Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29919 del 12/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29919 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTINI DAVID N. IL 01/06/1977
avverso l’ordinanza n. 146/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
12/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/ntire le conclusioni del PG Dott. v i 6-1 li I E- IL o
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Data Udienza: 12/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 12 – 28/3/2013 la Corte d’Appello di Roma accoglieva
parzialmente l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata
nell’interesse di Santini David per l’ingiusta detenzione in carcere sofferta, dal
27/7/2004 al 30/11/2005 e agli arresti domiciliari per il periodo successivo fino
al 28/2/2006, in esecuzione di ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale di
Roma in data 26/7/2004, nell’ambito di procedimento nel quale era indagato per

democratico; fabbricazione, detenzione e porto in luogo pubblico di ordigno
esplosivo; attentato con ordigno esplosivo, questi ultimi aggravati dalla finalità di
terrorismo: procedimento definito con sentenza della Corte d’assise di Roma,
divenuta irrevocabile il 3/11/2011, che assolveva il predetto con formula ampia
da tutti i reati contestati.
Osservava anzitutto la Corte che le accuse nei confronti del Santini, secondo
quanto evidenziato nell’ordinanza di custodia cautelare, originavano
fondamentalmente dall’esito dell’intercettazione di una conversazione in data
13/5/2004 tra lo stesso e tali Mastropierro Angela e Russo Federica, nel quale
secondo gli investigatori si parlava dell’attentato con ordigno esplosivo
perpetrato a ridosso di un’aula d’udienza del Tribunale di Viterbo in data
19/1/2004: conversazione che, però, a seguito di perizia disposta in primo
grado, era risultata, a giudizio della Corte d’assise d’appello, caratterizzata da
una cattiva riproduzione e in particolare dalla obiettiva non certa intelligibilità
delle frasi che sembravano riferite all’attentato.
Ciò premesso escludeva che il Santini avesse tenuto comportamenti
qualificabili come dolosi o gravemente colposi con efficacia causale
nell’applicazione e nel mantenimento della misura cautelare e negava, altresì,
rilievo alla circostanza che l’istante si fosse avvalso nell’interrogatorio della
facoltà di non rispondere, considerato che l’alibi, poi ritenuto attendibile e
proficuo ai fini dell’assoluzione unitamente allo «svilimento probatorio» dell’esito
delle intercettazioni ambientali, «era stato di fatto già enudeato nelle indagini di
P.G., trattandosi di soggetto sottoposto a controllo, ed era stato preso in
considerazione dallo stesso giudice della cautela, sia pure per negarne rilevanza
probatoria a favore dell’indagato».
Reputava, tuttavia, il giudice della riparazione, che alcuni «comportamenti
dolosi pregressi all’episodio per il quale venne emessa la misura», sebbene del
tutto inidonei ad essere valutati come ostativi al riconoscimento dell’indennizzo
per ingiusta detenzione, potevano essere presi in considerazione, come
espressivi di colpa lieve, al solo fine di ridurre l’entità dell’indennizzo. A tal fine
2

reati di associazione sovversiva e con finalità di eversione dell’ordine

faceva specifico riferimento a una manifestazione davanti al carcere di
Mammagialla del 12/4/2003, nel corso del quale erano state danneggiate alcune
auto del personale della polizia penitenziaria e al danneggiamento della lapide di
Umberto I nella notte tra il 30 e il 31/3/2004, per il quale il Santini venne tratto
in arresto: episodi che, secondo la Corte, denotavano la disponibilità del Santini
a tradurre in concrete azioni violente il pensiero anarchico-insurrezionalista.
Tenuto conto di ciò nonché, da un lato, delle rilevanti conseguenze di ordine
psicologico e morale presumibili in ragione della giovane età del richiedente e

alcune delle quali lontane dalla famiglia e dagli affetti, ed ancora del notevole
clamore mediatico suscitato dall’arresto, dall’altro, del fatto che la reputazione
del Santini era già in parte compromessa da pregresse condanne e che il
medesimo non era alla prima esperienza carceraria, essendo già stato arrestato
qualche mese prima per il danneggiamento alla lapide di Umberto I, liquidava
all’istante la complessiva somma di euro 64.400,00, di cui euro 59.000,00 per la
detenzione in carcere protrattasi per 492 giorni (importo determinato ponendo a
base del calcolo l’indennizzo giornaliero di euro 120,00 al giorno, pari alla metà
circa di quello standard comunemente accettato in giurisprudenza, per quanto in
precedenza evidenziato) ed euro 5.400,00 per la detenzione in regime di arresti
domiciliari protrattasi per i successivi 90 giorni (importo a sua volta determinato
riducendo della metà l’indennizzo unitario come detto calcolato per la detenzione
in carcere).

