Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29926 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29926 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRASSO ROSARIO N. IL 11/04/1947
avverso la sentenza n. 5/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
MESSINA, del 13/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO
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Data Udienza: 05/11/2015

Sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. VIOLA A.P., sostituto
procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’assise d’appello di Messina con sentenza in data 13 maggio 2014, in parziale

di Gotto del 17 aprile 2013, ha determinato la pena nei confronti di Grasso Rosario, in quella
di anni dieci di reclusione, confermando nel resto. Il primo giudice, all’esito del celebrato rito
abbreviato, ha ritenuto l’imputato colpevole dell’omicidio di Raciti Sebastiano e della connessa
contestazione relativa alla detenzione ed al porto di pistola. Esclusa l’aggravante dei futili
motivi, riuniti i fatti ex art. 81 cpv. cod. pen., concessa la circostanza attenuante della
provocazione e le circostanze attenuanti generiche il Giudice per l’udienza preliminare lo aveva
condannato alla pena di anni dodici di reclusione, oltre pene accessorie e statuizioni civili.
E’ stata ritenuta certa, nella sua materialità, alla luce della confessione dell’imputato, l’azione
di sparo da parte del Grasso, azione cui era seguito il decesso del Raciti, in nesso causale con
quella condotta.
Il delitto era derivato da una discussione tra il Grasso stesso ed il cognato. Entrambi, dopo
aver consumato un pasto in Novara di Sicilia, in campagna ed in prossimità del campo di tiro
al volo, avevano iniziato a giocare a carte. Era nata una discussione che si era animata ed il
Raciti aveva brandito un coltello verso il Grasso. Costui aveva preso l’arma a tamburo, che
illegalmente portava e deteneva in auto, ed aveva sparato due colpi all’indirizzo del cognato.
Analizzati i rapporti tra autore e vittima, nella selezione di possibili motivi a delinquere, la
sentenza di primo grado ha, tra l’altro, posto l’attenzione su un prestito che il Raciti stesso
aveva elargito al cognato, odierno ricorrente, e che costui non era stato in grado di restituire.
Si era esclusa l’ipotesi della legittima difesa, anche nella forma putativa.
Ciò per mancanza del requisito di attualità del pericolo, nell’evolvere dei fatti narrati dal
medesimo Grasso. Nonostante la minaccia posta in essere nei suoi confronti dal Raciti,
brandendo un coltello, costui, si è osservato, non aveva, tuttavia, mai posto l’arma da punta
e taglio a contatto con il corpo del Grasso stesso. Era, pertanto, un comportamento che non
appariva funzionale all’offesa ingiusta, tratto centrale nella caratterizzazione dell’esimente
obiettiva invocata.
D’altro canto, il Raciti, allorquando si era portato verso l’auto, per prelevare la pistola, si
era divincolato dalla presa del cognato, suo antagonista. Indi, si era allontanato almeno di
tre metri e non v’era prova che fosse stato inseguito. Nonostante l’affermazione, pronunciata
dal Raciti, oggi ti scanno.., osservava il giudice di merito, il Grasso aveva avuto la possibilità di
portarsi alla vettura; di prelevare l’arma dal cruscotto, di impugnarla e di sparare due colpi.
In alternativa, sarebbe potuto salire in auto e si sarebbe potuto allontanare.
2

P’

riforma della decisione del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Barcellona Pozzo

Il difetto dei presupposti materiali per configurare la scriminante escludeva, poi, la possibilità
di invocare l’istituto dell’eccesso colposo.
I giudici di secondo grado, condividendo la motivazione del primo giudice, hanno ribadito che
il Grasso, nonostante fosse stato stretto al collo dal cognato, si era divincolato, si era portato
alla vettura per prelevare l’arma ed aveva sparato.
L’esplosione dei colpi, ancora, era avvenuta a distanza ravvicinata, come indicato in perizia.
Si era, pertanto, condivisa la decisione di escludere l’operatività della legittima difesa, sia nella

I giudici della Corte d’assise d’appello davano atto di aver riscontrato, dalla documentazione
fotografica, il luogo in cui era stato rinvenuto il cadavere della vittima e la strada ove era
stata prima parcheggiata la vettura. Il punto era stato indicato dal medesimo Grasso che
aveva affermato di aver sostato:

“tra l’asfalto e la terra”.

