Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29921 del 12/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29921 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAULILLO LEONARDO N. IL 29/09/1944
FARACE LUIGI N. IL 14/10/1934
avverso la sentenza n. 2957/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
20/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Atdido
che ha concluso per j
o o‘, sudtteamh- /t C
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditii difensor;Avv7t;

NAIA1,3

WAM-b Gtt,j 3 VillUtkx.»

Data Udienza: 12/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 20 dicembre 2011, ha
parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Trani del 9 dicembre 2008
che aveva condannato

Farace Luigi e Paulillo Leonardo, il primo quale

amministratore dall’8 giugno 1988 al 18 maggio 1999 e il secondo quale

dichiarata fallita il 24 gennaio 2001 per i delitti di bancarotta fraudolenta
documentale e bancarotta impropria da reato societario.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione entrambi
gli imputati, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
il Paulillo
a)

l’inosservanza delle norme di legge e una motivazione incongrua

quanto all’affermazione della propria penale responsabilità quale liquidatore della
società;
b) una carenza di motivazione quanto alla determinazione della pena.
Il Farace
a)

una violazione di legge e una motivazione illogica in merito

all’affermazione della penale responsabilità per gli ascritti reati di bancarotta
fraudolenta documentale e di bancarotta impropria da reato societario (aver
contribuito a cagionare il dissesto attraverso l’esposizione nei bilanci di fatti non
rispondenti al vero, consistenti nell’indicazione di crediti vantati nei confronti
della federazione del commercio e del turismo di Bari per servizi, per rapporti di
finanziamento e per quote di capitale sottoscritto nonché della omessa
indicazione dei debiti previdenziali e connesse sanzioni amministrative, sanzioni
tributarie e postergazione di scadenze di debiti);
b) una violazione di legge e una motivazione illogica per la dichiarazione
di prescrizione della bancarotta preferenziale di cui al capo B dell’imputazione
per la quale era già intervenuto proscioglimento in primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso Paulillo è infondato e non merita accoglimento.
2. In tema di reati fallimentari, la responsabilità del liquidatore deriva non
solo dall’articolo 223 I.fall. ma anche dall’articolo 2489 cod.civ., che rinvia alle
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liquidatore da tale data fino al fallimento della Immobiliare Federcommercio s.r.l.

norme in tema di responsabilità degli amministratori e, quindi, anche all’articolo
2932 cod.civ., il quale fissa un principio di ordine generale, per il quale
l’amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti
pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose, di guisa che
sussiste anche per i liquidatori una posizione di garanzia del bene giuridico
penalmente tutelato, con conseguente ineludibile responsabilità, ex articolo 40

l’obbligo di ricevere in consegna i libri sociali (articolo 2487 bis, comma terzo,
cod.civ.) che si estende addirittura anche al liquidatore nominato
successivamente in sostituzione del precedente; pertanto non può ritenersi
esente da responsabilità il liquidatore che non riceve i libri contabili e che omette
ogni controllo sulla loro esistenza e sulla loro regolare tenuta (v. Cass. Sez. V 8
novembre 2007 n. 8260 e 14 giugno 2011 n. 36435).
Va affrontato ora il problema, che il ricorrente ha trattato in modo molto
diffuso, della riconducibilità da un punto di vista soggettivo dell’evento al titolare
della posizione di garanzia.
Il ricorrente ha molto insistito sul punto del poco tempo intercorso tra la
nomina a liquidatore e la dichiarazione di fallimento ed ha affermato come sia
necessaria la prova della effettiva conoscenza da parte del liquidatore della
attività infedele posta in essere dall’amministratore effettivo.
Non sembra che il problema possa essere impostato in tal modo.
La questione deve essere risolta tenendo presente quali siano i precisi
obblighi dell’amministratore e/o del liquidatore.
Ebbene costoro hanno compiti di gestione della società di capitali e
possono, pertanto, porre in essere tutti gli atti, anche di disposizione, necessari
per il raggiungimento degli scopi sociali.
Essi, però, hanno anche precisi poteri-doveri di vigilanza sulle attività
poste in essere da tutti coloro che, in via di diritto o di fatto, agiscano per conto
della società e di controllo sull’operato di chiunque operi all’interno dell’azienda.
È evidente che, non potendo controllare e vigilare tutte le attività della
società personalmente, il liquidatore dovrà darsi una organizzazione che sia
idonea non solo al raggiungimento degli scopi sociali, ma anche ad impedire che
vengano posti in essere atti di grave pregiudizio nei confronti dei soci, dei
creditori e dei terzi.
Ed allora la responsabilità dell’amministratore o del liquidatore sarà
ravvisabile non soltanto quando a conoscenza di un atto pregiudizievole non si
attivi per impedire l’evento, ma anche quando non si sia dato una organizzazione
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cpv. cod.pen., ove i detti obblighi siano disattesi; inoltre i liquidatori hanno

