Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29922 del 12/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29922 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSTANTINI CARLO N. IL 01/11/1960
avverso la sentenza n. 3329/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 05/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
ivi
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ,t t tkiutm4.
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Udito, per la parte civile, l’Avv
UditibifensonzAvv. ’13~.

Data Udienza: 12/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 5 ottobre 2012, ha
riformato su impugnazione del Pubblico Ministero, la sentenza del Tribunale di
Forlì del 5 febbraio 2003 ed ha condannato Costantini Carlo, quale
amministratore di fatto della s.r.l. Grafiche Europa, dichiarata fallita il 14 giugno

aggravato dalla pluralità dei fatti e l’entità delle somme e in concorso con
l’amministratore di diritto e con altro amministratore di fatto della suddetta
società, giudicati separatamente.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, il quale lamenta:
a) la illogicità manifesta della motivazione in merito all’affermazione della
qualifica di amministratore di fatto al di là di ogni ragionevole dubbio;
b) una violazione di legge e una motivazione illogica quanto alla mancata
concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. La motivazione adottata dalla Corte di merito è sicuramente rispettosa
dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte che, con la sentenza
delle Sezioni Unite n. 33748 del 2005, già aveva affermato che per la riforma di
una sentenza assolutoria è necessario dimostrare in modo rigoroso
l’incompletezza o l’incoerenza della prima e che più di recente ha ribadito che
sarebbe illegittima una pronuncia riformatrice dell’assoluzione che, in assenza di
elementi sopravvenuti, si limiti ad una mera e diversa valutazione del materiale
probatorio già acquisito ritenuto inidoneo in primo grado a giustificare una
pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore
plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una
forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (v.
Cass. Sez. H 8 novembre 2012 n. 11883 e Sez. VI 22 ottobre 2013 n. 45203).
In sostanza, occorre una “forza persuasiva superiore, tale da far cadere
“ogni ragionevole dubbio”, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di
contrasto.

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1997, per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale

”La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre
l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza
della colpevolezza…”.
Non è, inoltre,

rilevabile d’ufficio, in sede di giudizio di legittimità, la

questione riferita alla violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo, così come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia, questione riconducibile,

valere, ai sensi dell’articolo 581 cod.proc.pen., mediante illustrazione delle
ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno (v. Cass. sez. V 20 novembre 2013 n.
51396, in motivazione la Corte ha precisato che la scelta dell’imputato di non
proporre richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale determina,
altresì, l’impossibilità di attivare il rimedio CEDU, il cui presupposto è la
“consumazione” di tutti i rimedi del sistema processuale domestico).
Per quel che concerne, poi, il significato da attribuire alla locuzione “oltre
ogni ragionevole dubbio”, già adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (v. per tutte, Cass. Sez. Un. 10 luglio 2002 n. 30328) e
successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 cod.proc.pen.
quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica
espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il
principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e la cultura della
prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale; si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione
meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
“ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre
il proscioglimento a norma dell’articolo 530 cod.proc.pen., comma 2, sicché non
si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova
rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario,
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (v. da ultimo, Cass. Sez.
II 9 novembre 2012 n. 7035); certezza che i Giudici a quo hanno logicamente
espresso, sottraendo la loro motivazione, pertanto, al lamentato vizio di
legittimità.
Non si ravvisa, inoltre, alcuna illogicità manifesta della motivazione
nell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato nella sua veste di
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con adattamenti, alla nozione del vizio di “violazione di legge” e, dunque, da far

amministratore di fatto della società dichiarata fallita, sulla base di quanto
concretamente accertato e motivato sul punto dal Giudice dell’impugnazione in
conformità, inoltre, a quanto pacificamente affermato dalla giurisprudenza di
legittimità sul punto.
Sulla base dei principi che regolano la materia non è dubbio che in tema
di reati fallimentari, nell’ipotesi di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione,
e con riferimento alla posizione dell’extraneus in reato proprio

