Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29909 del 26/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29909 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: AIELLI LUCIA

Data Udienza: 26/05/2016

Lombardo Pietro nato a Palmi il 29/12/1984;
avverso il decreto della Corte d’appello di Milano del 20/11/2015 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Lucia Aielli;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha
concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto

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1. Con decreto in data 20/11/2015 la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava il
decreto di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con
obbligo di soggiorno, applicata nei confronti di Pietro Lombardo .
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione Pietro Lombardo per
mezzo del suo difensore, avv. Michele Gullo, il quale deduce la mancanza
contraddittorietà ed illogicità della motivazione avuto riguardo alla mancata risposta da
parte della Corte di merito, alle censure specificatamente proposte dal ricorrente con
l’atto di appello ed attinenti al profilo della pericolosità sociale , non potendo essa farsi

“Artemisia” riguardante reati di cui all’art. 416 bis e 575 c.p.; eccepisce in secondo
luogo la violazione di legge in riferimento all’art. 7 L. 1423/1956 , non avendo la Corte
d’appello motivato in ordine alla sussistenza e permanenza della pericolosità sociale del
Lombardo se non richiamando le pregresse vicende processuali, senza tener conto del
decorso del tempo e del buon comportamento del soggetto, pur condannato
all’ergastolo, che invece avrebbero imposto la revoca del provvedimento.
3. Con comunicazione pervenuta il 24/5/2016 il difensore dichiarava di aderire
all’astensione proclamata dall’Unione Camere penali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
2. Occorre premettere che è inammissibile l’istanza di rinvio del difensore, implicitamente
contenuta nella comunicazione di adesione all’ astensione proclamata dall’ Unione Camere
penali, trattandosi, nel caso di specie, di udienza camerale ex art. 611 c.p.p., per la quale non
è prevista la partecipazione del difensore.
3. Va poi evidenziato, nel merito, che il decreto con il quale la Corte di Appello decide in ordine
al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale in materia di misure di
prevenzione è ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge, vizio,
quest’ultimo, nel quale è compreso, per consolidata lezione interpretativa di questa Corte,
quello della motivazione solo nella ipotesi in cui essa sia del tutto omessa ovvero apparente
(sez. 6 n.35044 del 8/3/2007, Rv. 237277; sez. 5 n. 19598 del 8/4/2010, Rv. 247514). Ciò
comporta che non possono essere dedotti, con il ricorso per cassazione, gli altri vizi della
motivazione, previsti come motivo di ricorso dall’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.,
quali la mancanza (parziale), la contraddittorietà o la manifesta illogicità (sez. 6 n. 24250 del
4/4/2003, Rv. 225578). Tale limitazione ha già superato il vaglio di costituzionalità per essere
stata ritenuta la relativa questione, sollevata con riferimento alla presunta violazione degli artt.
3 e 24 Cost., non fondata; nello specifico la Corte Costituzionale ha rilevato che il
procedimento di prevenzione, il processo penale ed il procedimento per l’applicazione delle
misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia nel terreno processuale che nei

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discendere dal coinvolgimento del Lombardo nel procedimento della DDA denominato

presupposti sostanziali (Corte Cost. sent. N. 321 del 2004); ciò ha consentito di ribadire il
principio, già più volte affermato (Corte Cost. ord. 132 e 352 del 2003), che le forme di
esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle
caratteristiche di ciascun procedimento, allorchè di tale diritto siano comunque assicurati lo
scopo e !a funzione.
4. Il principio di autonomia di giudizi tuttavia non può essere dilatato, come erroneamente
pretende di fare il ricorrente, sino a porre nuovamente in discussione l’accertamento in fatto
contenuto nella sentenza di merito passata in giudicato , poichè qualora il proposto sia stato

