Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29911 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29911 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BAGNASCO GIUSEPPE N. IL 08/12/1982
avverso l’ordinanza n. 92/2014 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
07/02/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Do
t‘J. , VINCENZO ROMIS;
}/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 27/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Il P.M. presso il Tribunale di Palermo presentava al G.I.P. di quel Tribunale richiesta di
applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti di numerosi soggetti con
l’accusa di essersi associati tra loro, in più di dieci persone, allo scopo di commettere più
delitti tra quelli previsti dall’art. 73 del d.P.R. n. 309/90 concernenti sostanza stupefacente
di tipo marijuana ed hashish; ed in particolare, con l’accusa nei confronti di alcuni – tra i
quali Bagnasco Giuseppe – di aver finanziato, promosso, diretto ed organizzato

dettaglio che stabilmente procedevano al trasporto ed alla consegna dello stupefacente,
nonché custodendo stabilmente lo stesso presso i luoghi nella loro disponibilità.
Il G.I.P., per la parte che in questa sede rileva con specifico rifermento alla posizione di
Bagnasco Giuseppe, rigettava la richiesta del P.M. ritenendo insussistente il reato
associativo, riconoscendo a carico dell’indagato una lunga sequela di reati fine.

2. A seguito di appello del P.M. il Tribunale del riesame di Palermo, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere a carico
del Bagnasco Giuseppe per il reato associativo, valorizzando come gravi indizi di
colpevolezza gli esiti dell’attività investigativa svolta dai Carabinieri compendiata in una
informativa del 6 settembre 2013 che aveva documentato, in particolare, prevalentemente
attraverso la registrazione di immagini effettuate da alcune telecamere installate in precisi
punti di osservazione, numerosissimi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti posti in
essere da parte di vari soggetti ivi residenti, con il pieno e diretto coinvolgimento del
Bagnasco Giuseppe.
2.1. Quanto elle esigenze cautelari, ed alla necessità della custodia cautelare in carcere
come unica misura idonea a salvaguardare le esigenze stesse, il Tribunale sottolineava
che – a prescindere dalla mancanza di qualsiasi concreto elemento favorevole all’indagato
idoneo a vincere la presunzione di cui all’art. 275, terzo comma, del codice di rito – il
concreto pericolo di reiterazione di analoghi episodi delittuosi [art. 274, lett. c), cod. proc.
pen.] era desumibile dalle modalità dell’azione rivelatrici della pericolosità sociale e
dell’abitualità della condotta criminosa e dell’inserimento dell’indagato, gravato anche da
precedenti specifici, nell’ambiente criminale di settore. Il Tribunale sottolineava altresì che
l’entità della pena edittale prevista e la esistenza di precedenti a carico dell’indagato,
inducevano ad escludere la possibilità per il Bagnasco, in caso di condanna, di fruire della
sospensione condizionale della pena.

3. Ricorre per cassazione il Bagnasco, tramite il difensore, censurando la suddetta ordinanza
per il profilo di gravità del quadro indiziario nonché per quel che riguarda le esigenze
cautelari, che possono così sintetizzarsi: a) il percorso motivazionale seguito dal Tribunale
sarebbe caratterizzato, sul piano della gravità del quadro indiziario, da supposizioni e da

l’associazione procacciando le forniture dello stupefacente, reclutando gli spacciatori al

interpretazione in malam partem delle risultanze investigative non potendo l’ipotesi
accusatoria trovare riscontro unicamente dalla visione delle immagini registrate dalle
telecamere posizionate dalla P.G. in tre strade tra loro adiacenti; in particolare, non
risulterebbero indicati specifici elementi di fatto sui quali basare il ruolo del Bagnasco di
organizzatore e promotore del sodalizio criminoso, tenuto anche conto del limitato periodo
di tempo oggetto dell’attività investigativa, dall’aprile al maggio 2013; ancora, il Tribunale,
avendo evocato gli stessi elementi già valutati dal G.I.P., avrebbe omesso di indicare quali

