Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29918 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29918 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MILELLA EMANUELE N. IL 22/02/1959
avverso l’ordinanza n. 1544/2013 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
20/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
lettogsentite le conclusioni del PG Dott. r w_tec &14,,

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Data Udienza: 10/06/2014

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Bari, con provvedimento in data 20.02.2014, decidendo
sull’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del 18.11.2013 con
la quale il Tribunale Monocratico di Bari aveva autorizzato Milella Emanuele,
sottoposto al regime degli arresti domiciliari, allo svolgimento di attività lavorativa
esterna, revocava la predetta autorizzazione, differendo l’esecutività del
provvedimento alla definitività dello stesso.

esecuzione della misura in atto, per l’esercizio di attività lavorativa, il Collegio
sottolineava che la valutazione non poteva prescindere dalla compatibilità della
attività lavorativa di cui si tratta con le esigenze cautelari poste a base della misura
coercitiva. Al riguardo, il Tribunale osservava che la continuativa attività di spaccio
contestata al Milella evidenziava il pieno coinvolgimento del prevenuto nel circuito
del mercato clandestino degli stupefacenti, di talché il pericolo di reiterazione
criminosa poteva essere contenuto solo assicurando che il predetto non avesse
contatti con terze persone.
Il Tribunale osservava, poi, che lo stesso Milella, in sede di interrogatorio,
aveva riferito che la moglie è percettrice di reddito; e rilevava che di tale reddito
doveva tenersi conto ai fini della capacità dell’indagato di provvedere alle proprie
indispensabili esigenze di vita. Pertanto, in accoglimento dell’appello, il Collegio
revocava l’autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa esterna.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Milella
Emanuele, a mezzo del difensore.
L’esponente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale.
La parte osserva che il Tribunale, del tutto illogicamente, ha escluso che
Milella versasse in condizioni di assoluta indigenza, facendo riferimento al reddito
percepito dalla moglie. Al riguardo, il deducente sottolinea che lo stesso Tribunale
ha rilevato che l’ammontare dei compensi percepiti dalla moglie non risultava
determinato.
Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che il Tribunale ha richiamato il
sequestro di cocaina che sarebbe stato effettuato presso l’abitazione del Milella in
data 2.08.2013. Sul punto, la parte osserva di trovarsi ristretto in regime di arresti
domiciliari dal 6.07.2013 e ritiene del tutto fuori luogo la circostanza di un
sequestro effettuato in corso di esecuzione della misura.
La parte rileva, inoltre, che il Tribunale ha affermato che al momento di
esecuzione della misura Milella già prestava servizio presso l’Ospedale San Paolo di
Bari e che pertanto la predetta circostanza non rappresentava un fatto nuovo
sopravvenuto; al riguardo l’esponente osserva che l’imputazione concerne attività di
spaccio che sarebbe stata commessa negli anni 2010 e 2011 presso l’Ospedale
2

In riferimento alla intervenuta autorizzazione all’allontanamento dal luogo di

Fallacara di Triggiano, ove Milella Prestava servizio all’epoca dei fatti, e non presso
l’Ospedale San Paolo.
Considerato in diritto
3. Il ricorso in esame impone le considerazioni che seguono.
3.1 Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale il provvedimento di
diniego (o di concessione) all’indagato, che si trovi agli arresti domiciliari,
dell’autorizzazione ad assentarsi per lo svolgimento di attività lavorativa, sarebbe