2. Avverso questa decisione Santini David propone, per mezzo del proprio
difensore, ricorso per cassazione, denunciando violazione di legge e vizio di
motivazione e ciò sia con riferimento alla ritenuta configurabilità di una colpa
lieve rilevante ai fini della quantificazione dell’indennizzo, sia con riferimento ai
criteri in concreto adottati per la liquidazione.

della circostanza che la detenzione inframurale si svolse in diverse carceri,

2.1. Sotto il primo profilo, premesso che la Corte d’appello, nel ravvisare la
colpa lieve, ha fatto specifico riferimento a due episodi, rileva che, quanto al
primo (danneggiamento della lapide di Umberto I nella notte tra il 30 e il 31
marzo 2004, per il quale egli venne tratto in arresto), esso dette luogo a
detenzione solo per le 48 ore precedenti l’udienza di convalida, all’esito della
quale il prevenuto venne liberato e sottoposto all’obbligo di presentazione alla
P.G.; alla data in cui fu emessa l’ordinanza cautelare, inoltre, egli era
incensurato ed il procedimento per il danneggiamento della lapide non era stato
definito nemmeno in primo grado; tale ultima vicenda, infine, poteva al più avere
carattere simbolico ed evocativo, e non quello invece ritenuto dalla Corte
3

Li

d’appello.
Quanto al secondo episodio (partecipazione del ricorrente ad una
manifestazione pubblica innanzi alla casa circondariale di Viterbo, nel corso della
quale erano state danneggiate alcune autovetture della polizia penitenziaria),
osserva che egli non ne aveva mai avuto notizia, né era mai stato denunciato
per alcun reato.
Ciò premesso, deduce che erroneamente la Corte ha basato la propria
decisione sul punto su fatti privi di qualsiasi attinenza con la vicenda processuale

misura custodiale, finendo in tal modo per attribuire rilievo alla sola
appartenenza di esso ricorrente ad ambienti anarchici e non considerando
peraltro che tali elementi erano i medesimi ritenuti a carico di 88 altri indagati
nel medesimo procedimento penale per i quali la Procura aveva richiesto e
ottenuto l’archiviazione.
Rileva infine che, anche solo sulla astratta possibilità di ipotizzare, accanto
alla colpa grave per legge ostativa alla liquidazione dell’indennizzo, una colpa
lieve che, pur non escludendolo, incida solo sul quantum, non vi è uniformità di
vedute nella giurisprudenza di questa S.C., sostenendosi in alcune pronunce che
l’unica colpa rilevante nell’ambito del procedimento in esame è quella grave,
unica ipotesi espressamente richiamata dalla norma, con implicita esclusione
della rilevanza di altri livelli di colpa (Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Ministero
Tesoro in proc. Castellani, Rv. 201035).

2.2. Con riferimento al secondo profilo di doglianza, rileva che la Corte
d’appello è pervenuta ad abbattere di circa la metà l’indennizzo altrimenti
liquidabile, cadendo però in «evidente contraddizione e manifesta illogicità sulla
ragione per cui era stata prescelta la riduzione nella misura del 50% e non altra
maggiore o minore».
Osserva che, infatti, mentre da un lato ha attribuito espressamente
rilevanza alle conseguenze di ordine psicologico e morale particolarmente
apprezzabili nella fattispecie, nonché al notevole clamore mediatico della
vicenda, dall’altro ha finito per attribuire al contrario prevalenza ad altri presunti
elementi riduttivi quali le pregresse condanne, la già vissuta esperienza
carceraria, la mancata prova di danni di carattere materiale, nonché ancora il
fatto che parte della misura ha avuto esecuzione nel meno afflittivo regime degli
arresti domiciliari.
Soggiunge che, in ogni caso, per tali ultimi aspetti, il giudice del merito si
pone in contrasto con i principi affermati da costante giurisprudenza e comunque
incorre nei denunciati vizi di motivazione.
4

in esame e di per sé inidonei a giustificare l’emissione e il mantenimento della

Rileva in tal senso che:
l’appartenenza ad ambienti anarchici e la conseguente partecipazione a
manifestazione di area o ad azioni simboliche come quella di cui al
menzionato episodio che ne comportò l’arresto non possono in alcun
modo essere paragonate alla partecipazione ad un’associazione eversiva
con finalità di terrorismo o al concorso in gravi attentati come quello al
Tribunale di Viterbo;

la precedente esperienza carceraria aveva avuto durata limitata alle 48

secondo principio affermato da questa S.C., «l’importo da liquidarsi a
titolo di indennizzo per riparazione dell’ingiusta detenzione non può
essere ridotto in considerazione del fatto che il soggetto ha più volte in
precedenza subito periodi di detenzione e che pertanto la custodia
indebitamente sofferta ha prodotto minore sofferenza»

(Sez. 3,

Sentenza n. 17404 del 20/01/2011, Tripodi, Rv. 250279).