costantemente gli spostamenti del Bagnasco, non avevano mai operato alcun sequestro a
carico dello stesso; proprio la visione delle immagini darebbe conto di un ruolo svolto dai
singoli soggetti tutt’altro che organico e continuativo; l’unico elemento offerto dal quadro
indiziario sarebbe costituito da una serie innumerevole di “fermo-immagine” che non
permetterebbe di individuare la “catena di distribuzione” richiamata dal Tribunale
nell’impugnata ordinanza; b) sul piano delle esigenze cautelari, il Tribunale avrebbe errato
nel valorizzare la presunzione di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere per
il reato associativo contestato al Bagnasco, non tenendo conto del “dictum” della Corte
Costituzionale in materia di cui alla sentenza n. 231 del 2011; sarebbe stato altresì violato il
principio di proporzionalità ed adeguatezza tra la misura cautelare disposta ed il reato
contestato al Bagnasco, tenuto conto che: 1) si vede in ipotesi di fattispecie attenuata di cui
al sesto comma dell’art. 74 del d.P.R. n. 309/90; 2) oggetto della contestazione è droga cd.
“leggera”; 3) recentemente la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità
costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005 n. 272, convertito con
modifiche, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 49 del 2006 che aveva equiparato le droghe
“leggere” e quelle “pesanti”, con la conseguente applicabilità delle disposizioni di cui all’art.
73 del d.P.R. n. 309/90 e delle relative tabelle in quanto mai validamente abrogate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza delle doglianze concernenti per lo più
apprezzamenti di merito e valutazioni probatorie non deducibili dinanzi alla Corte di
Cassazione, e, dunque, ai limiti della inammissibilità.
1.1. Giova sottolineare che anche nel procedimento incidentale “de liberiate”, una volta

accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è
consentito alla Corte di Cassazione prendere in considerazione, sotto il profilo del vizio di
motivazione, la diversa valutazione delle risultanze probatorie prospettata dal ricorrente,
essendo rilevabili, in sede di giudizio di legittimità, esclusivamente quei vizi argomentativi
che siano tali da incidere sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso
motivazionale, svolto nel provvedimento, e non sul contenuto della decisione (in tal senso,
tra le tante, Sez. 1, N. 6383/98, RV. 209787, e Sez. 1, N. 1083/98, RV. 210019). Quanto

ulteriori elementi non sarebbero stati vagliati dal primo giudice; i Carabinieri, pur seguendo

alla valenza indiziaria degli elementi fattuali, le Sezioni Unite di questa Corte intervennero
per fissare i criteri di valutazione cui deve attenersi il giudice del merito nell’ambito del
procedimento incidentale “de libertate”, delimitando nel contempo l’ambito entro il quale la
Corte di Cassazione deve esercitare il sindacato di legittimità: “In tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare

abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi
di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. (In motivazione, la
S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di
impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare
con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai
quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la
motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve
essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art.
546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della
pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non
della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza)”

[Sez. U, n. 11 del

22/03/2000 Cc. – dep. 02/05/2000 – Rv. 215828]. Ed in epoca ancor più recente, è stato
ancora una volta condivisibilmente ribadito detto indirizzo con l’enunciazione del principio
così massimato: “In tema di misure cautelari personali, la nozione di ‘gravi indizi’ di
colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo del termine
‘indizi’ inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di
colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque
elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere
valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma
secondo, cod. proc. pen. come si desume dall’art. 273, comma primo bis, cod. proc. pen.,
che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma secondo
dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi
ma anche precisi e concordanti)” [Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012 Cc. – dep. 20/09/2012 Rv. 253511].

2. Entro tale prospettiva, l’impugnata ordinanza ha fatto buon governo del quadro dei

principi che regolano la materia, ponendo in evidenza i numerosi dati sintomatici della
partecipazione del ricorrente al reato associativo con il ruolo di “rifornitore-cassiere”: a

natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito

costui, e ad altri che ricoprivano il medesimo ruolo, gli spacciatori al dettaglio facevano capo
per il rifornimento della droga da smerciare e per la consegna del denaro ricavato dalle
varie cessioni; il Bagnasco Giuseppe risultava aver “stabilmente rifornito o direttamente o
per interposta persona la catena di spaccio al minuto ricevendone in maniera stabile e
continuativa i proventi, poi consegnati ad altri, in modo tale da creare un sinallagma di
reciproco affidamento al fine della consumazione di un numero indeterminato di reati” (così
testualmente a pag. 5 dell’ordinanza del Tribunale del riesame).

