Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29925 del 12/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29925 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANELLI MONICA N. IL 04/04/1965
avverso la sentenza n. 1776/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 18/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
CA1,2
che ha concluso per `til

4

Udito, per la parte civile, l’Avv Titoutto
Udit,AdifensorkAvv.

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,1Ot1/910

Data Udienza: 12/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 18 giugno 2013, ha
confermato la sentenza del Tribunale di Piacenza del 2 dicembre 2010, nei
confronti di Anelli Monica ritenuto responsabile del reato di falso ideologico

Il fatto era costituito dalla falsa inserzione, in qualità di ufficiale
dell’anagrafe, di numerosi cittadini di nazionalità argentina nell’anagrafe dei
residenti nel Comune di Carpaneto Piacentino, pur in mancanza di effettiva
residenza.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a
mezzo del proprio difensore, il quale lamenta una mancanza di motivazione in
merito all’accertamento della sussistenza dell’elemento psicologico dell’ascritto
reato di falso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile a cagione della manifesta infondatezza del
relativo motivo.
2. Come già affermato dai Giudici del merito, il dolo richiesto per il delitto
di cui all’articolo 479 cod.pen. è un dolo generico, che consiste nella
consapevolezza della immutatio veri, non essendo richiesto l’animus nocendi vel
decipiendi.
Non si tratta, però, di un dolo in re ipsa, perché anzi deve essere provato,
dovendosi escludere il reato quando il falso derivi da una semplice leggerezza
dell’agente (v. da ultimo, Cass. Sez. V 21 maggio 2013 n. 35548).
E se deve escludersi che il dolo generico possa ritenersi sussistente per il
solo fatto che l’atto contenga un asserto obiettivamente non veritiero, dovendosi,
invece, verificare anche che la falsità non sia dovuta ad una leggerezza
dell’agente, come pure ad una incompleta conoscenza e o errata interpretazione
di disposizioni normative o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi
amministrativa, tuttavia deve considerarsi dolosa la falsa attestazione di un
accertamento in realtà mai compiuto (v. Cass. Sez. V 15 marzo 2005 n. 15255).

1

commesso da Pubblico Ufficiale in atto pubblico.

Orbene, questa volta in fatto, i Giudici del merito hanno fatto corretta
applicazione di tali principi perché, dopo avere messo in evidenza la materialità
del fatto così come accertata, hanno escluso che la falsa attestazione fosse
ascrivibile ad una leggerezza dell’agente o ad un errore scusabile su una norma
extrapenale ed hanno ulteriormente motivato della mancata effettuazione dei
necessari accertamenti previsti dalla normativa di settore in tema di residenza.
La motivazione sul punto è immune da manifeste illogicità e non è

In ogni caso si propongono censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata con riferimento, quanto all’affermazione di
responsabilità, a una plausibile ricostruzione dei fatti, come desunta anche dalle
ulteriori acquisizioni probatorie, le cui conclusioni sono solo in parte contestate
dal ricorrente con argomenti incompatibili con il giudizio di legittimità.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente (v. Cass. Sez. V 10 febbraio 2009 n. 9311).
3. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile con la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma
di denaro in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese
in favore della costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.T.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di parte civile,
liquidate in euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2014.

censurabile in sede di legittimità trattandosi di un accertamento di fatto.

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