può fare riferimento a tale condanna come ad un ” fatto” di per sé dimostrativo
dell’appartenenza al contesto mafioso in grado dì legittimare l’adozione della misura
prevenzione , non essendo esigibili gli ulteriori oneri motivazionali sul punto e men che meno
la rivisitazione dell’effettiva portata probatoria degli elementi posti a base della decisione
assunta nella sede penale. Qualora invece sull’accertamento relativo alla partecipazione al
sodalizio mafioso non sia ancora formato il giudicato, nel procedimento di prevenzione ben può
farsi riferimento al compendio probatorio acquisito nel corso di quello penale ma proprio in
forza dell’autonomia dei due giudizi, il giudice non può esaurire il suo compito col richiamare
sic et simpliciter la sentenza di condanna non definitiva , gravando per converso su di lui
l’obbligo di procedere ad una valutazione autonoma degli elementi probatori specificando le
ragioni della loro idoneità a rivelare la sussistenza dei presupposti che legittimano
l’applicazione della misura di prevenzione ( Sez. 1 , n. 1701 del 12/6/1990 ,rv. 184950; Sez.
5, n. 1831 del 17/12/2015 , rv. 265862).
5. Con specifico riferimento ai motivi di ricorso , riguardanti la carenza del requisito della
pericolosità sociale ed in particolare della attualità di tale pericolosità, deve rilevarsi che
la Corte di merito nel provvedimento impugnato si è astenuta dal rivalutare il compendio
probatorio posto a base della pronuncia di condanna definitiva a carico del ricorrente per i
reati di cui agli art. 416 bis c.p. e 575 c.p., limitandosi a verificarne la rilevanza
nell’ambito del procedimento di prevenzione, concludendo, alla stregua dello
orientamento sopra illustrato, nel senso della idoneità della pronuncia di condanna per i
suddetti reati, dell’ inserimento del Lombardo in una cosca criminale impegnata in una
sanguinosa faida sul territorio di Seminara e delle mansioni di killer a lui attribuite e
sfociate nell’omicidio di tale Silvestro Galati, a fondare il giudizio di pericolosità sociale.
6. Quanto al secondo motivo di ricorso e cioè alla sussistenza del requisito dell’attualità
della pericolosità sociale del Lombardo, erroneamente ricondotta, ad avviso del
ricorrente, al processo penale conclusosi con la condanna all’ergastolo e comunque non
attuale al momento in cui il ricorrente avrà scontato la detenzione, questa Corte ha
affermato che ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di
appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare
motivazione in punto di attualità della pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti

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condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., il giudice della prevenzione

adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi dai quali ragionevolmente
desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale; tuttavia, la
presunzione non è assoluta ed è destinata ad attenuarsi, facendo risorgere la necessità
di una puntuale motivazione sull’attualità della pericolosità, quanto più gli elementi
rivelatori dell’inserimento nel sodalizio siano lontani nel tempo rispetto al momento del
giudizio (Sez. 2, n. 8106 del 21/01/2016 , Rv. 266155; Sez. 5, n.1831 del 17/12/2015
Rv. 265863).
7. Nel caso di specie la Corte di merito ha correttamente osservato che alcun elemento

compimento del fatto omicidiario ed il consolidato inserimento del Lombardo in un
circuito criminale violento, rendevano conto della permanenza del requisito della
pericolosità connessa all’appartenenza locale ndrangheta , particolarmente temibile e
potente, a nulla valendo il regime carcerario in corso rispetto al quale non si pone, in
astratto, alcuna incompatibilità.
8. Risulta infatti pacificamente acquisito in giurisprudenza che l’applicazione della misura
di prevenzione in danno di condannato all’ergastolo non crea la contraddizione segnalata
dal ricorrente ( S.U. n. 6/1993 , rv 194062; Sez. 1 n. 14356/2000, rv. 218631; Sez. 6,
n. 49881 del 06/12/2012, Rv. 253672 ) in quanto i suoi presupposti applicativi, costituiti
dalla pericolosità attuale sono suscettibili di valutazione anche nella situazione detentiva
eventualmente patita, mentre le possibili contraddizioni peraltro segnalate in maniera
assolutamente generica, riguardano la fase esecutiva e possono essere superate nel
momento esecutivo ( Sez. U. 10281/2007 , rv. 238658).
9. Per quanto esposto il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 26.5.2016

era stato dedotto dal ricorrente da cui desumere il recesso dall’associazione, mentre il

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