struttura sociale possa sicuramente commettere il reato sia direttamente,
attraverso la propria attività contraria alla tutela della par condicio creditorum,
che, del pari, mediante condotta agevolativa di quella dell’intraneus, nella
consapevolezza della funzione di supporto alla distrazione, intesa quest’ultima
come sottrazione dal patrimonio sociale e suo depauperamento ai danni della
classe creditoria, in caso di fallimento.
Nel caso in cui, a sua volta la distrazione venga realizzata mediante
l’azione “combinata” di più soggetti, la consapevolezza del partecipe extraneus
deve abbracciare le varie condotte ed i reciproci loro nessi, protesi al
raggiungimento dell’evento conclusivo (v. Cass. Sez. V 15 febbraio 2008 n.
10742 e 2 ottobre 2009 n. 49642).
Nella specie, in punto di fatto, la Corte territoriale ha dato pienamente
conto del ruolo svolto dal Costantini all’interno della società decotta (in
particolare sulla base delle dichiarazioni rese al dibattimento dal Curatore nonché
di quelle rese dai testi Zoffoli, Lucchi e Fernandez in sede di indagini preliminari
sebbene non confermate in sede dibattimentale) per cui richiedere a questa
Corte di legittimità una rilettura del materiale probatorio, già logicamente
valutato dal Giudice dell’impugnazione del merito, alla luce di considerazioni del
tutto personali che non valgono ad inficiare le argomentazioni dei suddetti
Giudici, appare operazione non consentita.
Quanto all’affermata inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali dianzi
indicate giova premettere, in punto di diritto, come l’articolo 500 cod.proc.pen.,
comma 1, espressamente preveda la possibilità di utilizzare nel dibattimento, nel
corso dell’esame testimoniale, le dichiarazioni rese dal testimone durante le
indagini preliminari per contestare, in tutto o in parte, il contenuto della
deposizione; chiarisce poi il comma 2 dello stesso articolo che le dichiarazioni
lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del
teste; ma tutto ciò non sarebbe di alcuna utilità, e darebbe anzi luogo a un vano
dispendio di attività processuale, se le citate disposizioni dovessero essere intese
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dell’amministratore di società, debba ritenersi che il soggetto esterno alla

nel senso che, una volta stabilita nei modi suesposti l’inattendibilità della
deposizione testimoniale resa in dibattimento a ritrattazione delle precedenti
dichiarazioni, di queste non potesse ugualmente tenersi conto ai fini probatori.
Una ragionevole interpretazione del sistema disegnato dall’articolo 500
cod.proc.pen., commi 1 e 2 impone piuttosto di ritenere che le risultanze delle
precedenti dichiarazioni, quando il loro legittimo utilizzo permetta di accertare
l’inattendibilità della ritrattazione operata nel dibattimento, debbano prevalere su

Ciò vale sia per le dichiarazioni di contenuto narrativo, sia anche, per
esempio, per il riconoscimento fotografico informalmente operato nel corso delle
indagini preliminari, stante il noto principio secondo cui detto riconoscimento
costituisce un mezzo di prova atipico il cui valore probatorio deriva non dalla
ricognizione in senso tecnico, ma dall’attendibilità di colui che ha effettuato il
riconoscimento (v. Cass. Sez. V 10 febbraio 2009 n. 22612 e di recente Sez. V
19 dicembre 2012 n. 13275).
La giurisprudenza di questa Sezione della Corte (v. 11 gennaio 2008 n.
7203 e di poi 19 febbraio 2010 n. 19049) ha, poi, formulato una distinzione in
tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta, evidenziando il
diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella
documentale, sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia
anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell’amministratore di
fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene
comunemente definito “testa di legno”.
Ebbene, si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta
fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai
creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto
investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto
“testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di
diritto di tenere e conservare le suddette scritture.
Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta
patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti
dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio
secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella
disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di
adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittimi la presunzione
della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del

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di essa e sostituirvisi nella formazione del compendio probatorio.

ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la
consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.
Ovviamente, per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in
riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, vale il principio della assoluta
equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicché si
è rilevato che l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal
novellato articolo 2639 cod.civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei

condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità
per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso
di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione
della regola dettata dall’articolo 40, comma 2 cod.pen.
Nella specie, per l’appunto, l’impugnata sentenza ha dato espressamente
conto dell’attività distrattiva posta in essere dal ricorrente sulla base di
accertamenti istruttori che non è consentito rimettere in discussione avanti
questa Corte di legittimità.
3. Quanto al secondo motivo basta osservare, per disattenderlo, come la
Corte territoriale abbia sufficientemente e logicamente motivato, con
accertamento in fatto del pari incensurabile avanti questa Corte, sulla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
Si rammenta, al riguardo, che la concessione delle attenuanti generiche
risponda a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia,
deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il
pensiero dello stesso Giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola
concessione da parte del Giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto
in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come
riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di
positivo apprezzamento (v. Cass. Sez. VI 28 ottobre 2010 n. 41365 e Sez. III 27
gennaio 2012 n. 19639).
A ciò può aggiungersi come, ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche sia sufficiente che il Giudice di merito prenda in
esame quello, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 cod.pen., che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche
un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato

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doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre

ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o
concedere le attenuanti medesime (v. Cass. Sez. H 18 gennaio 2011 n. 3609).
4. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.T.M.

spese processuali.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2014.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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