3. Il P.G. in sede, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con la
quale ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi il ricorso.

4. Con memoria depositata in data 6 giugno 2014 il difensore del ricorrente
ha insistito nei motivi di ricorso.

Considerato in diritto

5. Il ricorso è fondato e merita di essere accolto.
La motivazione della Corte territoriale si rivela infatti manifestamente
illogica e comunque carente poiché, da un lato, espressamente esclude «che il
Santini abbia tenuto comportamenti qualificabili come dolosi o gravemente
colposi, che abbiano esplicato un’efficacia causale nell’instaurazione e nel
mantenimento della misura della custodia cautelare»

(pag. 4 dell’ordinanza

impugnata), dall’altro, considera comunque parzialmente ostativi a una integrale
liquidazione, in quanto espressivi di colpa lieve alcuni «comportamenti dolosi
pregressi all’episodio per il quale venne messa la misura» (quelli sopra descritti),
«denotanti la disponibilità del Santini a tradurre in concrete azioni violente il
pensiero anarchico-insurrezionalista» in quanto «idonei come circostanze di mero
contorno a determinare la convinzione di colpevolezza nel giudice della cautela».
Quelli che vengono considerati dal giudice della riparazione come imputabili
5

ore intercorse tra l’arresto e l’udienza di convalida;

a colpa lieve idonea a comportare una riduzione dell’indennizzo sono, dunque,

secondo espressa precisazione della Corte, comportamenti ritenuti di marginale
incidenza causale rispetto alla determinazione cautelare e perciò idonei
(soltanto) a giustificare una riduzione dell’indennizzo.
È però proprio e solo su tale ritenuta marginale incidenza causale che la
Corte sembra poggiare il convincimento della sussistenza di una colpa lieve nei
sensi e ai fini predetti.
In tal modo ragionando la Corte opera una evidente trasposizione sul piano

dell’ipotizzata circostanza ostativa all’integrale indennizzo: mentre, infatti, la
qualifica di levità della colpa dovrebbe descrivere un atteggiamento psicologico
dell’agente caratterizzato da una minima violazione di regole di condotta, nel
caso in esame, per l’uso che ne fa la Corte, sembra descrivere piuttosto e
soltanto il ridotto contributo causale (come detto la Corte parla dì «circostanze di
mero contorno»)

attribuito ai descritti comportamenti nella determinazione

cautelare.
Si impongono al riguardo alcune precisazioni concettuali.
Ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., «chi è stato prosciolto con
sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il
fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora
non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave».

Anche il solo «concorso», per dolo o colpa grave, nella determinazione
cautelare osta dunque all’indennizzo, al riguardo essendosi peraltro precisato che
«può costituire condotta colposa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo anche
quella che, pur non sufficiente da sola a determinare la decisione cautelare,
abbia comunque concorso a dar causa all’instaurazione dello stato privativo della
libertà» (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013 – dep. 17/01/2014, Mannino, Rv.

258486).
Sul piano soggettivo questa Suprema Corte ha poi precisato, con indirizzo
prevalente al quale questo Collegio ritiene di dover aderire, che «la condotta
colposa concorsuale può assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve,
perché apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all’indennizzo;
nelle altre gradazioni, rispetto a quest’ultima, la colpa sinergica (sotto entrambi i
profili considerabili: emissione del provvedimento restrittivo, perdurare della
detenzione) non rimane insignificante, dovendo essere valutata ai fini della
“taxatio” sul “quantum debeatur” in applicazione del principio generale di (auto)
responsabilità estraibile dalla lettura degli artt. 1227 e 2056 cod. civ., per il
quale non è da indennizzare il pregiudizio causato, quanto meno per colpa
6