D’altro canto il particolare relativo

all’azione di sparo ed alla circostanza che la morte del Raciti era stata causata da due colpi
esplosi a breve distanza (circa 40 cm), egualmente avrebbe escluso la possibilità di configurare
l’invocata legittima difesa.
Si ribadiva, piuttosto, che il Grasso, in ragione dei dati materiali ricavati dalle fotografie dello
stato dei luoghi, era tornato sui suoi passi e, prelevata l’arma, si era portato dal ciglio della
strada al cospetto della vittima. Ciò spiegava il motivo per il quale i colpi erano stati esplosi
ad una distanza ravvicinata. Se fosse stata veridica la tesi opposta a discarico la vittima si
sarebbe dovuta trovare a ridosso del ciglio stradale, ove era stata parcheggiata la vettura da
cui lo stesso Grasso aveva, poco prima, prelevato l’arma.

2. Grasso Rosario ricorre per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia.

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Unico il motivo di ricorso.
Lamenta violazione di legge, motivazione mancante o manifestamente illogica in relazione agli
artt. 52, 55 e 59 cod. pen.
La Corte d’assise d’appello, afferma il ricorrente, avrebbe errato nel ritenere che il Grasso,
raggiunta la sua vettura, avesse la possibilità di mettere in moto il veicolo e di allontanarsi.
Quei giudici, così ragionando, avevano operato una ricostruzione di merito in termini assoluti
ed astratti.
L’esistenza della scriminante non era negabile, almeno nella forma putativa.
Il pericolo attuale di un’offesa ingiusta -e quello strutturalmente correlato alla necessità di
difendersi- emergevano proprio da quanto la Corte aveva riconosciuto. Infatti, il Raciti
Sebastiano, in preda ad uno stato d’ira, determinato dall’esito negativo di una partita a carte,
aveva stretto le mani al collo del cognato, brandendo un coltello e profferendo nei suoi
confronti le minacce di morte.
La vicenda doveva essere valutata globalmente; sulla base di un giudizio ex ante ed in
concreto. Metodo siffatto di scrutinio avrebbe certamente indotto il convincimento, sia pur ed
eventualmente errato, nel Grasso, di trovarsi in una situazione di pericolo grave ed imminente
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forma reale, che putativa.

per l’incolumità, da poter contrastare con l’unico mezzo a disposizione che aveva e, cioè, la
pistola.
Era concreto il timore di essere raggiunto dal cognato e di essere, appunto, accoltellato.
Esisteva anche un debito pregresso, che aveva determinato nel Raciti forte risentimento.
D’altro canto, che l’imputato fosse riuscito a divincolarsi dalla morsa dell’aggressore non aveva
alcuna valenza determinante. Né aver indicato, da parte dei giudici di merito, il cd.

commodus

discessus avrebbe avuto rilevanza, poiché si era trattato di un tracciato meramente assertivo,

Non ricorreva, nella rielaborazione del ricorrente, alcuna sproporzione tra offesa e difesa; i beni
in comparazione erano identici e l’esplosione del primo colpo era avvenuta a distanza di circa
40 cm, elemento che faceva intendere come il Grasso, inseguito dal suo aggressore, giunto
all’automobile, avesse sparato allorquando costui gli era oramai a ridosso.
La scelta di aggredire da parte dell’imputato era, infine, esclusa nella prospettazione del
ricorrente dall’atteggiamento tenuto da costui subito dopo il fatto.
Egli si era attivato per chiamare i soccorsi e si era recato dai carabinieri

