibile allo stesso Ascone che
aveva schiaffeggiato Borgese, ed ha ulteriormente considerato la mancanza del
requisito di adeguatezza tra reazione ed offesa, pure richiesto dalla
giurisprudenza di legittimità per la sussistenza della attenuante in oggetto (Sez.
1, n. 6811 del 21/04/1994, De Giovanni, Rv. 198116). La critica della difesa al
diniego dell’attenuante muove ancora una volta dal presupposto erroneo che lo
stato d’ira debba ravvisarsi nell’inesistente agguato.

12

29.08.2012 ai danni dell’ASCONE”, ha in via ipotetica e per completezza

5. Infondato è anche il motivo sulla sussistenza della circostanza aggravante
dei motivi futili. La critica della difesa in questo caso muove dal presupposto che
possa anche non accogliersi la tesi dell’agguato. Osserva però che non essendovi
certezza sul movente del reato, non può essere formulato il giudizio di futilità.
Osserva il Collegio che nel caso specifico la Corte di merito ha ritenuto
positivamente provato che il soggetto attivo si era effettivamente determinato
all’azione in ragione di una causale non congrua, in presenza della prova certa,
perché ammessa, che all’origine di tutto vi erano stati gli schiaffi dati da Ascone

al “chiarimento” in Contrada Spina, dove Ascone si era presentato armato. In
questo contesto, la Corte di secondo grado ha individuato il concreto movente
della condotta del reo, interpretandolo come futile alla luce della personalità
dell’agente quale si era concretamente evidenziata.

6. La censura in merito al diniego delle attenuanti generiche è infondata. La
mancata concessione delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionale
valutazione del giudice, che può concederle o negarle, dando conto della scelta
con adeguata motivazione, ai fini della quale è sufficiente la giustificazione
dell’uso del potere discrezionale con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cassazione
civile sez. 6, 27 maggio 2011, n. 11790), senza che sia necessario per il giudice
dare conto delle ragioni sotto ogni profilo che ne giustifichino la sussistenza
atteso che, al contrario, è la meritevolezza che necessita essa stessa, quando se
ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo,
gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del
trattamento sanzionatorio. Nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche, quindi, è sufficiente che la Corte faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri
da tale valutazione. Nel caso di specie il giudice di secondo grado, in aderenza al
dettato normativo, condividendo la valutazione del G.U.P., ha ritenuto
incompatibili le attenuanti generiche con la gravità del fatto, connotato da
banalità, e con il complessivo comportamento processuale di Ascone, improntato
al mendacio e all’inquinamento probatorio, in assenza di dimostrato pentimento.
L’incensuratezza di Ascone è stata valutata ed il giudizio della Corte di recessività
di tale elemento rispetto ai fattori escludenti è valutazione di fatto. Neutri a
questo fine sono la costituzione spontanea e la scelta di un rito processuale, che
per se già attribuisce uno sconto di pena.

13

a Francesco Borgese, da cui erano derivate le telefonate e la decisione di arrivare

/

8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento. Le spese sostenute dalla parte civile costituita
vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Condanna altresì il ricorrente a rifondere a favore della costituita

oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

parte civile le spese del presente giudizio che liquida in complessivi euro 5000,

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