Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29912 del 28/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29912 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAOLINO MARCO DONATO N. IL 28/07/1973
avverso l’ordinanza n. 206/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del
24/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lele/sentite le conclusioni del PG Dott. AL,FIS’EttiO PoilPoo vi 0C4
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Data Udienza: 28/05/2014

Ritenuto in fatto

1.

Con ordinanza del 24/2/2014 il Tribunale di Milano, ritenuta la

sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari e la
inadeguatezza di altre misure, rigettava la richiesta di riesame proposta da
Paolino Marco Donato avverso l’ordinanza emessa in data 29/1/2014 con la
quale il G.I.P. del Tribunale di Monza ha applicato nei suoi confronti la misura
della custodia cautelare in carcere, in relazione al reato p. e p. dagli artt. 81 cpv.
«per avere, con più azioni

esecutive di un medesimo disegno criminoso, ceduto a Bel/ante Salvatore e a
Maggiore Maurizio sostanza stupefacente di tipo cocaina ed hashish»:

fatti

accertati in Cologno Monzese in epoca antecedente al gennaio 2013 e nel
gennaio 2013.

2.

Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il predetto

indagato, per ministero del proprio difensore, sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali nonché vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Lamenta che l’ordinanza impugnata, riprendendo pedissequamente le
motivazioni dell’originaria ordinanza custodiale, fonda il proprio convincimento
esclusivamente sul contenuto di intercettazioni ambientali, dalle quali però osserva – contrariamente a quanto affermato nel provvedimento, nulla emerge
nei confronti del ricorrente, non essendovi intercettazioni in cui quest’ultimo
parla direttamente con i suoi presunti acquirenti, né risultando intercettata la sua
utenza telefonica, né ancora essendo stati eseguiti pedinamenti o sequestro di
sostanza stupefacente nei confronti dell’indagato.
Ne deriva, secondo il ricorrente, che i gravi indizi di colpevolezza vengono
insufficientemente desunti solo dalle conversazioni tra i coindagati Bellante e
Maggiore.
Contesta al riguardo, in quanto asseritamente non più adeguato alla
evoluzione della casistica, l’orientamento giurisprudenziale cui il Tribunale si è
dichiaratamente ispirato, secondo il quale il contenuto di una intercettazione,
anche quando si risolve in una accusa in danno di una terza persona, indicata
come concorrente nel reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori
dichiara di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e non è
soggetta ai criteri di valutazione imposti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen..
Soggiunge che non può considerarsi rilevante l’unica intercettazione in cui
Paolino Marco Donato parla direttamente con i coindagati Bellante e Maggiore,
2

e 73 comma 1 d.P.R. 309/90 a lui contestato

posto che nell’occasione non dice alcunché di rilevante in relazione ai fatti per cui
è procedimento, né la circostanza che questi ultimi in un’occasione siano passati
da casa del Paolino, chiedendo alla moglie se fosse in casa, essendo indiscusso
che l’indagato conosce i due da molto tempo e non potendosi pertanto escludere
che quella visita trovi spiegazione alternativa alla ipotizzata attività illecita.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e alla

Anche in tal caso – sostiene – la valutazione del Tribunale, traendo
argomento dalla gravità del fatto, risulta insufficientemente fondata sul
contenuto delle intercettazioni, prive di alcun riscontro, non potendosi per il resto
considerare rilevante, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza, l’unico
precedente penale, seppure specifico, giacché risalente al 1994: ad epoca
dunque così lontana da non consentire di inferirne, come fa il Tribunale, se non
alla stregua di una mera congettura, «una continuità di rapporti col mondo del
narcotraffico mai del tutto completamente recisa».

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato, con riferimento ad entrambi i profili di censura.
Giova rammentare in premessa che, secondo costante insegnamento di
questa S.C., per quanto riguarda i limiti di sindacabilità in questa sede dei
provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso
lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive
dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle
misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo
del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto
dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6, n. 2146
del 25/05/1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e
delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è, quindi, rilevabile in
cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od
in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del
provvedimento impugnato.
3

pure affermata inadeguatezza di misure meno afflittive.

Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda né la ricostruzione dei
fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le
censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dal giudice di
merito (cfr. ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Ciraolo, Rv. 201177).
Sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito «la

spetta solo il compito «… di verificare … se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle
risultanze probatorie»

(Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv.

237012).

3.1. Nella specie, il Tribunale ha rilevato che sussistevano gravi indizi di
colpevolezza a carico del ricorrente sulla base delle numerose conversazioni
intercorse tra i coindagati, intercettate a bordo dell’autovettura in uso al
Bellante, ritenendole di estrema chiarezza e di notevole valenza indiziaria sia per
quel che concerne l’identificazione, nell’odierno ricorrente, del soggetto cui i
conversanti si riferivano ripetutamente quale riferimento dei loro traffici illeciti,
sia per quel che concerne l’identificazione della natura e dell’oggetto di tali
attività, risultando chiaramente che i due si rifornivano di fumo e di cocaina, per
quantitativi anche ingenti, proprio dall’odierno ricorrente.
Del resto, le censure mosse dal ricorrente, come sopra evidenziato, si
appuntano non sul contenuto di tali conversazioni (di per sé incontestabilmente
univoco) ma esclusivamente sulla assenta necessità di sottoporre tali emergenze
istruttorie agli stessi criteri di valutazione dettate per le chiamate in correità,
ossia per le dichiarazioni rese da persona che, interrogata da un giudice o da un
ufficiale di polizia giudiziaria, accusa altre persone di avere commesso reati.
Assume infatti la necessità di subordinare l’utilizzabilità anche di tali
conversazioni all’esistenza di riscontri che confermino l’attendibilità delle
dichiarazioni eteroaccusatorie in esse contenute: necessità se non normativa
(non potendo ovviamente parificarsi de iure condito la situazione in esame a
quella specificamente contemplata dall’art. 192, comma 3 cod. proc. pen. atteso
il limite testuale, dallo stesso ricorrente indicato come «univoco», desumibile dal
riferimento ivi contenuto alle «dichiarazioni rese»), quanto meno logica.
4

valutazione del peso probatorio» degli stessi, mentre alla Corte di cassazione

;