per denunciare

immediatamente l’accaduto.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Questa Corte ha avuto modo più volte di affermare che la denunzia cumulativa, promiscua
e perplessa della inosservanza, della erronea applicazione della legge penale, della mancanza e
della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi di ricorso privi del requisito formale
della specificità, prescritto dall’articolo 581, comma 1 lettera c), cod. proc. pen. e sanzionato,
a pena di inammissibilità dall’articolo 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
In ordine ai motivi di ricorso, tipizzati dall’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., la
giurisprudenza di legittimità ha fissato il principio di diritto secondo il quale « è inammissibile
[…] il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione […] se i motivi sono enunciati in
forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le
censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità … che
vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame »
(Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, Sardo, Rv. 254329), precisando, « a pena di aspecificità»,
sotto quale « profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in
quali manifestamente illogica » (Sez. 2, 11. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263541; cui
adde Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 – dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528; Sez. 6, n. 32227 del
16/07/2010, T., Rv. 248037).
Peraltro, la tipizzazione dei motivi di ricorso per cassazione comporta che il generale requisito
della specificità si moduli, in relazione all’impugnazione di legittimità, nel senso
particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzato nell’espressione della cd «

duplice

specificità » (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, p. 254584), in quanto è onere del
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senza che gli atti processuali dessero conto d’una sua effettiva praticabilità.

ricorrente argomentare altresì la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione
normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge.

1.2 Nella specie v’è una promiscua formulazione di censure che unifica indistintamente i
lamentati vizi della motivazione.
Si enucleano « difetti » eterogenei e, per certi versi, incompatibili, non suscettibili di
sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento del costrutto motivazionale,

Le censure svolte si pongono in rapporto di reciproca esclusione.
Si lamenta motivazione mancante, che non può essere, in via coeva, manifestamente illogica,
vizi egualmente dedotti nel motivo di ricorso qui in esame.
Di converso, la motivazione, se viziata, non è mancante e se tale non può ritenersi, al tempo
stesso, manifestamente illogica.

2. Ciò posto deve osservarsi che il ricorso, in particolare, si risolve in una critica indifferenziata
alla decisione di secondo grado, per il mancato riconoscimento dell’esimente della difesa
legittima nella forma reale o putativa o dell’eccesso colposo nella reazione difensiva.

2.1. Indicata la ricostruzione dei fatti, operata dal primo e dal secondo giudice, si censura
l’impostazione sul nucleo centrale della motivazione, affermando, in definitiva, che fonderebbe
su una pura congettura la ricostruzione operata in sentenza, secondo cui l’automobile
dell’imputato si trovava sul ciglio della strada, ad alcuni metri di distanza dal luogo in cui era
posizionato ed era stato rinvenuto il cadavere della vittima.
In questa prospettiva si è valorizzata, nel costrutto a discarico, la circostanza che uno dei colpi
che avevano attinto il Raciti era stato esploso ad una distanza di 40 centimetri. Ciò per
inferirne la tesi che il Grasso avrebbe sparato al Raciti, quando costui gli era oramai a
ridosso.
Ebbene, la prospettazione offerta propone alla Corte una nuova rielaborazione e valutazione
del fatto, inammissibile in sede di legittimità.
Al di là della genericità che sorregge il punto specifico del ricorso, la censura dedotta finisce
per assumere connotati di aspecificità, proprio perché si prospetta, in definitiva, a questa Corte
un’alternativa e si rimette un’opzione decisoria, tra due ricostruzioni in fatto, « scelta » che
non compete al giudizio di legittimità.
Quella prospettata, dunque, è questione che attiene al puro « merito » della decisione.
La motivazione della sentenza, contrariamente a quanto dedotto, offre adeguata e precisa
ricostruzione sul punto e spiega la ragione per la quale non si è ritenuta attendibile la versione
a discarico, da cui si sarebbe preteso d’inferire l’esistenza dell’esimente obiettiva della difesa
legittima, in termini reali o putativi.
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che sorregge il provvedimento impugnato.

Proprio il particolare relativo alla posizione del veicolo -che lo stesso Grasso aveva spiegato
essere stato parcheggiato sul ciglio della strada ed a distanza di tre metri circa dal luogo in
cui è stato rinvenuto il cadavere del Raciti- fissa il nucleo essenziale della ratio decidendi, che
sorregge la struttura motivazionale della sentenza impugnata.
I giudici della Corte d’assise d’appello hanno, infatti, spiegato, con motivazione congrua ed
immune da vizi logici, che la posizione della vettura risultava incompatibile con una diversa
ricostruzione dei fatti.