soggettivo di un elemento che attiene invece alla componente oggettiva

(seppure lieve), dello stesso danneggiato» (v. ex aliis

Sez. 4, n. 529 del

21/04/1994 – dép. 08/06/1994, Ministro del Tesoro in Proc. Lin Xian Le, Rv.
198307; v. anche, conf., Sez. 4, n. 27529 del 20/05/2008 – dep. 07/07/2008,
Okumboro e altro, Rv. 240889; e, da ultimo, Sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011 dep. 20/01/2012, Popa, Rv. 251739).
Due e ben distinti sono, dunque, i requisiti che devono necessariamente
concorrere affinché possa apprezzarsi l’esistenza di una condotta del richiedente
ostativa, in tutto o in parte, al riconoscimento dell’indennizzo: dovendosi su

della riparazione.
Da un lato, sul piano oggettivo, l’esistenza di un nesso causale, sia pure
concorrente nei sensi predetti, rispetto alla determinazione cautelare; dall’altro,
sul piano soggettivo, l’imputabilità di tale condotta sinergica a dolo o colpa del
richiedente.
Se è ravvisabile un concorso causale, anche se minimo e pur nei sensi
predetti, esso può ostare in tutto o in parte all’indennizzo ove accompagnato da
un atteggiamento soggettivo dell’agente connotato da dolo o colpa; se invece un
tale concorso non c’è – ancorché si tratti di comportamento per altri aspetti
valutabile come doloso o colposo, in grado grave o lieve – l’indennizzo compete
per intero.
Solo nel primo caso – comportamento, commissivo o omissivo, sinergico alla
determinazione cautelare – vi è spazio, dunque, per distinguere a seconda che il
concorso causale sia imputabile a dolo o colpa grave o lieve dell’agente oppure
no.
Tale requisito (soggettivo) va poi certamente valutato in rapporto non al
singolo comportamento commissivo o omissivo posto in essere, in sé e per sé
considerato, ma rispetto all’effetto che esso determina di (concorrere a) trarre in
errore l’organo giudiziario, di guisa che, come questa S.C. ha già chiarito (Sez.
U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637) si
avrà dolo ove si ravvisi «volontarietà e consapevolezza della condotta con
riferimento all’evento voluto», anche se ovviamente «non nella valutazione dei
relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice
del procedimento riparatorio»; si avrà colpa ove emerga un comportamento
cosciente e volontario, dal quale consegue un effetto idoneo a trarre in errore
l’organo giudiziario, effetto non voluto né rappresentato dall’agente ma tale che,
adottando l’ordinaria diligenza, egli avrebbe potuto prevedere; in tal caso, la
condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta a volta rinvenibili
«pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile (…)
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento
7

entrambi dare specifica, ancorché sintetica, motivazione da parte del giudice

cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del

1996, cit.). La levità della colpa in tale ipotesi sarà poi apprezzabile ove
determinata da un grado minimo di negligenza, imprudenza, trascuratezza,
inosservanza di leggi, regolamenti, ecc..
È appena il caso poi di soggiungere che dolo, colpa grave o colpa lieve
idonei ad escludere o limitare l’indennizzo per ingiusta detenzione sono nozioni
giuridiche che si differenziano dalla semplice riprovevolezza del comportamento
da altri punti di vista, quali quelli ad esempio di tipo morale o sociale pur

31/01/2014, Leone, non mass.).
Orbene, nel nostro caso l’accertamento di un siffatto requisito (soggettivo) è
stato del tutto omesso dalla Corte territoriale che si ferma a valutare, operando
come detto una evidente sovrapposizione dei piani, la marginale incidenza
causale dei comportamenti rilevati, supportando peraltro il giudizio in tal senso
espresso con una espressione (“circostanze di mero contorno”) che rendono
anche sul punto – comunque, ripetesi, distinto da quello della sussistenza dì una
colpa seppur lieve in capo al richiedente – la motivazione equivoca e perplessa.

6. Sono peraltro fondate le censure mosse con riferimento anche al rilievo
attribuito come fattore in grado di ridurre l’importo liquidabile a titolo di
indennizzo a preg resse esperienze carcerarie.
È vero che, secondo un orientamento interpretativo espresso, peraltro non
univocamente, da questa Suprema Corte, nella liquidazione dell’indennizzo
dovuto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione è legittimo operare una
riduzione della somma giornaliera, computata quale frazione di quella massima
liquidabile, ove il richiedente abbia subito precedenti condanne, e ciò per la
presumibile minore afflittività della privazione della libertà personale,
riconducibile sia al minore discredito che l’evento comporta per una persona la
cui immagine sociale è già compromessa, sia al fatto che la dimestichezza con
l’ambiente carcerario rende meno traumatica l’ingiusta privazione della libertà
(v. Sez. 4, n. 34673 del 22/06/2010, Trapasso, Rv. 248083; Sez. 4, n. 23124
del 13/05/2008, Zampaglione, Rv. 240303;

contra Sez. 3, n. 17404 del

20/01/2011, Tripodi, Rv. 250279, ove si afferma che l’ammontare
dell’indennizzo non può essere ridotto in considerazione delle pregresse
esperienze carcerarie subite dal richiedente; v. anche, in favore di questo diverso
orientamento, Sez. 4, n. 9713 del 27/10/2009 – dep. 10/03/2010, Scumaci, Rv.
246743; Sez. 4, n. 46772 del 24/10/2013, Marinkovic, Rv. 257636, ove si
evidenzia che