Tale assunto è perorato in ricorso pur nella espressa consapevolezza
dell’opposto principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte,
e del resto ampiamente richiamato nell’ordinanza impugnata, secondo cui le
dichiarazioni compiute da persone che conversino tra loro – se captate nel corso
di attività di intercettazione regolarmente autorizzata ed a loro insaputa – sono
liberamente valutate dal giudice secondo gli ordinari criteri di apprezzamento
della prova, anche quando presentino valenza accusatoria nei confronti di terzi
che avrebbero concorso in reati commessi dagli stessi dichiaranti, non trovando

proc. pen. (v. ex multis, da ultimo, Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, Farinella e
altri, Rv. 257519).
Reputa tuttavia il collegio che non vi siano margini, nel caso concreto, per
una rivisitazione del menzionato consolidato orientamento.
La richiesta in tal senso avanzata dal ricorrente è, invero, sostenuta da un
argomentare di tipo meramente accademico – caratterizzato dal riferimento del
tutto generico a «decenni di casistica nelle aule di giustizia» che mostrerebbero
con frequenza gli intercettati inclini «a riferire circostanze imprecise o addirittura
false; esprimere conoscenze in cui non è possibile tracciare uno scarto
apprezzabile tra effettiva percezione dei fatti e mere congetture; articolare
segmenti discorsivi inquinati dal doloso intento di ingannare l’interlocutore» – del
tutto avulsi dal riferimento a specifici contenuti delle conversazioni intercettate o
a concrete ragioni di sospetto circa l’attendibilità dei riferimenti indizianti da esse
univocamente traibili.
Al contrario, nel caso di specie, come è ben evidenziato dal Tribunale, le
conversazioni intercettate si appalesano connotate da tali frequenza (quasi
quotidiana) e univocità di significato, oltre che da specifici riferimenti a quantità
e prezzi della sostanza acquistata o ceduta, di volta in volta diversi ma sempre
precisamente indicati, da renderne del tutto inverosimile un’origine artefatta o
congetturale e lasciare spazio, pertanto, a dubbi circa le preordinazione dei
colloqui medesimi ad intenti ingannatori o mistificatori.
Ciò senza dire che, peraltro, non è nemmeno vero che non siano nella
specie apprezzabili riscontri oggettivi idonei a rafforzare l’attendibilità delle
dichiarazioni medesime, tali ben potendo ritenersi sia il fatto stesso che una delle
conversazioni captate sia intercorsa direttamente tra l’odierno ricorrente e uno
dei coindagati (v. conversazione ambientale n. 633 del 3/2/2013, peraltro di
contenuto tutt’altro che equivoco o irrilevante: « … te l’hanno data leggera, vuol
dire che c’è un taglio, ma è la stessa …», «… non è scaglietta, è identica alla tua
…»), sia l’esito del controllo di GPS che, in una occasione in cui i conversanti
concordano di passare da casa del Paolino e uno dei due suona il clacson

in questo caso applicazione la regola di cui al terzo comma dell’art. 192 cod.

dell’autovettura per richiamare l’attenzione delle di lui moglie, evidenzia che
effettivamente l’autovettura si ferma nella via e avanti il numero civico ove è
residente il Paolino (circostanza questa che, indipendentemente dalle ragioni
della visita – peraltro alla luce delle conversazioni captate chiaramente anch’essa
riferibile allo stesso genere di rapporti emergente dalle altre conversazioni – vale
comunque ad attestare la piena attendibilità del contenuto in quel frangente
captato: che è esattamente quanto si richiede ad un riscontro obiettivo, il quale
non deve di per sé anche avere autonoma e piena efficacia dimostrativa

3.2. Alla stregua delle considerazioni che precedono non può poi nemmeno
dubitarsi della piena adeguatezza delle motivazioni poste a fondamento della
ravvisata sussistenza di esigenze cautelari tali da giustificare la più severa
misura applicata.
Il riferimento alla gravità del reato appare invero, da un lato, sufficiente a
giustificare tale valutazione e, dall’altro, a sua volta congruamente supportato
proprio dagli elementi indiziari sopra considerati, anche a tal fine invero
contestati dal ricorrente non nel loro contenuto ma – come detto, senza alcun
fondamento logico-giuridico – solo in ragione della asserita loro inidoneità
probatoria in assenza di riscontri.
Le circostanze evidenziate dal Tribunale (quantità e diversa specie della
sostanza trattata), nonché l’elevata frequenza dei contatti, indicativo
dell’inserimento dell’indagato in un sistema di spaccio collaudato, unitamente al
precedente specifico (ancorché risalente), rendono concreto il divisato pericolo di
recidivanza.
4. Il ricorso va pertanto rigettato, discendendone la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso il 28/05/2014

dell’obiettivo probatorio di che trattasi).

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