e, solo all’esito, aveva aperto il fuoco. Lo aveva fatto, alla luce di quanto obiettivamente
documentato dai dati processuali a disposizione, colpendo il Raciti, che si trovava al momento
dello sparo ad una distanza di almeno tre metri dal veicolo.
Ciò attestava, nella ricostruzione della vicenda, diverse fasi. Il dinamismo d’azione che aveva
visto confrontarsi autore e vittima del delitto si snodava in due momenti strutturalmente e
cronologicamente autonomi. Ad una prima reazione, risoltasi in una lite solo verbale, aveva
fatto seguito una congiuntura d’antagonismo fisico. Il Raciti Sebastiano aveva brandito un
coltello ed aveva afferrato il cognato, ponendogli le mani al collo. Non aveva, tuttavia, colpito,
né aveva mai avvicinato o realizzato un contatto tra l’arma da punta e taglio ed il corpo del
suo avversario.
I giudici di merito hanno spiegato che il Grasso si era, poi, divincolato; era, dunque, libero nei
movimenti ed in quel frangente si era aperta la fase successiva, che aveva indotto lo sparo e la
morte del Raciti.
Interrottasi, invero, la fase di antagonismo, caratterizzata da una fisicità interpersonale diretta,
correttamente i giudici del merito, hanno ritenuto che si sia dipanata nel reale una parentesi
d’azione commissiva distinta dalla minaccia iniziale, svincolata da ogni attualità d’aggressione
verso il Grasso e da ogni forma di attentato o di pericolo per la vita di costui, che potesse
risalire ad un’azione in itinere da parte del Raciti.
Piuttosto, il primo, pur divincolatosi dalla presa del cognato, raggiunta l’auto prelevava la
pistola.
Allorquando apriva il fuoco, esplodendo ben due colpi, i giudici del merito hanno chiarito che
non vi era alcuna condizione di azione necessitata, che potesse evocare l’operatività
dell’esimente invocata a favore del ricorrente.
Sul punto hanno correttamente escluso la fondatezza della critica elaborata proprio in relazione
alla distanza tra sparatore e vittima.
Il processo, si è osservato, attestava che l’esplosione del colpo d’arma da fuoco era avvenuta
ad una distanza di circa 40 cm. Ciò documentava, pertanto, la distanza ravvicinata tra il
Grasso ed il Raciti. Dimostrava, tuttavia, si è correttamente annotato, che era stato il Grasso,
dopo aver prelevato l’arma in auto, a portarsi nuovamente al

cospetto della vittima. Aveva

percorso i metri che lo speravano da ella ed aveva aperto il fuoco ad una distanza di 40 cm

circa. Questo particolare, hanno spiegato i giudici di merito, è oggettivamente inferito, proprio
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Invero, il Grasso si era portato all’auto; aveva prelevato l’arma a tamburo, che ivi custodiva

y

dalla posizione statica finale del corpo del Raciti stesso e dalla sua distanza dal ciglio della
strada, ove era stata parcheggiata la vettura.
Si intende, allora, come nella indicata ricostruzione della sentenza impugnata non vi siano
manifeste illogicità e, soprattutto, come il ricorso sul punto specifico si traduca nella pura
aspirazione a richiedere una nuova valutazione alternativa sulla ricostruzione

del fatto,

inammissibile in sede di legittimità.
Del resto la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, sentenza n. 46543 del

4/10/2004

costituisce giudizio di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da motivazione
congrua e logica, quello riguardante le circostanze atte ad integrare o ad escludere la
configurabilità della scriminante.
2.2. Deve, infine, osservarsi come nel caso di specie si riveli una mancanza di correlazione tra
le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento del motivo di
ricorso (Sez. 1 , n.39598 del 30/9/2004 rv. 230634), anche in relazione al tema connesso
all’esimente nella sua forma putativa ovvero in un’alternativa ricostruzione che nella
prospettazione del ricorrente dovrebbe fondare un eccesso colposo. Il ricorso, infatti, neppure
sul punto, articola in maniera convincete motivi correlati alle ragioni poste a sostegno della
decisione di merito e che sono state sviluppate per rigettare gli argomenti in esame. Non si
documentano né risultano ricostruite motivazioni valide che possano indurre a postulare la
lamentata contraddizione o una illogicità manifesta della decisione sul punto.
Quanto ad una possibile ipotesi di eccesso colposo si è invocata genericamente una massima
d’esperienza secondo cui l’aggredito, nel rapido svolgersi dell’azione in suo danno sotto la
spinta emotiva, non sarebbe in grado di dosare con esattezza il reale pericolo e gli effetti
della sua reazione. Nel caso di specie, tuttavia, non v’è né l’erronea sopravvalutazione
dell’entità della situazione di pericolo, né l’affermata imperizia nell’uso del mezzo difensivo a
disposizione, che si invoca nella prospettiva del ricorrente.
La sentenza impugnata, si è già avuto modo di indicare, ha spiegato in maniera assolutamente
convincete le ragioni per le quali si è ritenuto che non vi fossero gli estremi della causa di
giustificazione, rispetto alla quale configurare un’ipotesi di eccesso colposo. In realtà i giudici di
merito hanno più svolte sottolineato come nella circostanza si verificò una scelta deliberata e
consapevole da parte dell’imputato di aggredire in assenza di un pericolo attuale