dell’attività investigativa svolta dai Carabinieri compendiata nell’informativa del 6 settembre
2013: l’indagine aveva svelato l’esistenza di una fiorente attività di commercio di sostanze
stupefacenti all’interno del quartiere “Zisa” di Palermo; l’attività investigativa – come già
sopra ricordato nella parte narrativa – aveva documentato, prevalentemente attraverso la
registrazione di immagini effettuate da alcune telecamere installate in precisi punti di
osservazione, numerosissimi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti posti in essere da
parte di vari soggetti ivi residenti; le immagini registrate mostravano i tratti organizzativi
dell’attività illecita, la rete creata per la raccolta del denaro provento dell’attività stessa, le
modalità ed i mezzi individuati per i singoli appuntamenti tra gli spacciatori e gli acquirenti
ed i connessi problemi legati al rifornimento continuo delle sostanze ai singoli pusher
operanti sulla strada; gli indagati erano stati progressivamente identificati da singole
pattuglie che transitavano in zona, e ciò, unitamente allo studio ininterrotto dei movimenti
dei singoli personaggi, aveva consentito di identificare con certezza i partecipi
dell’organizzazione criminale, i ruoli di ciascuno di essi e la partecipazione dei medesimi
nelle diverse condotte di scambio, rifornimento e cessione di stupefacente, ovvero di
ricezione del denaro provento delle cessioni; le condotte dei sodali risultavano suddivise per
turni, ed in caso di arresto di taluno, veniva individuato con estrema celerità il sostituto; era
stata rilevata la suddivisione dello stupefacente in dosi identiche tra loro ed erano stati
individuati i luoghi di occultamento della sostanza stupefacente; era emerso, come sopra già
ricordato, il ruolo del Bagnasco quale “rifornitore-cassiere”, donde l’esistenza di gravi indizi
a carico di costui anche per la sua pregnante partecipazione all’associazione quale
dettagliatamente descritta dal Tribunale.
La gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, e scrutinato in termini
di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, deve ritenersi, dunque, congruamente
sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha
correttamente proceduto ad una valutazione particolareggiata e globale degli elementi
indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica ed adeguata, delle
ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio.

3. Il Tribunale ha altresì fornito congrua motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle
esigenze cautelari valorizzando, a tal fine, le modalità del fatto, la negativa personalità
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Il Tribunale ha tratto il convincimento della sussistenza della gravità indiziaria dagli esiti

dell’indagato – gravato da precedenti specifici ed inserito nel traffico di droga – il giudizio
pronostico negativo circa l’eventualità della concessione della sospensione condizionale della
pena in caso di condanna avuto riguardo all’entità della pena edittale prevista per il reato
contestato al Bagnasco.
3.1. Per quel che riguarda, poi, la prospettazione difensiva circa la dichiarata illegittimità
costituzionale dell’art. 275, terzo comma, seconda parte, c.p.p., nella parte in cui è stabilita
una presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere per il reato associativo “de

cautelari, si osserva che il Tribunale si è evidentemente fatto carico di esprimere le proprie
valutazioni alla luce del “dictum” del giudice delle leggi, posto che ha espressamente
evidenziato l’assenza di elementi volti a dimostrare sia l’insussistenza di esigenze cautelari
che l’idoneità, per salvaguardare dette esigenze, di una misura meno afflittiva rispetto a
quella della custodia in carcere.
3.2. Nemmeno può assumere rilievo, contrariamente all’assunto difensivo, la recente
sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale – con la quale è stata dichiarata
l’incostituzionalità della legge n. 49 del 2006 nella parte in cui risultavano equiparate,
quanto al trattamento sanzionatorio, le droghe cd. “leggere” e quelle cd. “pesanti” – atteso
che, quanto al reato associativo che qui interessa, anche le disposizioni previgenti, divenute
nuovamente applicabili per effetto della citata declaratoria di incostituzionalità, non
prevedono differenti forbici sanzionatorie edittali per le droghe leggere e quelle pesanti.
4. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
5. Della presente decisione deve essere data comunicazione al Tribunale Distrettuale del
riesame di Palermo perchè provveda a quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. cod. procedura
penale.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al competente
Tribunale Distrettuale del riesame perché provveda a quanto stabilito dall’art. 92 Disp. att.
c.p.p.
Manda alla cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.
Roma, 27 maggio 2014
Il Consigliere estensore
( Vi cenzo Romis )

(A

Il Pres nte
(Carl

ppe Brusco)

quo” salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IV Sezione Penale

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