Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29917 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29917 Anno 2013
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’INCECCO WILLIAM N. IL 04/11/1973
avverso la sentenza n. 967/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
02/03/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per ;’ e “i•

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/04/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per Cessazione D’Incecco William avverso la sentenza della corte d’appello di L’Aquila
del 2 marzo 2011 che ha confermato la sentenza del tribunale di Pescare del 16 dicembre 2008
che lo ha condannato per i reati di tentata rapina impropria e lesioni in danno di Capacchietti
Francesco.
Deduce t ricorrentege la sentenza impugnata è incorsa in:
fatti operata dal giudice di merito sostenendo che la parte offesa non ha mai affermato
di essere stato colpito dall’imputato. Sostiene che non vi è stato nel caso di specie l’uso
intenzionale della violenza per garantirsi l’impunità
2. violazione di legge. Ritiene non configurabile il tentativo di rapina impropria richiama
quella dottrina che configura la sottrazione come un mero presupposto del reato di
rapina impropria e non come parte della condotta di tale reato.
3. Omessa motivazione con riguardo alla richiesta di rinnovazione istruttoria.
Il primo motivo investe una censura in fatto non azionabile in questa sede.
Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del
nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006,
n. 46, non è consentito alla Corte di Cessazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei
fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di
apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio
della motivazione può risultare, oltre che dal “testo” del provvedimento impugnato, anche da
“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti
trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della
motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva
il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli “atti del processo”
rappresenta solo il riconoscimento normativa della possibilità di dedurre in sede di legittimità il
cosiddetto “travisamento della prova”, in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli
elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in
esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito
abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cessazione
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di
merito. (cfr. tra le tante: Cass. Sez. 2 n. 38915/07; Cass. Sez. 4 n. 35683/07; Cass. Sez. 4 n.
15556/08; Cass. Sez. 6 n. 18491/10) .

1

1. violazione di legge e il vizio della motivazione. Contesta il ricorrente la ricostruzione dei

Ciò detto la censura del ricorrente si appalesa manifestamente infondata perché il D’Incecco,
sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto
non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di
legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e
completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal
giudice di merito

Le SS.UU. di questa Corte con la sentenza n. n. 34952 del 19.04.2012 Rv. 253153 hanno
affermato che è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver
compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per cause
indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità
sottolineando che, se il legislatore ha ritenuto con il delitto di rapina di sanzionare in maniera
ben più severa le condotte di per sé autonomamente punibili della violenza o minaccia e del
furto, in ragione del nesso di contestualità che unisce le due offese, attribuendo così maggiore
gravità anche al furto, appare ragionevole ritenere che tale ratio sussista anche nel caso in cui
il soggetto agente tenta di sottrarre il bene altrui ed è poi disposto per assicurarsi l’impunità ad
usare violenza o minaccia. Il legame posto dal legislatore tra la condotta di aggressione al
patrimonio e la condotta di violenza al fine di guadagnare l’impunità per il delitto
precedentemente commesso è frutto della valutazione del maggior disvalore sociale che
caratterizza l’azione violenta o minacciosa comunque connessa ad un aggressione al
patrimonio, a prescindere che l’intento si sia realizzato o meno.
Il terzo motivo è inammissibile perché non risulta proposto in appello e comunque è disatteso
in fatto. In tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur
investito -con i motivi di Impugnazione- di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso
in cui a detta rinnovazione acceda; invero, in considerazione del principio di presunzione di
completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell’uso che va a
fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere
allo stato degli atti. Non così, viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la
motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa
della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla
affermazione, o negazione, di responsabilità (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep.
21.5.1999 rv 213403; Cass. n. 8891/2000 Rv 217209)
Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

2

Il secondo motivo di ricorso è infondato .

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deliberato in Roma 1’11.4.2013

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