per la sua

vita. Si intende allora come, da un lato, non ricorra affatto, se non in chiave di pura

affermazione, alcun dato che supporti realmente una sopravvalutazione della situazione di
pericolo da parte del Grasso e, dall’altro, come l’imperizia nell’uso dell’arma sia egualmente
argomento opposto in via di pura asserzione e senza alcuna correlazione con gli elementi di
prova acquisiti al processo. Si è, poi, sottolineato, nella prospettiva a discarico, come il
comportamento tenuto nel postfatto dal Grasso stesso, tradottosi nel portarsi presso i

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Ud. (dep. 01/12/2004 ) rv. 230573) ha osservato che in tema di cause di giustificazione,

carabinieri e nel chiamare i soccorsi, fosse gesto logicamente inconciliabile con il ritenuto

animus necandi.
Ebbene le considerazioni svolte registrano una smentita netta nell’esplosione da parte del
Grasso, su cui i giudici del merito si sono espressamente intrattenuti, di due colpi d’arma da
fuoco. Dopo un primo sparo, il ricorrente, per essere sicuro di aver attinto la vittima, agiva
nuovamente sul grilletto sparando una seconda volta e colpendo in entrambe le occasioni zone
vitali.
Non ricorre neppure l’esimente nella forma putativa. La causa di giustificazione è tale

fatto tale da legittimarlo all’azione e da indurlo a ritenere scriminata la sua condotta.
Nel caso di specie, al contrario, la ricostruzione della decisione è in netta antitesi con
eventualità siffatta e con la possibilità di prefigurare l’indicata forma di operatività della
scriminante. Vale ribadire il ragionamento che la Corte d’assise d’appello ha sviluppato
sottolineando che il Raciti era rimasto sulla scarpata ove era stato poi colpito dal Grasso.
Costui, allontanatosi, aveva raggiunto l’auto, prelevato l’arma e, portatosi nuovamente al suo
cospetto, gli aveva sparato. Lo aveva fatto, pertanto, esplodendo due colpi, per essere sicuro
di aver ucciso l’antagonista e dopo essersi deliberatamente riavvicinato, consapevole
dell’assenza di ogni pericolo imminente per la sua incolumità e nella piena possibilità di agire
diversamente, allontanandosi, dopo aver raggiunto l’auto.
Si è correttamente escluso, pertanto, che l’azione potesse essere ricondotta, anche per pura
ipotesi ricostruttiva, al tema dell’erronea supposizione dell’esistenza della causa di
giustificazione. Del resto, la critica al punto specifico della motivazione assume nel motivo di
ricorso contorni di assoluta genericità ed astrattezza e si traduce in una non condivisione della
motivazione data, secondo una sequenza che assume i caratteri della pura asserzione e che
apre al possibilismo, disancorato da ogni dato processuale.

2.3. Conseguono alle considerazioni che precedono la declaratoria della inammissibilità del
ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché -atteso
che non è dato escludere, alla stregua del principio di diritto fissato da Corte cost. n. 186 del
2000 la ricorrenza della colpa nella proposizione della impugnazione – della somma
equamente e congruamente liquidata in dispositivo) a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagam
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

allorquando il soggetto agente abbia erroneamente creduto di trovarsi un una situazione di

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