«una automatica e generalizzata riduzione della somma

determinata secondo il c. d. criterio aritmetico per tutti i soggetti che abbiano
8

ampiamente condivisi (v. da ultimo Sez. 4, n. 5042 del 07/01/2014 – dep.

subito precedenti condanne e precedenti detenzioni, rende la valutazione
equitativa priva di una adeguata e logica motivazione, dal momento che la
esistenza di precedente esperienza carceraria può avere, secondo i casi, sia un
effetto di riduzione della sofferenza cagionata dalla carcerazione sia un effetto di
massimizzazione di quella sofferenza»; v. anche Sez. 4, n. 1219 del 12/11/2013

dep. 14/01/2014, Visconti, Rv. 258481, secondo cui «in tema di riparazione

dell’ingiusta detenzione, è illegittima la riduzione dell’importo dell’indennizzo
operata sul presupposto della minore afflittività della privazione della libertà

già subito in passato la restrizione carceraria, in quanto detta presunzione
contrasta con il principio di eguaglianza e con i canoni della logica, alla stregua
dei quali la sovrapposizione di un periodo di ingiusta detenzione a una
precedente esperienza di restrizione giustificata può produrre effetti di
massimizzazione della sofferenza per il più prolungato allontanamento della
persona dal consesso sociale e per le sue maggiori difficoltà di reinserimento»,
nella motivazione di tale precedente si fa riferimento, a supporto della
presunzione opposta, anche ai «ripetuti interventi legislativi atti a contrastare il

sovraffollamento nelle carceri e dalle sollecitazioni che al riguardo provengono
dalla Corte europea, la situazione in cui versano le strutture di detenzione, ove
spesso si registrano condizioni non adeguatamente rispettose della dignità
umana»).
È anche vero però che, pur a seguire tale controverso criterio interpretativo,
non basta comunque a giustificare l’allontanamento in riduzione dai criteri
liquidatori standard fissati in giurisprudenza la mera costatazione dell’esistenza
di precedenti condanne, occorrendo uno specifico riferimento alle eventuali
esperienze detentive subite dalla parte e alla loro idoneità a determinare una
rilevante compromissione dell’immagine sociale e/o una certa assuefazione
all’ambiente carcerario tali da giustificare la presunzione di una minore afflittività
della successiva ingiusta detenzione (v., in tal senso, Sez. 4, n. 112 del
02/12/2011 – dep. 09/01/2012, Iannini, non mass.; Sez. 4, n. 15909 del
06/02/2013 – dep. 05/04/2013, Pattusì, non mass.; Sez. 4, n. 18604 del
16/04/2014 – dep. 05/05/2014, Sammarro, non mass.)
Nel caso di specie nessun accenno in proposito è rinvenibile nell’ordinanza
impugnata, avendo omesso in particolare la Corte d’appello d’indicare quale sia
stata la durata e la qualità della restrizione carceraria che il Santini ha subito
prima di quella che qui ci occupa ed inoltre di concretamente bilanciare, nel
rispetto dei parametri della ragionevolezza e adeguatezza, l’evenienza di una
minore percezione di afflittività della privazione della libertà, per assuefazione,
con le condizioni individuali, familiari e sociali del ricorrente.

personale patita dal soggetto che abbia riportato precedenti condanne e abbia

Inoltre la Corte territoriale ha omesso ogni pur possibile riferimento
all’eventuale minore afflittività della carcerazione per una persona la cui
immagine sociale risulti compromessa da precedenti condanne: anch’essa da
valutare in concreto, con specifiche indicazioni legate al caso esaminato.

7. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame
alla Corte d’appello di Roma, limitatamente alla determinazione dell’indennizzo.
La Corte territoriale provvederà anche al regolamento tra le parti delle spese

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla determinazione
dell’indennizzo e rinvia sul punto alla Corte d’Appello di Roma cui rimette anche il
regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso il 12/6/2014

del presente giudizio di legittimità.

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