idonea a garantire gli interessi che lui ha l’obbligo, per legge, di tutelare,
consentendo in tal modo che altri possano ledere i suddetti interessi.
Insomma, più che fare riferimento a concetti un poco evanescenti e non
facilmente verificabili è necessario fare riferimento, per la imputabilità
soggettiva, alla violazione di un preciso dovere che è quello di darsi una
organizzazione idonea a prevenire il compimento di atti pregiudizievoli, proprio

controllo.
Gli amministratori ed anche i liquidatori debbono dimostrare di avere fatto
tutto ciò che era nelle loro possibilità per attuare una efficace vigilanza ed un
rigoroso controllo.
È necessario, a questo punto, individuare quale sia il titolo di
responsabilità ravvisabile nella condotta del Paulillo.
Nel caso del titolare dell’obbligo di garanzia il dolo sarà ravvisabile quando
si abbia conoscenza di una condotta infedele da altri posta in essere e non se ne
neutralizzino gli effetti, oppure quando consapevolmente si ometta di dare
attuazione nel senso dinanzi delineato agli obblighi di vigilanza e controllo.
Ebbene nel caso di specie i Giudici del merito, con accertamento in fatto
incensurabile avanti questa Corte di legittimità in quanto sorretto da congrua e
logica motivazione, hanno ritenuto che il Paulillo avesse precisa conoscenza delle
attività poste in essere dal Farace non solo perché come liquidatore avrebbe
dovuto avere accesso a tutta la documentazione contabile ma anche e
soprattutto perchè, a partire dal suo insediamento, non ha cooperato al
reperimento delle scritture contabili necessarie alla ricostruzione del patrimonio e
degli affari della società né risulta essersi attivato al fine di permettere una
corretta redazione del bilancio e delle scritture contabili societarie durante la fase
della liquidazione.
Di converso, il liquidatore aveva addirittura dichiarato al Curatore di aver
consegnato le scritture contabili ad uno studio tributario, circostanza non
veritiera e confermata dalla mancata indicazione ai competenti Organi tributari
della consegna a terzi della contabilità societaria (v. pagina 5 dell’impugnata
sentenza).
3. Quanto al secondo motivo, esso è ai limiti dell’inammissibilità in
quanto, da un lato, la pena inflitta non è illegale e, d’altro canto, la concessione
delle attenuanti generiche prevalenti alla contestata aggravante, con relativa
motivazione sul punto (v. pagina 14 dell’impugnata sentenza) ha comportato
addirittura una riduzione della pena inflitta in prime cure.
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perché senza una organizzazione idonea non si rispettano i doveri di vigilanza e

4.

Quanto al ricorso Farace, del pari, non è meritevole di accoglimento.

5.

Quanto al primo motivo si osserva come il reato di bancarotta

fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.Fall.)
e quello di bancarotta impropria (art. 223 comma secondo, n. 2 L. cit.),
concernano ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o
dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri

societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla
circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia
effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non
costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un
pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le
scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.
Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il
concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad
azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex articolo 216 L.Fall.,
si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali,
concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto
intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società,
siano stati causa del fallimento (v. Cass. Sez. V 17 febbraio 2010 n. 17978).
Nella specie la Corte territoriale, da un lato, ha dato conto della ascritta
bancarotta fraudolenta documentale (v. da pagina 4 a pagina 7 della
motivazione) con riferimento agli accertamenti eseguiti in prime cure e neppure
contestati dagli imputati, secondo i quali al Curatore era stata consegnata una
parte insignificante di documentazione contabile tale da non permettere la
benchè minima ricostruzione del patrimonio societario e del movimento degli
affari.
Inoltre, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, tutte le scritture,
obbligatorie e facoltative (o anche atipiche) possono essere oggetto materiale del
reato, che si focalizza sull’evento previsto dalla norma inteso quale
insuscettibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (v. la
citata Cass. Sez. V 2 marzo 2011 n. 15065).
Pertanto l’osservazione che le annotazioni non siano considerate
obbligatorie ma meramente ausiliari non rileva nella valutazione della condotta
illecita.
Con riferimento alla bancarotta fraudolenta impropria, quanto ai dedotti
limiti temporali, si osserva che in tema di reati fallimentari le dimissioni dalla
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e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende

carica gestoria risultino in sè ininfluenti ed incapaci ad interrompere il nesso di
causalità con l’evento pregiudizievole per la società, sotteso all’articolo 40 cpv.
cod.pen. (v. Cass. Sez. V 14 dicembre 2011 n. 3714).
Esse, quindi, non sono idonee ad esimere dalla penale responsabilità chi è
tenuto ad interrompere il rapporto eziologico che sfocia nella verificazione del
danno.

tende soltanto a procurare un’apparente distanza tra l’illecita mancanza e la
personale responsabilità del soggetto, ma, nella sostanza, non è in grado di
escludere il tradimento degli obblighi gravanti sull’esponente societario, posto in
posizione di garanzia.
Inoltre, in tema della c.d. “bancarotta societaria” (L. Fall., art. 223,
comma 2, n. 1), sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive,
espressamente dispiegata dall’articolo 41 cod.pen. che disciplina il legame
eziologico tra il comportamento illecito e l’evento, sia la circostanza per cui il
fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e
durata nel tempo (tanto da esser suscettibile di misurazione), assegnano
influenza ad ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già
maturato (v. Cass. Sez. V 4 marzo 2010 n. 16259).
Ai limiti dell’inammissibilità è la parte della doglianza che prende in esame
le singole operazioni fittizie che sono state indicate nel capo d’imputazione e che
sono state conformemente valutate da entrambi i Giudici del merito.
Richiedere a questa Corte di legittimità di rileggere gli accertamenti in
fatto operati sulla base di accertamenti tecnici logicamente valutati appare
essere operazione non consentita dai limiti del presente giudizio.
6. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
Innanzitutto la prescrizione ha colpito la residua parte del capo B che non
era stata intaccata dal proscioglimento in prime cure e cioè due dationes in
solutum di immobili societari per estinzione di debiti in violazione della par
condicio cred itoru m.
Ciò si evince dalla motivazione dell’impugnata sentenza (v. pagine 14 e
15) nella quale si giustifica l’applicazione della causa di non punibilità del
trascorrere del tempo in considerazione della colpevolezza dell’imputato con ciò
dando seguito a quanto affermato da questa Corte nella sua massima
composizione.
In presenza di una causa estintiva del reato, il Giudice è legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’articolo 129 cod.proc.pen.,
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Si tratta, invero, di un atto che, non incidendo sulla continuità eziologica,

solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua
rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato
emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, tanto che la
valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di
“constatazione” che a quello di “apprezzamento” (v. a partire dalle Sezioni Unite
28 maggio 2009 n. 35490).

secondo comma, presuppone, quindi, la manifestazione di una volontà
processuale chiara e obbiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione,
concretandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione
ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato.
Nel caso di specie, l’esame della decisione impugnata non manifesta
affatto la indicata evidenza, se è vero che la portata del compendio investigativo
in atti ha, di converso, portato alla esplicazione, in maniera logica e
conformemente ai principi nella materia, dei motivi per i quali l’imputato non
potesse essere prosciolto.
A ciò si aggiunga come le stesse Sezioni Unite (nella citata sentenza)
abbiano ulteriormente precisato come, in presenza di una causa di estinzione del
reato, non siano rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza
impugnata in quanto il Giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di
procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.
7. I ricorsi vanno, pertanto, rigettati e i ricorrenti condannati ciascuno al
pagamento delle spese processuali nonché in solido alla rifusione delle spese del
grado in favore della costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.T.M.
La Corte, rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché in solido alla rifusione delle spese di parte civile
che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2014.

Il concetto di “evidenza”, richiesto dall’indicato articolo 129 cod.proc.pen.,

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