direttamente incidente Si osserva, peraltro, che la Suprema Corte ha
condivisibilmente chiarito che l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo ove si
scontano gli arresti domiciliari, prevista dall’art. 284, comma terzo, cod. proc. pen.,
risolvendosi in una modalità di carattere permanente che incide in misura
apprezzabile sul regime cautelare, deve qualificarsi come “ordinanza in materia di
misure cautelari”; e che conseguentemente, avverso detto provvedimento deve
ritenersi ammissibile l’impugnazione di merito e quindi il ricorso in cassazione (cfr.
Cass. Sezione 6, sentenza n. 4418 del 18.11.1994, dep. 25.01.2995, Rv. 200858).
Il Collegio aderisce all’orientamento da ultimo richiamato – per condivise ragioni di talché devono ritenersi esperibili, avverso i provvedimenti comunque incidenti
sulla libertà personale, i mezzi impugnatori previsti in materia di misure cautelari
personali, nel Capo VI, Libro IV, del codice di procedura penale.
3.2 Tanto premesso, si osserva che il ricorso che occupa risulta
inammissibile, per difetto del requisito dell’autosufficienza.
Come noto, la valutazione relativa alla concessione del beneficio di cui all’art.
284, comma 3, cod. proc. pen., deve informarsi a criteri di particolare attenzione
sulla compatibilità dell’attività lavorativa esterna, con le esigenze cautelari poste a
base della applicata misura domiciliare. La Suprema Corte ha infatti chiarito che il
giudice di merito deve tenere conto della compatibilità dell’attività lavorativa
proposta, rispetto alle esigenze cautelari poste specificamente a base della misura
coercitiva, giacché la possibilità per l’indagato di restare fuori di casa per
considerevoli periodi della giornata potrebbe, in concreto, vanificare ogni possibilità
di controllo, a fini cautelari (Cass. Sez. 6, sentenza n. 12337, del 25.2.2008, dep.
10.03.2008, Rv. 239316). Peraltro, con riferimento alla condizione di assoluta
indigenza del richiedente, secondo quanto previsto dall’art. 284, comma 3, cod.
proc. pen., deve osservarsi che la Corte regolatrice ha affermato che la stessa deve
essere riferita ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari ai quali può essere
data risposta solo con il lavoro; e che nei bisogni primari bisogna ricomprendere
necessità ulteriori rispetto alla sopravvivenza fisica, quali quelle relative alla
comunicazione, all’educazione, alla salute ed altro (cfr. Cass. Sez. 4, sentenza n.

3

inoppugnabile e neppure ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto non

10980 del 29.01.2007, dep. 15.03.2007, Rv. 236194; Cass. Sez. 3, sentenza n.
34253 del 15.07.2010, dep. 22.09.2010, Rv. 248228).
3.3 La valutazione effettuata dal Tribunale risulta coerente rispetto ai
richiamati principi che, secondo diritto vivente, informano la nozione di assoluta
indigenza, rilevante ai sensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen.
Il Collegio, invero, del tutto conferentemente, ha rilevato che la valutazione
di cui si tratta non poteva prescindere dalla compatibilità della attività lavorativa

provvedimento oggi impugnato, il Collegio ha osservato, sviluppando un
ragionamento immune da aporie di ordine logico, che la continuativa attività di
spaccio posta in essere dal Milella evidenziava il pieno coinvolgimento del prevenuto
nel circuito del mercato clandestino degli stupefacenti; ed ha quindi ritenuto che il
concreto pericolo di reiterazione criminosa, potesse essere contenuto solo
escludendo contatti tra il Milella e terze persone.
Deve poi osservarsi che il Tribunale ha osservato che lo stesso Milella, in
sede di interrogatorio, aveva riferito che la moglie è percettrice di reddito; ed ha
considerato che di tale voce di reddito doveva tenersi conto, ai fini della capacità
dell’indagato di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, come sopra
censite.
3.4 Etbene, a fronte di tale analitico percorso argomentativo sviluppato dal
Tribunale, il ricorrente ha opposto considerazioni critiche che poggiano su
circostanze di fatto, relative all’ammontare dei redditi familiari ed alle modalità del
sequestro dello stupefacente, che vengono dedotte in termini perplessi e
meramente assertivi. Si osserva, allora, che la critica non risulta adeguatamente
prospettata, in questa sede di legittimità, atteso che il deducente non ha indicato
alcuna documentazione a sostegno del motivo di censura. E deve osservarsi che
questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che l’atto di ricorso deve essere
autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr. Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980). Pertanto, deve
rilevarsi che il motivo di ricorso in esame, non risultando autosufficiente rispetto
alla dedotta doglianza, risulta inammissibile.
E’ poi appena il caso di osservare che l’ulteriore profilo di censura, dedotto
dall’esponente, afferente alla argomentazione sviluppata dal Tribunale, in ordine al
fatto che Milella, già al momento di esecuzione della misura, prestava servizio
presso l’Ospedale San Paolo, risulta manifestamente infondato; tanto si afferma,
atteso che è lo stesso deducente a rilevare che, già alla data del 5 luglio 2013,
Milella svolgeva attività lavorativa presso l’Ospedale San Paolo di Bari.

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con le esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva. Al riguardo, nel

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma in data 10 giugno 2014.

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